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Munafa ebook

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Read Ebook: La Campagna del 1796 nel Veneto Parte prima: La decadenza militare della serenissima uomini ed armi by Barbarich Eugenio

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Ebook has 264 lines and 45138 words, and 6 pages

Per le cose della milizia questo monopolio politico ed amministrativo doveva essere temperato, in origine, dalla carica del generale in capo. Straniero, di regola, esso era destinato ad impiegare le truppe in guerra--sotto la responsabilit? dei provveditori del Senato incaricati di sorvegliarlo a mo' dei commissari della Repubblica di Francia--ed in pace a suffragare della sua autorevole esperienza l'apparecchio delle armi e degli armati. Il generale in capo doveva essere infatti una specie di responsabile tecnico, mentre il Savio alla scrittura non era altro che un semplice amministratore dei fondi destinati dalla Serenissima al mantenimento ed all'armamento dei propri soldati. Ed essendo la carica di generale in capo vitalizia, non pareva gran male che gli uffizi amministrativi si alternassero attorno ad essa, con vicenda pi? o meno frequente, emanando da una ristretta base nella scelta delle persone a ci? deputate.

Ma poich? si resero sempre pi? rare le guerre ed il vezzo delle neutralit? le confinarono alla fine tra i ferrivecchi, la benefica influenza moderatrice del generale in capo sulle magistrature militari, politiche e burocratiche, cominci? a scadere, fintantoch? scomparve del tutto. Rimasero i danni ed i pericoli delle consorterie, senza argine e senza riparo.

I migliori Savi avvicendatisi nell'amministrazione veneta della guerra, non mancarono di levare la loro voce contro la soppressione della carica di comandante in capo; mancanza che abbandonava quei magistrati a s? medesimi senza l'appoggio di spiccate capacit? militari che rappresentassero la continuit? nello apparecchio degli uomini e delle armi; e pi? che tutti, Francesco Vendramin, il miglior Savio alla scrittura della decadenza della Repubblica. Questi nel 1785 dichiarava infatti al Doge che il malessere dell'esercito dipendeva dalla rinunzia, fatta da tempo, <> .

Ma, ad onta di queste franche parole--come sempre le usava il Savio Vendramin--il generalissimo tanto invocato non venne a rialzare i depressi spiriti militari dei Veneti, e rimase la burocrazia che non passa . Questa intensific? anzi l'opera sua, cos? da avvolgere il Savio alla scrittura in una rete inestricabile di intralci e di formalit? innumerevoli.

L'industria militare privata aveva tenaci e floridissime radici a Venezia, e le armi bianche venete, assai pregiate nella tempra e nel lavoro del cesello, avevano una fama incomparabile. Cresciuto poi il favore delle armi da fuoco, degli archibugi e delle artiglierie navali e terrestri, le fucine della Bresciana vennero procacciandosi nell'industria manifatturiera quel nome che si ? tramandato fino ai giorni nostri.

La trasformazione decisa e cosciente dell'industria militare privata in industria di Stato, avrebbe quindi corrisposto in modo mirabile alle esigenze economiche e tecniche della Serenissima, poich? avrebbe consentito di ridurre con immenso vantaggio economico l'improduttivo organismo dell'Arsenale e di sostituire al suo lavoro, o lento o negativo, quello pi? proficuo delle maestranze dei metallurgi e degli artieri, organizzati e disciplinati in forme corporative tradizionali, vigilate per di pi? di continuo dalle magistrature apposite.

Queste prove dovevano essere da due a quattro per ogni pezzo da collaudarsi, ed i pezzi rifiutati si dovevano restituire alla ditta per essere rifusi e nuovamente esperimentati. Nel contratto infine erano comminate penalit? e multe alla ditta Spazziani, al caso di inosservanza di impegni da parte della medesima.

L'artiglieria veneta, con il concorso dell'industria privata, poteva e doveva quindi rinnovarsi tra il 1782 ed il 1796. In questo periodi di tempo dovevano inoltre rifondersi o ristaurarsi le bocche da fuoco dichiarate inservibili, e non erano poche in quel tempo: 82 cannoni di diverso calibro, 85 colubrine, 63 sacri e passavolanti, 180 petrieri, 5 mortai, 9 trabucchi ed 1 bastardo.

Ma per assicurare tali vantaggi all'esercito sarebbero occorsi continuit? di vedute nell'amministrazione della guerra, preparazione, vigore di energie da parte delle persone elevate all'ufficio di Savio alla scrittura, accordo infine deciso e cosciente di tutti nell'attuare una riforma finanziaria ed industriale che avrebbe legato il nome della Serenissima ad un grande e razionale progresso nella pubblica economia.

<>.

Ma anche sa questo punto la voce del Savio Vendramin predic? invano, ed i denari non vennero--ironia del caso--se non quando si tratt? non gi? di apparecchiare armi ed armati in difesa della Repubblica, ma di mantenere lautamente due eserciti sul suo suolo, nemici l'uno dell'altro, della Serenissima, ed entrambi emuli nell'opera triste di taglieggiarla e di calpestarla.

Ma ritorniamo al Savio alla scrittura ed alla sua fisionomia burocratica.

Ufficiali grandi e piccini.

Perduto ? quell'organismo il cui cuore si attarda di spingere il sangue nelle vene. Ed il cuore ed il cervello si erano da tempo intorpiditi nell'esercito della Serenissima nelle persone de' suoi generali.

Quando il brigadiere Fiorella nella notte dell'8 agosto 1796, all'avanguardia della divisione Serurier, reduce dalla vittoria di Castiglione si riaffacciava a Verona abbandonata giusto una settimana innanzi per rioccuparla d'ordine di Buonaparte, il generale Salimbeni comandante di quella piazza indugi? alquanto nel riaprire ai Francesi la porta di San Zeno. Il brigadiere Fiorella l'abbatt? allora con alcune volate di mitraglia, e si trov? comoda scusa per il ritardo dei Veneti di rovesciare la colpa sulla tarda vecchiaia del Salimbeni.

La vecchiaia dei generali veneti esisteva nondimeno, e grave. Il Savio alla scrittura Francesco Vendramin l'aveva denunciata al Principe come il male precipuo che rodeva l'esercito, e scongiurava di provvedervi in tempo:

<> .

Non si pens? per? con questo a svecchiare gli alti gradi dell'esercito Veneto.

Fu assegnato allora in Levante il sergente-generale Maroti, con i sergenti maggiori di battaglia Bubich e Craina; in Dalmazia il sergente generale Salimbeni--ricordato pi? sopra--con i sergenti maggiori di battaglia Nonveller ed Arnerich; in Italia il tenente generale Pasquali, con i sergenti maggiori di battaglia Str?tico e Bado. Dopo quattro anni questi generali dovevano mutare residenza, ma nel 1790--cio? allo spirare del primo quadriennio dacch? la determinazione fu presa--il sergente maggiore di battaglia Arnerich faceva sapere al Savio alla scrittura che egli non era pi? in grado di muoversi dalla Dalmazia, perch? diventato pi? che nonagenario.

Il sergente maggiore di battaglia Antonio Maroli cos? faceva, ad esempio, nel 1782 l'apologia di s? medesimo, aspirando al grado del valetudinario Rade-Maina collocato finalmente a riposo:

<

Scendiamo ora dal vertice della piramide gerarchica verso la grande e massiccia sua base. Gli ufficiali veneti erano troppi per i soldati che avevano da comandare e per le attribuzioni che dovevano compiere.

In sostanza, i quadri degli officiali della Serenissima avevano tutta l'aria di un grande stato-maggiore a spasso.

Riformatisi in appresso questi due istituti, quello di Verona nel 1764 e quello di Zara nel 1784, una nuova ondata, di formidabili competitori venne ad affiancarsi alla vecchia corrente dei provenienti dalla troppa nello aspirare ai gradi, di ufficiale.

Dal collegio militare di Zara uscivano gli alfieri dei reggimenti oltremarini e le cornette dei reggimenti di cavalleria. L'istituto esisteva fin dal 1740, ma per difetto di concorrenti aveva vissuto una vita stentata ed anemica fino al 1784, perch? la massa dei Dalmati aspiranti ai gradi dell'esercito preferiva la via pi? lunga ma pi? avventurosa del servizio anfibio sui pubblici legni e verso i confini turcheschi, a quella pi? tediosa e nuova degli stud? e dei riparti d'istruzione.

Ma poich?--sotto l'impulso di Angelo Emo e del Savio Francesco Vendramin--l'amministrazione veneta della guerra accenn? a battere nuove vie, ed il reclutamento degli ufficiali usciti dalle scuole parve destinato a soppiantare ogni altra provenienza, il conflitto tra il vecchio ed il nuovo, tra la pratica e la teoria, scoppi? clamoroso ed inevitabile. Si accese allora la guerra tra i fautori del tirocinio, dell'esperienza e dei titoli acquisiti, e quelli delle accademie delle prove e degli esami. I tempi grigi e fiacchi non offrendo verun'altra distrazione, fecero s? che gli ufficiali dell'epoca si ingolfassero in queste lotte sterili ed acerbe con l'ardore che proviene dall'ozio.

Nella pratica delle cose per? l'anzianit? ed il merito avevano la preminenza, comprendendosi sotto questo ultimo titolo le campagne di guerra, le ferite e le <>, come dicevasi a quel tempo con vocabolo comprensivo per dinotare tutte le benemerenze dei candidati dovute comunque al rischio personale.

Ma cresciuto il favore delle scuole professionali, il merito e l'anzianit? dovettero cedere di fronte all'abilit? comprovata dagli esami, e con questi e per questi il Savio si proponeva di svecchiare i quadri dell'esercito.

Gli esami da capitano a sergente-maggiore erano insieme pratici e teorici. Nei primi il candidato doveva sottoporsi alle prove seguenti:

<<1?) Riconoscer? il battaglione in tutte le sue parti e lo ripartir? con i bassi uffiziali--2?) Far? la disposizione degli uffiziali e li mander? in parata--3?) Far? passare ufficiali e sottufficiali in coda per il maneggio delle armi--4?) Ordiner? e comander? il maneggio delle armi, con li necessari avvertimenti--5?) Ordiner? due raddoppi di file, uno sulla sinistra in avanti, per mezzo-battaglione, l'altro che le divisioni delle ali raddoppino quelle del centro--6?) Si ridurr? in istato di battaglia--7?) Far? fuoco con quattro plotoni, principiando dalli quattro plotoni del centro--8?) Far? fuoco con due mezze divisioni dalle ali al centro--9?) Staccher? la marcia per mezze-divisioni in fianco, e si ridurr? in divisioni con passo francese --10?) Former? il quadrato in marcia--11?) Far? una scarica generale--12?) Disfar? il quadrato e ridurr? il battaglione in istato di parata>>.

Per gli aspiranti al grado di sergente-maggiore nell'arma alle menzionate prove si aggiungevano esami di meccanica, di st?tica, di resistenza delle bocche da fuoco, di potenza degli esplosivi, oltre ad esperimenti sulle manopere di forza e relativi comandi, sulle opere difensive e di fortificazione.

Ed il bilancio del servizio di queste scolte fedeli--quasi fatte simbolo di una potenza della quale pi? non rimaneva che il nome--era solenne come un piccolo monumento di storia individuale. Storia dei tempi, fatta non gi? di novit? sibbene di lunga e paziente attesa.

Sfogliamo un poco tra le pagine di codesti titoli vetusti. Dagli stati di servizio prodotti dai capitani Zorzi Rizzardi e Don? Dobrilovich al Senato per ottenere la loro giubilazione, risulta che il primo di questi era soldato dal 1734, cadetto nel 1740, alfiere nel 1753, tenente nel 1766, capitano-tenente nel 1778, capitano nell'anno medesimo; vale a dire che aveva impiegato ben 51 anni di servizio per ottenere quest'ultimo grado, dei 68 di et? che contava il postulante. Il collega Dobrilovich era soldato dal 1733, caporale nel 1739, sergente nel 1742, alfiere nel 1745, tenente nel 1766, capitano-tenente nel 1773 e capitano pure nello stesso anno: gli erano quindi occorsi 51 anni per raggiungere la desiderata m?ta di comandante di compagnia, accumulando per via il fardello di ben 68 anni di et?.

Ingrossata cos? la schiera dei competitori--talch? i cadetti nel 1781 erano cresciuti a 605, laddove nel 1776 toccavano il centinaio e mezzo appena--il malcontento dei vecchi ufficiali non ebbe pi? ritegno.

Nelle armi di linea, si impugnava in luogo delle tesi scientifiche il valore delle prescritte prove, per quanto si riferivano alla parte teorica del regolamento di esercizi e di quello sul servizio delle truppe in campagna. Il Senato ed il Savio, imbarazzati di fronte a questa selva di proteste che rimpinzavano di suppliche e di lagni le voluminose filze del carteggio, ordinarono infine alle commissioni reggimentali di rassegnare i titoli dei candidati e le prove di esame al Savio stesso, acciocch? questi potesse giudicare con uniformit?, di criteri, come in ultimo appello. Ma non per questo i lagni cessarono: occorreva un rinnovamento profondo di uomini e di principi per porre rimedio al male, e questo rimedio non poteva essere nelle mani della vetusta Serenissima.

Ma era troppo tardi. L'esercito Veneto cadeva giusto allora sotto la rovina della Repubblica, ed i provvedimenti escogitati dal Savio alla Scrittura Leonardo Zustinian non servirono ad altro che a formare argomento di curiosit? nella storia della vecchia organica militare dei Veneziani, ed a fornire oltre a ci? un buon esempio atto a comprovare come talvolta ad eguali difficolt?, o molto simili, ad onta dei mutati tempi, si procura di far fronte con espedienti assai affini.

Sparpagliati nei diversi presidi d'Italia e d'oltremare, gli ufficiali della Serenissima non erano tra loro in eguali condizioni d'istruzione e di addestramento professionale. Quelli poi che soggiornavano nella Dominante, per le loro occupazioni da guardia oligarchica e per i loro contatti con le primarie cariche dello Stato, godevano di un prestigio che non aveva riscontro con gli altri colleghi dell'esercito.

Lo stesso carattere della milizia veneta--prevalentemente levata per ingaggio--contribuiva oltre a ci? a creare attorno agli ufficiali stessi un ambiente molto affine a quello in cui trascorrono oggigiorno la loro esistenza gli ufficiali di taluni eserciti delle libere repubbliche d'America.

Nullameno, ad onta di queste circostanze poco favorevoli dell'ambiente--cristallizzato nelle vecchie pratiche e nei vetusti pregiudizi, sopravvissuti ancora dal tempo delle compagnie di ventura e del Quattrocento--la decadenza militare della Serenissima brilla ancora per il nome di qualche ufficiale, salito in fama unicamente per virt? propria; ci? che ? garanzia del suo merito indiscusso. E sono nomi cari non soltanto nel ristretto cerchio della Repubblica oramai moritura, ma eziandio in quello pi? vasto e luminoso della storia militare italiana.

Gli stimoli per suscitare una nobile gara di emulazione e di benemerenze tra gli ufficiali Veneti erano ben pochi. Le stesse ristrettezze del bilancio impedivano perfino di assolvere il sacrosanto obbligo contratto dalla Serenissima verso i prodi combattenti sotto le bandiere di Angelo Emo, assegnando loro quel grado e quello stipendio che erano stati decretati dal Senato per merito di guerra. Per questo titolo--abbench? con molta minor frequenza--si assegnavano agli ufficiali anche delle medaglie d'oro, con l'impronta del leone di San Marco, del valore medio di 30 zecchini.

Prima di lasciare l'argomento degli ufficiali veneti, occorre aggiungere ancora qualche cenno che valga a lumeggiare la loro posizione interiormente ed esteriormente all'ambiente militare del tempo.

I sistemi di ingaggio delle truppe--sopravvissuti a Venezia per lunga tradizione fino dall'epoca delle compagnie di ventura--riflettevano di necessit? sugli ufficiali la fisionomia particolare di comandanti non tanto d'uomini, quanto di custodi di merce acquistata a suon di quattrini dalla Serenissima sul mercato dei soldati di mestiere.

Dal capitano, comech? si trattasse di un vero e proprio possesso individuale, prendevano poi nome le altre compagnie, la cui anzianit? e disposizione nelle manovra era fissata dall'anzianit? del rispettivo comandante, dopo la compagnia del colonnello e degli altri ufficiali superiori del reggimento.

Il prevalente carattere mercenario delle milizie venete aveva inoltre, da tempo, avvezzi i governanti a considerarle quale strumento ligio all'oligarchia che le manteneva in vita; e tale modo di essere--contrario ad ogni libero svolgersi delle attivit? morali--si rifletteva necessariamente anche sul carattere degli ufficiali. Valgano a questo proposito due ordini di concetti: quello di servirsi degli ufficiali nelle operazioni poliziesche di maggior rilievo,--quale l'arresto fatto dal colonnello Craina, dei fanti oltremarini, del noto patrizio liberale Zorzi Pisani--e della fiscalit? continua esercitata sopra di essi--specie sui comandanti di compagnia--in tutte le manifestazioni amministrative; ci? che contribuiva a far ritenere gli ufficiali medesimi come asserviti di continuo ad una specie di stato di tutela da parte delle maggiori autorit? e magistrature competenti.

Ma, ad onore degli ufficiali Veneti, conviene pure soggiungere a questo punto che mai, nelle voluminose filze del carteggio militare della decadenza, si trova citato un caso che giustifichi codesta diffidenza fiscale, la quale d'altronde era connaturata nei tempi ed in molti eserciti d'allora, e che si ? tramandata per qualche traccia perfino a giorni non lontani dai nostri .

Se la grande massa degli ufficiali adunque--quelli di Linea-- trascorreva l'esistenza morale ed intellettuale in tale angusto cerchio di attribuzioni e di consuetudini, fatto ancora pi? uniforme dal grigio dell'inoperosit? della decadenza repubblicana, ci? non toglie che qualche altro corpo di ufficiali stessi--a base pi? ristretta ed a reclutamento pi? omogeneo,--non intravedesse degli spiragli verso orizzonti pi? audaci o verso aspirazioni che precorrevano il futuro.

Di ufficiali inferiori dell'esercito infine, coimplicati in movimenti politici, non si trova traccia nel carteggio della decadenza militare veneta. E questo serve da conferma, tanto del carattere di guardia oligarchica--conservato dall'esercito stesso fino alla rovina del governo della Serenissima--quanto della infondatezza del timore da alcuni nutrito che esso avesse potuto tralignare in mano di audaci e di novatori.

L'espressione di questo sospetto di tradimento--naturale d'altronde in ogni organismo inesorabilmente votato alla rovina--si trova in talune <> anonime trovate nei bossoli del Maggior Consiglio e del Senato durante l'anno 1796. Queste <> insinuavano di diffidare dell'ottuagenario tenente generale Salimbeni, comandante in capo delle milizie venete raccolte sotto la piazza di Verona e dei suoi figliuoli, tra i quali era il capitano Leonardo citato pi? sopra.

Uno di questi foglietti cos? diceva:

<>.

Un altro ancora proclamava:

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