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Read Ebook: La Zaffetta: Raccolta di rarissimi opuscoli italiani degli XV e XVI secoli II by Venier Lorenzo
Font size: Background color: Text color: Add to tbrJar First Page Next Page Prev PageEbook has 251 lines and 16872 words, and 6 pagesCon questi suoi giardin, fatti ? sua foggia, Confermati dal suo sagace amante, Si ritrovo sua maestade ? Chioggia, Et sbigotti quando l'apparse inante, Dicendo: Mia persona non alloggia Sta sera qui: va, barcaruolo, avante; Gira, poltron ; et piange e arrabbia, Ma patientia ? pur forza al fin ch'ell'habbia. Anima mia, speranza, figlia mia, Caro sangue, ben mio, dolce mia vita, Dicea il suo moroso in voce pia, Da me non fate sta sera partita. Cio ch'i ho, Angioletta, vostro sia; Con voi la robba mia non ? partita. Chiedete pur, non habbiate vergogna, Che chi per voi brama di far non sogna. Non puote allhor tenersi la puttana Di non ghignar, mentre facea cordoglio, Quando senti la proferta che spiana Di darle il tutto, et disse presto: I voglio Di restagno et veluto una sottana, Di quelle ch'? le feste portar soglio. Voglio una scuffia d'oro, e vo domane I vostri Pater nostri d'ambracane. La sottana, la scuffia, e i Pater nostri, L'Ave Marie, i Salmi et l'Orationi Havrete, figlia, pur c'hora si mostri Il vostro cor privo d'afflittioni, Rispose il gentil'huom: non de i par vostri Amorosi di fava, Ser coglioni, Che da le puttanaccie sopportate Con mille villanie le bastonate. Hor ella smonta, e non s'accorge havere Dietro una barca, di fottenti piena. Corre la turba ? furor per vedere La famosa Zaffetta d'error piena, Ch'indosso porta un mezzo profumiere. Parla da nimpha, e 'l passo move ? pena. Hora su questo, hora su quel s'appoggia, Et vol parer l'Imperatrice ? Chioggia. Il suo amante, che se ne traggea, Per farla andar piu di se stessa altera, Con voce da stupir pian le dicea: Voi sete di bellezza una lumiera. Hor fosse adesso qui Venere Dea, Che vedria 'l mondo chi ha miglior ciera; Poi soggionge: Madonna, un de vostri atti Questi Chioggiotti fa diventar matti. Con queste soie e berte profumate, Entraro i sotii, con sua Signoria, Dov'eran le vivande apparecchiate, Com'? gran gentilhuom si convenia; Et havendosi ognun le man lavate, ? cena se n'entro la compagnia, E in capo di tavola s'assetta La puttana Illustrissima Zaffeta. Silentio ? mensa, quando l'odor vola De gliarrosti per tutto; ella si tace. Con piene mani, piena bocca e gola Sol dice: Questo ? buon, questo mi piace; Et chi l'havesse chiesta altra parola, Non era per haver seco mai pace. Mangia e bee senza freno, anzi divora, Et buon per me, ch'era ? Venetia allhora. Venner l'ostreghe al fin, che tante e tante Ne mangi? su' altezza, che ciascuno Grido misericordia, e haveva inante Le scorze, che l'apri tutto 'l communo. Ma che ciancie cont'io? Suo largo amante, Ch'ordinato ha l'historia del trentuno, Piglia per man l'Angiola per diletto Dicendo: Sangue mio, andiamo al letto. Andiam, rispose, con un'occhio chiuso E l'altro aperto, l'Angela divina, Ch'addormentata nel letto entro giuso, Non sapendo se gli? sera o mattina. Quel giovine gentil, che non er' uso, Esser soiato da una fachina, Anch'egli in un balen fassi spogliare, Che vendicar si vuol, non vol chiavare. Pur trovandosi ritta la ventura Disse 'l Boccaccio, essendo buon fottente Havendogli ella volto per sciagura Il volto del seder solennemente, Ruppe due lancie, ciascuna piu dura, Poi al suo inanzi piu che mai valente Per dispreggio di lei venne, ? la volta, Et le fe quel servigio un'altra volta. Quella musica dolce in tuono grave, In tenore, in soprano e in contrabasso, Che l'havea messo dirietro la chiave Nel suo B molle accett? per ispasso Cacciato il sonno da la Signor' have, Per cui sentia tutto 'l suo corpo lasso, E rivolta ? l'amico disse: Dammi, Speranza, un bascio, e quella cosa fammi. Ei, c'ha preso la volpe et hormai vole De le malitie sue punirla presto, Rispose: Il corpo mi s'? mosso e dole, Anima mia, hor che vorra dir questo? E del letto esci, e senza piu parole E 'l lume piglia, et va ratto, e par mesto. Come la turba, che l'aspetta, il vide, Da compagnona smasselando ride. Dopo le risa, si conchiude ch'uno Gentil giovane vada ? principiare Il meritato honorevol trentuno, Col qual s'ha la Zaffeta ? disgradare. Hora 'l buon sotio senza indugio alcuno In camera entra, e comincia ? cantare Con il Priapo in man sodo in un punto Questa canzone allegro in contrapunto: La vedovella, quando dorme sola, Lamentarsi di me non ha ragione... Quand'ode il suono d'una tal parola La traditrice di tante persone, Che piu fuggir non puo, s'ella non vola, Ne i capelli et negliocchi le man pone, Che ben s'accorge che 'l trentun vien via, Per castigar la sua poltronaria. Eccoti il sotio, c'ha in mano un ferale, Che vol veder pur la Zaffetta in viso, Visto ch'ei l'ha, con bel parlar morale Disse: Signora, i vengo ? darvi aviso Come sta notte un trentuno reale Quel che v'adora vuol darvi improviso; Et pregha, se non ? qual meritate, Ch'accettando 'l buon cor gli perdoniate. Quand'ella sente la festa annontiarse, Al minacciar zaffesco ? un tratto corre, Et vol del sangue di colui satiarse Che la verginita l'ardiva ? torre. Con puttanesco pianto ? humiliarse Comincia poi, perch'? savia, e discorre Che 'l gentilhuom secondo del trentuno Chiavato ha dietro Borrino et ognuno. Dicea la Zaffa borse ? una Signora, Ch'in Vinegia ciascun la prima tiene, Ch'? fanciullina e 'l latte ha in bocca anchora, ? dar questo trentun non fassi bene. Deh Dio! ah Dio! volete voi ch'io mora, Magnifico Messer dolce e da bene? Se sta notte salvate l'honor nostro, Questo dritto e riverso ? tutto vostro. E duo sessi squinterna, in cui le frappe D'alcun che l'ama ogni vertu colloca. Ma 'l trenton, che le tocca e coscie e chiappe, Disse ch'ell'ha carne di grua e d'oca, Riccamata di brozze, come cappe, E negre, e schiffe in morbidezza poca. Non puzza, no, perche caccia i fetori De la bocca et de i piei con mille odori. Il giovin nontio del trentun gentile, Ch'? la libera vive per natura, La conforta ? far animo virile, Tal che la Zaffa stringhe, entra in bravura, Et chiama un'atto di persona vile Chi vendetta di far con donne cura; Ond'ei, ch'entreria in colera con Dio, Disse: Voltati in la, potta di Dio. Voltassi in la col capo humile e basso Sua Signoria, et ei, drizzato 'l stocco, Dietro ? la porta glie 'l messe per spasso, Non da lussuria, ma da un grizzol tocco. E qui ?, Signor, da notar un bel passo, Per cui ? Chioggia invidia ha Malamocco. Non so s'? me' tacerlo o meglio dirlo, Ma serri gliocchi chi non vuole udirlo. Lo stocco di quel giovane ch'io dico, Essendo duro, parea proprio un sasso; L'ostreghe che 'nghiotti la Zaffa amico Andando vive pel suo corpo ? spasso, A quello s'aggrappar con forte intrico. Sentendo questo il gentil'huomo, un passo Tirossi in dietro; e 'l stocco dischiavato, D'ostreghe 'l vide tutto riccamato. Et cosi, com'egli era, uscendo fuora, Il miracolo ? i sotii mostro chiaro. Le risa che di cio fur fatte allhora, Non ve le contarebbe un calendaro; E mentre le reliquie la Signora Tenea scoperte, e facea pianto amaro, Eccoti un pescator pazzo e bestiale, Ch'un mezzo braccio ha lungo il pastorale. Et senza dir: Cor mio, ne dar conforto, ? lei s'aventa e la gran lancia arresta, E con un guardo villanesco e torto Le coscie l'apre, et incartolla ? sesta. Grido la Zaffa: Matti, tu m'hai morto; E su la sponda inchinando la testa, Stette tanto in angoscia et in dolore, Che venne un'altro in cambio al pescatore. Questo quarto ? chiavarla parse ? lei Pur pescator, ma di natura pia, E 'nginocchioni lanciosegli ? i piei, Dicendo: Huomo da ben, chi tu ti sia, Se mi scampi di man de i farisei, Facendomi fuggir per qualche via, Queste gioie et catene vo donarti, Et diece e venti volte contentarti. Non voglio gioie, non voglio catene: Vo fotter, disse Marcon ? la pace; Et voltatala in giuso con le schiene, La balestra scarco due volte in pace. Dopo costui un barcaruol ne viene, Che 'l chiavar di buon core piu gli piace, Che la merenda non fa su la barca, Se bee senz'acqua al boccal vin di Marca. Mentre Ser barcaruol facea i suoi fatti, Ecco ? la porta una quistione appare, De la camera dico, perche ratti I Chioggiotti son corsi per chiavare, Come su i coppi di Genaro i gatti Corron con incazzito imagolare; E la Zaffa barette ahime dicea, E 'l gentilhuom di fuor le rispondea: Madonna mia, il mondo ? fatto ? scale. Sempre non ride del ladro la moglie. ? Chioggia scende chi ? Venetia sale, E pur tallhor de le volpi si coglie. Voi rideste di me di carnevale, Quando ch'i havea del vostro amor le doglie: Hor di quaresma io mi rido di voi, Et cosi pare il gioco va fra noi. Ah! crudele, ah! ingrato, ove, ove sono Le berte date ? me, quando volevi L'arrosto, che parendoti ognhor buono: Dammelo, cara mammina, dicevi? Signor mio caro, io vi chieggio perdono, Et se mi concedete ch'io mi levi Questo trentun dadosso, che m'accora, Vi saro sempre schiava e servitora. Rispose il gentilhuom da lei tradito: Adesso vien ampia commissione, C'havra il voto vostro esaudito. State col cor contrito in oratione. In questo, un c'havea, com'un romito, La conscientia senza discretione, Da traditor, da turco e da giudeo, L'apri con la sua chiave il culiseo. Con il carbon stava un, segnando al muro Tutte le botte ch'eran date ? lei; Et quando ? lei sei volte giunte furo, Grido colui ad alta voce: E sei. Vien via un'hortolan dal pinco duro, Dicendo: Tu la mia speranza sei; Et senz'altro prohemio compi presto La sua facenda, fatta in luogho honesto. E sette, gli dicea quel dal carbone. Ispacciatevi, giovani, c'ho fretta. Tocca la volta ? un fante poltrone, Non uso ? mangiar carne di capretta. Costui adosso in modo se le pone, Che vomitar fece ? la poveretta Quel ch'ella 'l di mangio, poi cheto cheto Le pianto il suo ravano di drieto. Numero otto gia nel muro appare. Ma qui ne vien il buon, comincia adesso, De la comedia il secondo atto appare. Esce in campo un fachin soffiando spesso, Che vuole un porro di dietro piantare ? colei, ch'ogni cosa ? sacco ha messo, Et senti tal dolceza il buon compagno, C'hebbe ? morir sul buco, come 'l ragno. Levato in pie fece un salto da matto: Berghem, berghem, gridando ? la fachina. Par proprio un gallo c'ha fatto quel fatto ? la sua bella morosa gallina, Che, smontato ch'egli ?, scuotesi un tratto, Canta una volta, et ? beccar camina: Cosi 'l fachin, de lo sborrar satollo, A legar ritorno non so che collo. La Signora fottuta ? capo basso Piangeva ad alta voce si dolente, C'havrebbe humiliato un Sathanasso, E un bulo in bizzaria fatto clemente. Dicea: Deh! perche 'l petto hor non mi passo, Acio i non senta cianciar fra la gente, A San Marco, ? i Frari, e da ciascuno, Ch'io degnamente habbia havuto 'l trentuno? Hor sera pur contenta questa e quella, Invidiosa di mia buona sorte. Come 'l Venier lo sa, fara novella, Perch'aprir non gli volsi un di le porte. Gia ogni barcaruol di me favella, Et parmi udir da i putti gridar forte, Sul ponte di Rialto, a cio s'intenda: Chi vol de la Zaffetta la leggenda? Le lamentation di Geremia Volea seguir, quando giunser due frati, Dicendo: Chi ? quello? Ave Maria, Vogliam, Signora, de vostri peccati Fornir di confessarvi, a ci? non sia L'anima vostra scritta fra i dannati. Et l'uno et l'altro ? la Zaffa divotta Cacciar dietro e dinanzi una carotta. Ma che vad'io contando ad uno ad uno? Eccoti che sforzata ? pur la porta. Chioggia ? venuta ? furore, ? communo, Per haver la sua parte de la torta. ? fatto gia mescolanza d'ogniuno. Ciascuno di chiavarla si conforta, Et dadosso se l'? tolto uno a pena, Che l'altro ? corso ? farla trar di schena. Havete visto la dal Vener Santo, Quando ch'ogni plebeo vuol confessarsi, Stare la turba su l'ali da canto, Ch'al confessor, come puo, vol lanciarsi: Cosi, mentre l'un chiava, l'altro intanto Sta desto, et vuol con la diva attaccarsi. Son sempre cinque o sei c'hanno 'l pie mosso, Ch'ognun prima vorria salirle adosso. Colui che col carbon segna le botte, Si presto che segnar le puo ? fatica, Sendo passata piu che mezza notte, Disse: Brigata, e convien pur ch'io 'l dica: Settanta nove lancie havete rotte Contra la vostra gagliarda nimica, Si che una botta sola ? far ci resta, Et poi ? Dio, che finita ? la festa. L'ultima volta far volse un piovano, Ch'in chiavar monasteri ognialtro passa, Il qual fessi menar suo cane ? mano, Poi la rivescia sopra d'una cassa, Et glie lo mette in la vulva e ne l'ano; Et stringendo 'l poltron la testa abbassa, Perche 'l fetore ammorba il can gentile De l'oglio humano et de l'onto sottile. Un miro d'oglio e di buttiro havea In corpo la Zaffeta a pena viva, Il qual di dietro e dinanzi piovea Su i calcagni e su i piei con foggia schiva. Onde 'l piovan per lo suo can chiedea Di quelle carezzine con che priva Sua Signoria i suoi morosi cari Di cervello, d'honore e di dinari. Ma perche 'l giorno ne vien ? staffetta, Il gentilhuom che l'annontio 'l bel gioco In camera entra, et via caccia con fretta Il piovan goffo, gaglioffo e da poco; Poi con una sua dolce predichetta Riconforta Madonna Angiola un poco, Et le fa creder ch'un soverchio amore ? stata la cagion d'un tanto errore. Havete voi persa la vita, Per ottanta con gratia chiavature? Hor sete voi la prima in cio fornita? Per tutto 'l mondo son de le sciagure. Ci havete obligo assai, sendone uscita Sana per tutto, benche grosse e dure Siano state le lancie ne la giostra, Eterna gloria ? la Signoria vostra. L'Angela piange e dice: O sventurata, Come comparirai fra le persone? La mia grandezza in tutto ? ruinata. Son'io da strapazzar con un trentone? Monaca mi vo far per disperata, Ne fin ch'io vivo piu farmi al balcone. Et cio dicendo il corpo le fa motto, Ond'ella ando sospirando al condotto. Nel render le borsette parse un frate, Che di minestre scaricasse 'l ventre, Et una squadra d'anime non nate Convien che ne la bocca al condotto entre, In mandragole, in rane trasformate, In scorpioni, in tarantole; e mentre Il suo bisogno al condotto facea, L'oglio favale per tutto correa. Col suspiramus lachrimarum valle Rivestissi levata dal condotto, Pregando il gentilhuom, con basse spalle, Che del trentuno suo non faccia motto. Il da ben sotio il giuramento dalle Che solamente dira che fur otto, Et cosi de fottenti il gran collegio Le fe la gratia, e dielle 'l privilegio. Poi trovossi una barca da melloni, E piantataci su sua Signoria, Fu menata ? Venetia senza suoni Che l'havrian tratta la meninconia. Rimasti ? Chioggia, quei compagni buoni Scrisser per ogni muro e in ogni via Come l'Angela Zaffa nel trent'uno, ? i sei d'Aprile, habbia havuto 'l trentuno. Hor la Zaffetta ? giunta in casa, e botta. Subbia, chiama e bestemmia in voci ladre. Di bastonar le massare borbotta, Onde l'aperse la riva sua madre, Et vedendo la figlia mal condotta, Chiama Borrino, suo addottivo padre, Et serrata la riva su le scale, Stramorti la puttana universale. Posta nel letto, d'aceto rosato Bagnati i polsi, et di fresche acque il viso, Lo spirto mariol l'? ritornato; Et riguardando la sua madre in viso, Disse: Quel traditor, che m'ha menato A Chioggia, ch'ei sia arso et sia ucciso; Dar m'ha fatto un trentuno il traditore. Mio pare, i vo che gli mangiate 'l core. Quando la madre l'alza i panni, e vede Il suo quadro, e 'l suo tondo rosso, e rossa, E l'uno e l'altro enfiato, certo crede In fra due hore andarsene in la fossa, Et con gran pianto il suo barbiero chiede, Che venne presto, e sta in dubbio se possa Guarirla o no, ma pur con certa ontione L'unghie 'l seder, e l'unghie 'l pettiglione. Add to tbrJar First Page Next Page Prev Page |
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