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Read Ebook: La Campagna del 1796 nel Veneto Parte prima: La decadenza militare della serenissima uomini ed armi by Barbarich Eugenio
Font size: Background color: Text color: Add to tbrJar First Page Next PageEbook has 264 lines and 45138 words, and 6 pagesDi prossima pubblicazione: La Campagna del 1796 nel Veneto. EUGENIO BARBARICH Capitano di stato maggiore LA CAMPAGNA DEL 1796 NEL VENETO PARTE PRIMA LA DECADENZA MILITARE DELLA SERENISSIMA UOMINI ED ARMI ROMA ENRICO VOGHERA, EDITORE Roma, 1909.--Tip. E. Voghera INDICE IN MEMORIA FRANCESCO PESARO TENACE PROPUGNATORE NEL VENETO SENATO D'UNA VENEZIA FORTE. PREMESSA Ayez les choses de premi?re main; puisez ? la source!.... Ora questa presunzione non ? equa. Qualunque ramo dell'attivit? pubblica merita riguardo e considerazione, e soltanto il giudizio particolare sopra ciascun ramo dell'attivit? medesima pu? mettere capo ad una sintesi illuminata e completa. Al caso concreto poi dell'attivit? militare veneta, cimentata nei tempi dello splendore alle tenaci e vittoriose lotte contro i Turchi in difesa della Cristianit?, dei commerci e dell'incivilimento contro la barbarie, sembra argomento cospicuo di studio l'esame dell'evoluzione di questa attivit? giunta al termine del suo ciclo ed il coglierla quando sta per accasciarsi sopra s? stessa come una persona fatta decrepita, pavida ed intransigente. Questo dal lato puramente soggettivo della speculazione storica. Ma v'ha ancora un altro argomento di peculiare interesse che pu? spingere all'indagine intorno alla decadenza militare della Veneta Repubblica. L'ambiente della storia presenta ricorsi di singolare rilievo, suggestioni forti e spontanee sulle quali, a determinati periodi di tempo, non sembra n? vano n? inutile riportare il contributo positivo degli studi e della meditazione, affinch? traccino a loro volta norma ad un nuovo ricorso di fatti. E Venezia, con gli svariati suoi atteggiamenti della politica, dei commerci, dell'arte, dell'incremento economico e marinaro, ? soggetto che volentieri s'impone oggigiorno allo spirito ed alla fantasia e li occupa con l'inesauribile fascino di una figura dalle perfezioni classiche. L'opera del Molmenti sulla storia di Venezia nella vita privata simboleggia l'espressione pi? bella ed alta di questi sensi. Sicch? studiando questo brano di storia militare inedita nel campo pratico delle vicende storiche e militari nostrane, si stende la mano a quella meravigliosa messe di studi e di documentazione delle guerre napoleoniche che ci viene d'oltre Alpe, e che con i volumi del capitano Fabry spinge innanzi la bella marcia delle indagini fin sulla soglia degli Stati Veneti, all'Adda ed all'Oglio nella primavera dell'anno 1796. Roma, dicembre 1909. E.B. NOTA BIBLIOGRAFICA Non pu? essere copiosa, una nota bibliografica quando gli argomenti dell'indagine si riferiscono pressocch? esclusivamente all'inedito. Nondimeno occorre citare a questo punto qualche opera di interesse generale utile per inquadrare la materia particolare dello studio presente. LA CAMPAGNA DEL 1796 NEL VENETO PARTE PRIMA LA DECADENZA MILITARE DELLA SERENISSIMA Le fonti della milizia veneta. Il generale Buonaparte aveva accusato il Senato Veneto di tradimento per avere permesso giorni avanti agli Austriaci di occupare Peschiera, di slealt? per avere dato asilo in Verona al conte di Lilla, di parzialit? colpevole--come egli diceva--per male corrispondere alle pressanti esigenze di vettovaglie e di carriaggi da parte dell'esercito francese, di neutralit? violata infine in vantaggio dei nemici suoi, gli Austriaci. Ora, di tutto questo, Buonaparte aveva dichiarato al vecchio Foscarini di doverne trarre aspra vendetta per ordine del Direttorio, incendiando Verona e marciando contro Venezia. Il rappresentante Veneto, atterrito, era riuscito alla fine a indurre il focoso generale a pi? umani consigli ed a salvare Verona, ma pi? con l'aspetto della sua desolata canizie che con la virt? della parola, a condizione per? < Tra l'incendio e l'occupazione militare non era dubbia la scelta, ed al Foscarini fu giocoforza di cedere. Duramente Buonaparte aveva rifiutato al vecchio provveditore perfino il tempo necessario, per prendere gli ordini dal Senato e lo aveva accomiatato < A quel tempo, l'esercito veneto si era oramai consunto per vecchiezza. I lunghi e sfibranti periodi di pace e di neutralit? in cui l'inazione suonava colpa e l'assenteismo politico della Repubblica, prolungata offesa alla dignit? del vecchio e glorioso Stato italico, l'abbandono, lo scadimento d'ogni istituto, lo scetticismo e l'indifferenza, avevano siffattamente prostrata la milizia veneziana da imprimere sul suo volto, un tempo gi? gagliardo e raggiante per le vittorie d'Italia e d'Oriente, le rughe pi? squallide della decrepitezza ed il marchio pi? profondo della dissoluzione. Queste due fonti si erano nel passato cos? bene intrecciate assieme, da dar vita ad un fiume ricco d'acque e poderoso nel quale, in determinati e non infrequenti periodi della storia, si erano come trasfuse tutte le tradizioni militari dei Comuni e degli Stati dell'Italia. Nel frattempo il periodo eroico della guerra di Cambrai, delle lotte di Candia e delle campagne del Morosini erano volti al tramonto. La Serenissima divenuta pi? sollecita di conservare che di conquistare, aveva stimato savio consiglio quello di fare pi? largamente partecipi de' suoi beni i propri soldati, specie i mercenari dalmati, allo scopo di meglio stringerseli dattorno con i vincoli della gratitudine e dell'interesse, con quei legami di amorevolezza che suscitano il reggimento paterno e la coscienza della solidariet? delle fonti del comune benessere. N? pi? valeva a risollevare l'intisichito spirito di ventura tra i Dalmati--i mercenari per eccellenza--l'imagine della forza e della potenza guerriera della Serenissima. Le parvenze esterne dell'imperio, alle quali si affidava buona parte del suo prestigio presso le popolazioni soggette, erano precipitate a quel tempo in uno stato di abbandono colpevole. < Le armi vecchie e rugginose avevano dunque disamorato i venturieri a detergerle in Italia, ed Oltremare. Restava soltanto qua e l? per la Dalmazia ed in Levante qualche guizzo del fulgore antico, raccomandato ad un sentimento di gratitudine giammai sopito nel cuore delle genti d'altra riva dell'Adriatico verso la Veneta Repubblica, che le aveva raccolte sotto le proprie ali nei tempi pi? travagliati della Cristianit? e difesi contro il Turco. Ed a questi sentimenti, le ultime compagnie di ventura italiane avevano raccomandato i loro estremi giorni di vita a Venezia. Costituiva il nerbo delle cerne l'elemento rurale dei domini di Terraferma e d'Oltremare, cui la Serenissima aveva fatto larghe concessioni per rinfrancarlo nel suo innato spirito conservatore ed adescarlo a servire, lietamente ed in buon numero, nella milizia regionale. Di queste prime pratiche conserv? memoria il Bembo. Gli obblighi di questi ultimi erano limitati a cinque mostre o rassegne annuali , oltre a talune riviste straordinarie in luoghi designati, con il comune consenso dei soldati medesimi, escluse per? le fortezze, le terre murate, i castelli ed i grossi villaggi. Epperci? le rassegne si compievano d'ordinario in rasa campagna. Dal lato economico adunque le cerne rappresentavano un notevole vantaggio per le finanze della Signoria, una v?lvola di sicurezza all'aprirsi delle guerre, perch? esse esimevano lo Stato dal ricorrere--sotto la pressione del bisogno e sotto il giogo della domanda--al mercato sempre sostenuto dei soldati di mestiere. Passate quindi le guerre unicamente ispirate al concetto della difesa dei domin? italici, prese il sopravvento la presunzione dei riguardi dovuti in uno Stato marinaresco e repubblicano alla libert? individuale dei propri sudditi, che si voleva completamente arbitra di esplicarsi, senza restrizione alcuna, secondo il miglior rendimento delle energie di ciascuno di essi. La tolleranza dei pubblici uffizi, il benessere diffuso, il vezzo delle neutralit? ripetute invariabilmente allo aprirsi di ciascuna campagna, a partire dalla sciagurata pace di Bologna , invogliarono le genti gi? disamorate delle armi a colorire codeste teorie di liberismo militare con le tinte pi? accese dell'arte tizianesca. E la presunzione, oppure la consuetudine, per l'ignavia degli uomini e per la debolezza dei tempi acquist? alla fine vigore di legge. La Repubblica, ricca ed imbelle, poteva ben concedersi anche il lusso di comperare i soldati di cui abbisognava per la difesa de' propri domini. Cos? delle due fonti essenziali della milizia veneta--eredit? dell'arte italica del Cinquecento--i soldati prezzolati e le cerne, gli uni sopravvivevano ancora alle ingiurie dei tempi ma tutti squassati e ridotti come una larva di s? medesimi, le altre erano pressoch? scomparse dalla scena della vita militare veneziana, o si consideravano tutto al pi? come un rudere di un vetusto edifizio abbandonato da gran tempo. In questa guisa delle due grandi correnti che alimentavano le vecchie armi della Serenissima e formavano, insieme commiste, un fiume regale gonfio d'acque e fecondo d'energie, non era rimasto che l'ampio alveo, tutto pantani ed acquitrini dai quali emanavano miasmi e malaria. L'amministrazione centrale della guerra. Il Savio di terraferma alla scrittura e le magistrature militari. Come il rendimento di una macchina ottimamente costituita si commisura dalla somma di attriti che riesce a vincere, sicch? il suo lavoro procede rapido, silenzioso e produttivo, cos? l'opera proficua di uno Stato si arguisce dall'armonia degli sforzi de' suoi organi direttivi e dal loro coordinamento, in modo che tutte le energie abbiano impiego e non si smarriscano in sterili conati, o per superfluit? di uffizi o per contraddizione di c?mpiti. Ora la macchina statale veneta della decadenza era complicata e rugginosa, epperci? assai pigra e poco produttiva. Aveva addentellati con molteplici sopravvivenze feudali, intrecci con privilegi oligarchici, vincoli con un proteiforme organismo amministrativo burocratico e cancelleresco onusto d'impiegati; s? che tutto impaludava nello apparecchio e nelle forme e poco o nulla rendeva nella sostanza. L'amministrazione della guerra poi--che per il suo istituto pi? risentiva delle sopravvivenze del passato--era cos? multiforme e farraginosa da incontrare attriti ed intoppi ad ogni passo. Il Savio alla scrittura era preposto, oltre che all'ordinamento delle milizie stanziali, anche a quello delle fortificazioni, delle artiglierie e delle scuole militari, e traeva il nome dall'antico suo ufficio di tenere cio? al corrente i ruoli dei soldati ingaggiati. Era, in sostanza, il ministro della guerra della Serenissima. Il Savio alla scrittura durava in carica un semestre, ma poteva essere rieletto quando fosse spirato un intervallo di sei mesi almeno dal decadimento dell'ultimo mandato. Ne derivava perci? una specie di oligarchia politico-amministrativa, vincolata o ad una determinata consorteria oppure ad un monopolio nei pubblici affari. La molteplicit? degli uffici burocratici accentuando i danni di tale esclusivismo rendeva la macchina statale rigida, lenta ed improduttiva. Per le cose della milizia questo monopolio politico ed amministrativo doveva essere temperato, in origine, dalla carica del generale in capo. Straniero, di regola, esso era destinato ad impiegare le truppe in guerra--sotto la responsabilit? dei provveditori del Senato incaricati di sorvegliarlo a mo' dei commissari della Repubblica di Francia--ed in pace a suffragare della sua autorevole esperienza l'apparecchio delle armi e degli armati. Il generale in capo doveva essere infatti una specie di responsabile tecnico, mentre il Savio alla scrittura non era altro che un semplice amministratore dei fondi destinati dalla Serenissima al mantenimento ed all'armamento dei propri soldati. Ed essendo la carica di generale in capo vitalizia, non pareva gran male che gli uffizi amministrativi si alternassero attorno ad essa, con vicenda pi? o meno frequente, emanando da una ristretta base nella scelta delle persone a ci? deputate. Add to tbrJar First Page Next Page |
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