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Munafa ebook

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Read Ebook: La cartella N. 4 by Colombi Marchesa

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Ebook has 878 lines and 35636 words, and 18 pages

Ho cambiato i nomi, ed ecco il manoscritto come l'ho ricevuto.

Una fanciulla dev'essere pura come un lembo di cielo, come un giglio, come una colomba, come tante cose rettoriche, della cui purezza non so chi risponda, -- specialmente per la colomba.

Le belle signore, che leggeranno forse queste memorie alla lampada del loro salottino ben caldo, -- mentre Marietta prepara la loro abbigliatura pel teatro, e Giovanni striglia i cavalli che debbono trascinarle nella carrozza imbottita di raso, -- si mettano una mano alla coscienza e mi dicano:

-- Quando si sono maritate non ne sapevano pi? di cos?? Proprio no?

Ebbene, credano a me; non se ne insuperbiscano. Si ricordano che trincieramenti di babbi, di mamme, di zii, di prozii, di istitutrici, avevano intorno quando andavano fuori? E nessuna lettera giungeva mai fino a loro senza essere passata sotto gli occhi dei parenti. E di visite da sole non ne ricevevano. Ed alle feste ballavano soltanto con giovani, del cui procedere un comune conoscente si fosse in certo modo reso garante colla presentazione.

Avrebbe dovuto essere ben poco gentiluomo, chi in simili circostanze avesse osato dire una parola.... fuor di tempo. -- E per acquistare, in fatto d'amore, delle cognizioni oltre quelle fornite dalla grammatica, una signorina avrebbe dovuto metterci della buona, -- o piuttosto della cattiva volont?.

Ho premesso tutto codesto per arrestare nelle mani delle signore senza peccato la pietra, che mi avrebbero forse gettata fin dalle prime pagine del mio racconto.

La mia mamma abitava Livorno Torinese. Era vedova con quattro figlioli, ed io era la maggiore. Si viveva tutti del frutto d'un poderino minuscolo; era un magro vivere, ma si viveva.

Io avevo frequentato le scuole comunali, poi avevo continuato a studiare coll'aiuto della maestra, nell'idea di ottenere anch'io il diploma di classe inferiore. Quella maestra era istrutta, aveva molti anni di pratica, ed aspirava ad un posto migliore; ed io aspiravo a prendere il suo, quando lei lo avesse lasciato. Trecento lire e l'alloggio, aggiunto ai frutti del nostro palmo di terra, per noi che avevamo pochi bisogni ed abitudini modeste, sarebbero stati una fortuna.

Ci si pensava sempre. Si facevano progetti su progetti:

-- Trasportarci tutti nella casa magistrale; -- erano tre camere, ma bastavano: non ne avevamo mai avute di pi?. -- Vivere come s'era vissuto fin allora, soltanto con qualche privazione di meno; perch?, gi?, c'erano giorni in cui non si metteva la pentola al fuoco; e, se ci fosse venuto quell'aumento di rendita, codesto non sarebbe pi? accaduto. Esser sempre ben coperti l'inverno, e far fare a tutti i ragazzi le quattro elementari prima di mandarli ad un mestiere....

Io mi sentivo superba e contenta d'essere il perno su cui s'appoggiavano questi disegni facili a realizzarsi, e che ci avrebbero permesso di vivere tutti uniti, i figlioli sotto gli occhi della mamma, fintanto che fossi stata pi? matura. Poi avrei potuto sperare un posto onorevole, da istitutrice in una buona famiglia, o da direttrice in un collegio...

Un giorno venne fuori a trovarci una zia che avevamo a Torino, e mi parl? di certi impieghi al telegrafo che si davano alle donne.

Si guadagnava di pi? che a far la maestra, c'erano speranze di aumento, si poteva capitare a vivere in citt?.... Via; era una carriera aperta come per gli uomini; e punto faticosa....

La mia testa cominci? a fantasticare su quel tema. Il progetto di fare la maestra nel mio piccolo paese a tutti quei contadinetti che conoscevo e che mi conoscevano, mi parve meschino. Una maestra cosa poteva aspettare dall'avvenire. Mentre una telegrafista, era un impiegato governativo.

Avrei sempre portato denaro alla mamma; con uno stipendio che col tempo avrebbe potuto salire fino a cento lire al mese...! Figurarsi! Noi, in cinque che eravamo, non avevamo mai spese, e neppure vedute cento lire al mese.

Fu la stessa zia di Torino che mi fece andare a casa sua, e mi tenne con s? parecchi mesi, bench? fosse povera, per mandarmi alla scuola di telegrafia, ed avviarmi a quella nuova carriera aperta alle donne, che dev'essere la gloria, il trionfo dell'onorevole Salvatore Morelli; l'alloro che gli far? da primo guanciale per riposarsi delle sue fatiche parlamentari. Il secondo guanciale glielo far? il divorzio.

Non voleva neppure i miei piccoli guadagni che servivano a vestirmi. Non mi rimase mai nulla da mandare alla mamma. Ma era naturale. Ero in principio di carriera. Una volta che avessi avuto un impiego fisso, con un buono stipendio -- allora s? che avrei potuto aiutare la mia famiglia.

Finalmente, dopo un lungo tirocinio, e tante suppliche, ricorsi, palpiti da pigliarne una malattia di cuore, lo ottenni quel sospirato impiego; e nientemeno che negli uffici telegrafici di Milano, con uno stipendio di ottocento lire all'anno.

A noi parve di veder giungere in casa Giove trasformato in pioggia d'oro con quella notizia. Dico a noi cos? per dire; ma la zia, poveretta, ed i suoi bambini non sapevano nulla di Giove e delle sue metamorfosi. E quanto alla mamma, lei non si rallegrava di quell'avanzamento.

Aveva le idee piccine. Le pareva che sarebbe stato meglio guadagnare soltanto trecento lire e stare in paese, e vivere tutti uniti aspettando il meglio per quando fossi stata matura, che andare in giro, una figliola di diciotto anni, sola per il mondo, a far l'impiegato.

-- D? retta, -- mi diceva. -- Codeste cose sono buone per le signorine venute al meno, che hanno la famiglia in citt?. -- Andranno all'ufficio come tu dici; ma accompagnate dalla mamma o dal babbo; e, fuori di l?, saranno ancora coi loro parenti. Per quelle lo capisco; ? un lavoro come un altro. E poi ancora, se dentro gli uffici debbono stare cogli impiegati, non ce le dovrebbero mettere prima de' venticinque o trent'anni.

Lei non lo sapeva che uomini e donne sono eguali davanti al progresso, e che l'emancipazione non ammette giovinette inesperte.

La lasciai accorata, povera donna, e venni sola a Milano. N? lei n? la zia potevano fare la spesa del viaggio per accompagnarmi, e tutte e due avevano bambini da custodire.

Appena giunta mi presentai al capo d'ufficio, e lo pregai di dirigermi un poco nella mia installazione.

-- Non ha altre risorse che il suo impiego? -- mi domand?.

-- Altre risorse! Ma il mio impiego mi frutta ottocento lire, -- risposi sbalordita. -- Sessantasei lire e sessantasei centesimi al mese con una frazione continua....

-- Trovare una pensione a questo prezzo ? difficile, -- borbott? quel signore.

Io cascavo dalle nuvole. Dovevo spendere sessantasei lire e sessantasei centesimi soltanto nella pensione? E vestirmi? e mandare qualche cosa alla mamma! -- Ma che! Quel signore, aveva idee troppo grandiose. Noi in casa con poco pi? d'una lira al giorno si viveva tutti.

Il capo d'ufficio ebbe forse piet? della mia inesperienza. Si occup? del mio magro affare, e gli riesci di collocarmi in una pensione dove mi davano alloggio e vitto per cinquantacinque lire.

A me pareva una spesa enorme. Ma pi? tardi mi accorsi che per vivere in citt? era pochissimo.

Alla fine del mese, appena ebbi riscosso il mio denaro, m'affrettai a pagare la padrona di pensione ed a fare un vaglia delle altre undici lire per la mamma. Coi sessantasei centesimi che avevo serbato per me, pagai il vaglia postale ed il francobollo, e rimasi a secco.

Quando uscivo la mattina per andare all'ufficio le botteghe erano chiuse, le strade quasi deserte; qualche lattivendolo, qualche panattiere col cesto in capo come il gran panattiere di Faraone, era tutta la gente che incontravo. Al ritorno gli altri impiegati salivano nell'omnibus. Io facevo la strada sola, a piedi, nel fango, pensando quali vantaggi mi procurava mai quell'impiego, che era sembrato a me ed a' miei un colpo di fortuna.

La mamma scriveva che della mia lontananza risentiva soltanto il danno. Quanto al mio mantenimento risparmiato non se ne accorgeva neppure. -- E dire che a me quel mantenimento costava cinquantacinque lire! Cosa vuol dire separarsi!

Ed intanto si lagnava che non m'aveva pi? accanto, che non l'aiutavo pi? a custodire i bimbi ed a fare la massaia.

Le undici lire le aveva ricevute, ma mi raccomandava di non mandargliele pi?, povera donna, e di serbarle per rinnovare gli stivalini e gli abiti.

Sulle prime, la novit? di trovarmi in una citt? grande, d'andare e venire sola, di sedere a tavola in una pensione con molta gente, di raccontare la mia posizione eccezionale, e di ripetere ancora ed ancora alla padrona di pensione, ed alla serva stupefatta, ed ai compagni di tavola, che ero impiegata come un uomo, e che guadagnavo come un uomo, mi mantenne in uno stato d'esaltazione, e mi sentii felice.

Ma alla fine del secondo mese, quando la padrona di casa mi present? il conto della lavandaia, quello della stiratrice, pi? due lire pel lume che non era compreso nella pensione, in tutto nove lire che dovevo sborsare pigliandole sulla mesata ventura, cominciai a sgomentarmi.

Intanto era finito l'ottobre, ed il novembre cominciava con un freddo invernale. La sera gelavo nella mia stanza. Qualche volta mi lasciai andare al lusso di accendere il camino mentre stavo alzata a dare qualche punto alle biancherie, ed a ravviare gli abiti. Ma la spesa della legna era superiore a' miei mezzi. Quel mese, tolta la pensione e quelle nove lire di conti pagati, m'erano rimaste due lire per le spese straordinarie. Nella nostra povera casa non m'ero mai trovata in quegli impicci.

Giorno e notte pensavo al modo di diminuire quelle spese. Rinunciai a ber vino per farmi ribassare di qualche lira il prezzo della pensione; ma tant'? tanto, se mi riesciva di pagare la lavandaia, la stiratrice ed il lume, per la legna non mi rimaneva nulla. E quel ribasso di prezzo aveva anche ribassata l'opinione che la padrona di casa aveva di me. Mi trattava con disprezzo.

Era una vita arida e noiosa. Casa e studio, studio e casa, coi piedi umidi, le membra assiderate, il pensiero occupato da calcoli minuti ed uggiosi, nessun'affezione per consolarmi, nessuna distrazione. -- Ed i miei abiti si sciupavano, le mie scarpe si logoravano.

Eppure guadagnavo ottocento lire all'anno. Avevo raggiunto il mio sogno di grandezza, il mio ideale. Dio! che delusione!

Ero anche bellina. Quando andavo, sola e male in arnese per le strade, c'era spesso chi mi diceva parolette dolci, chi si offriva d'accompagnarmi, ed anche con molta insistenza e senza troppo rispetto.

Allora mi venivano in mente i discorsi della mamma, e le sue paure. -- Ma poi tornavo alle mie idee:

-- Quando le donne hanno un'occupazione seria, e pensieri seri, non cadono in leggerezze. La loro vanit? dipende appunto dalla vita oziosa e senza responsabilit? a cui sono condannate, ecc. ecc.

A me i pensieri seri non mancavano. -- Avevo niente meno che da risolvere il problema di andar vestita, bene o male, di calzarmi, e di non gelare, senza spender denaro.

Ma tuttavia avevo diciotto anni. -- Due, tre, quattro uomini, dieci, mi sembrarono insolenti e brutali colle loro parole galanti. Poi ne venne uno che non mi sembr? insolente n? brutale. -- Era giovane, serio; per un pezzo mi segu? senza dirmi nulla, mi guardava soltanto; ed io la notte, nella mia stanza solitaria e fredda, rivedevo quello sguardo che la riempiva di calore e di luce.

Poi un giorno, entrando a pranzo dalla padrona di casa lo vidi l?, alla tavola della pensione. -- Aveva veduto dove abitavo, ed era venuto; s'era anche collocato accanto a me. Non mi aveva parlato brutalmente in istrada. Aveva presa una via lunga, mi si presentava come si usa tra gente ammodo. -- Gliene tenni conto; forse troppo.

Mi sentivo autorizzata a discorrere con lui come cogli altri della pensione; e ne profittai. -- Mi gettai a capo fitto in quella prima gioia; il mio cuore, giovane e caldo, sussultava alle sue parole. -- M'innamorai pazzamente, sinceramente.

Oh, se m'avesse veduto la mia mamma, uscire, di sera, con quel giovane, rientrar tardi, agitata, impaurita, coll'anima combattuta tra la passione ed il rimorso.

Come avrebbe, ripetuto, povera donna, che gli impieghi di quella sorta si dovrebbero dare soltanto alle ragazze che hanno la famiglia in citt?, che vanno all'ufficio accompagnate dalla mamma, e che per giunta non sono pi? giovani. E che sarebbe stato meglio accontentarmi del posticino di maestra in paese a trecento lire, e vivere tutti uniti!

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