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Munafa ebook

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Read Ebook: Storia d'Italia dal 1789 al 1814 tomo V by Botta Carlo

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Ebook has 276 lines and 101955 words, and 6 pages

STORIA D'ITALIA

DAL 1789 AL 1814

SCRITTA DA CARLO BOTTA

TOMO V

STORIA D'ITALIA

LIBRO DECIMOTTAVO

SOMMARIO

Accidenti fierissimi, e pieni di sangue nel regno di Napoli. Estremo coraggio delle due parti. Il cardinal Ruffo si fa padrone di Napoli. Uccisioni crudelissime che vi seguono. I castelli si arrendono al cardinale, ed agli alleati con patto, che siano salve le vite, e le sostanze dei repubblicani. Nelson sopraggiunto rompe la fede; supplizj lagrimevoli: si ristaura in tutto il regno l'autorit? regia. Lo stato Romano viene in potest? dei confederati, eccettuata Ancona. Singolar risoluzione di Lahoz, generale Italiano, e sua morte. Bella difesa del generale Monnier in Ancona: finalmente si arrende con patti onorevoli. Tutta l'Italia a divozione dei confederati.

L'ordine della storia mi chiama adesso a cose maggiori: molto sangue civile versato dalle bajonette, molto dalle mannaje; Italiani straziati da forestieri, Italiani straziati da Italiani; pensieri smisurati da ambe le parti; la crudelt? sotto nome di giustizia, un coraggio estremo in casi estremi; il valore contaminato dalla perfidia; Russi, Tedeschi, Turchi, Inglesi, Napolitani, Romani, Toscani in un viluppo; aquile bianche con un becco, aquile nere con due becchi, leopardi con le rampe, la repubblicana donna, la Nostra Donna, la Ottomana luna, la croce dei cristiani sulle bandiere; l'inferiore Italia tutta sdegnata, furibonda, sconvolta, sanguinosa; discorsi civili, opere barbare, proteste d'umanit?, et? da Genserico; e chi vanta i tempi moderni, non so di qual razza sia. Ferdinando, Carolina, Acton eransi ritirati in Sicilia, lasciando Napoli in mano dei Francesi, che badavano ai fatti loro, ed ai Napolitani, amatori della libert?, che sognavano la repubblica. Ma non se ne stava il governo regio senza speranza, che le sue cose avessero presto a risorgere, perch? non ignorava la forte lega, che si era ordita in Europa contro la Francia, e sapeva, che i dominj dei Francesi nei paesi forestieri, massimamente in Italia, sono sempre brevi. Egli medesimo si era congiunto per trattati d'alleanza con le potenze, che facevano o volevano far la guerra ai Francesi. Gi? fin dall'anno ultimo aveva stipulato con l'Austria, che in caso di guerra e d'invasione di territorj, Napoli avesse ad ajutar l'imperatore con quarantamila soldati, l'Austria Napoli con ottantamila; e se quando il re corse contro i Francesi a Roma, l'imperatore non accorse in suo ajuto, ci? fu, perch?, essendo il re l'aggressore, non era caso d'invasione, e perci? non d'alleanza; n? l'Austria aveva preste le armi, come ella avrebbe desiderato. Aveva anche il re contratto amicizia con la Gran Brettagna per un trattato, pel quale il re Giorgio si obbligava a tenere una grossa armata nel Mediterraneo a tutela e conservazione degli stati Napolitani, e il re Ferdinando si dichiarava obbligato a tener aperti i porti alle navi Inglesi, a dare all'Inghilterra tre mila marinari, ed a congiungere con l'armata Britannica quattro navi di fila, quattro fregate, e quattro altri legni pi? sottili. Poi Nelson vittorioso molto confortava le Siciliane speranze. Medesimamente per un trattato concluso con l'imperatore Paolo, si era la Russia obbligata a mettere sulla campagna in ajuto del re nove battaglioni di fanti, e ducento Cosacchi, gli uni e gli altri da aumentarsi in caso di pericolo prossimo, ed il re si obbligava dal canto suo a sborsare a Paolo centottantamila rubli pel viaggio, e a dare il vivere, quando fossero giunti nel regno, a quei settentrionali soldati. Perch? poi quella repubblica Francese, che era per se stessa una tanto strana apparenza, avesse a produrre nel mondo accidenti ancor pi? strani, il re Ferdinando aveva fatto alleanza coi Turchi, con avergli il gran Signore promesso, che manderebbe ad ogni sua richiesta, e senza alcun suo aggravio diecimila Albanesi in suo ajuto. Quest'erano le promesse, e le capitolazioni dell'Europa civile, e dell'Europa barbara in favor di Ferdinando: gli scorticatori delle teste Francesi dovevano venir ad usare l'immanit? loro sotto il dolce clima delle Napolitane contrade. A questo dava favore e facilit? la conquista di Corf? fatta dai Russi e dai Turchi, quando appunto gli ajuti loro erano divenuti pi? necessarj al re Ferdinando. Era arrivato il tempo propizio a riconquistare il regno per la ritirata di Macdonald da Napoli. Non aveva la repubblica messo forti radici nel regno, s? pel duro dominio dei repubblicani di Francia, s? per le astrazioni di quelli di Napoli, e s? finalmente per gl'ingegni mobili dei Napolitani.

Sperava adunque Ferdinando negli ajuti degli alleati, e nelle inclinazioni dei popoli. Per conservarsi la grazia dei primi aveva in Sicilia tenuto Acton in istato, per muovere i secondi mandato Ruffo in Calabria. Gi? abbiamo narrato, come il cardinale, creato l'esercito cogli aderenti proprj, poi ingrossato coi nemici dei repubblicani, aveva mosso a romore, e ricondotto alla obbedienza le due Calabrie quasi tutte, la terra di Otranto, la terra di Bari, ed il contado di Molise. Gente feroce ogni giorno a gente feroce si accostava, i pi? per sete di vendetta, o per avidit? di sacco, pochi per amore del nome regio. Uomini scelerati si segnavano con la croce di Cristo, in ogni luogo invece degli alberi della libert?, piantavano le croci, venerato e santo segno, posto in mezzo al sangue ed alle rapine. Erano accorsi con le bande loro al cardinale, Proni, Mammone, Sciarpa, fr? Diavolo, Decesari, dei quali io non so dir altro, se non che deploro la causa regia di avergli avuti per difensori. Un'altra mossa popolare era sorta, che molto ajutava il cardinale, per instigazione del vescovo di Policastro, contro il governo repubblicano, la quale su le rive del Mediterraneo correndo, minacciava Salerno e Napoli. Anche il conte Ruggiero di Damas correva le campagne con uomini speditissimi, e sollevava a furore quelle popolazioni tanto facili ad esser concitate. Il cardinale, vedutosi forte, elevava l'animo a maggiori imprese. Perloch?, volendo torre alla capitale del regno quel pingue granajo della Puglia, e facilitare anche in quelle spiagge gli sbarchi dei Turchi e dei Russi, s'incamminava contro Altamura, perch? andando all'impresa di Puglia, non voleva lasciarsi dietro quel seggio di forti repubblicani. Fattosi sotto le mura, ed intimata la resa, gli fu risposto audacemente da quei di dentro, che niun'altra risposta volevano dare, se non di armi. Amavano veramente la repubblica, ed erano uomini di gran cuore: l'arrendersi poi non sarebbe stato meno pericoloso che il combattere, per la natura della gente sfrenata, con la quale avevano a fare. Diede il cardinale furiosamente la batter?a, e quantunque gli Altamurani virilmente si difendessero, aperta la breccia, vi entrarono i cardinalizj per estrema forza, e recarono in mano loro la terra. Qui le cose che successero, io che gi? tante orribili ne ho descritto, ripugno a raccontare. Solo dir?, che se Trani ed Andria furono sterminate dai repubblicani, con uguale immanit? fu sterminata la miseranda citt? di Altamura. Usossi il ferro, usossi il fuoco, e chi pi? incrudeliva, era miglior tenuto, e chi mescolava gli scherni, le risa, gli orribili oltraggi contro la pudicizia alle preghiere supplichevoli, ed alle lamentazioni disperate dei tormentati o degli immolati, era da quegli uomini disumanati applaudito. Queste cose si facevano in cospetto di un cardinale di santa chiesa, o lui comandante, o lui tollerante, o lui contrastante, degno di eterno biasimo nei due primi casi per l'atto, degno ancora di riprensione nell'ultimo per non avere abborrito dal continuar a reggere gente, a cui era diletto lo stuprare, il rubare, il tormentare, l'uccidere. Da tante crudelt? volle Iddio, o piuttosto gli uomini sfrenati che in nome suo parlavano, che fosse accompagnata la restituzione della monarch?a e della religione in Napoli: quest'erano le opere dell'esercito, che col nome di cristiano s'intitolava. Ad uguale sterminio fu condotta la citt? di Gravina prossima ad Altamura, e posta sulla strada per la Puglia.

Conseguita la vittoria d'Altamura, andava il cardinale a porre le sue stanze ad Ariano nel principato ulteriore. Quivi le citt? principali di Puglia, spaventate dal caso d'Altamura e di Gravina, spente le insegne della repubblica, e seguitando scopertamente il nome del re, concorrevano coi deputati loro a giurare obbedienza. Vennervi i delegati di Lucera, Manfredonia, Andria, Bari, Ascoli, Venosa, Bitonto, Barletta, Trani: tutto lo stato della repubblica rovinava, e ritornavano con grandissimo impeto della fortuna a Ferdinando tutte le terre, e le fortezze pi? principali. Solo Foggia, capitale, assai fiorente, ricca, popolosa e piena di amatori dello stato democratico, ancora si teneva; ma l'essere tornata tutta la provincia a divozione del re, di? facilit? ai Russi, Inglesi ed Ottomani di sbarcare, come fecero, sulle rive del golfo di Manfredonia nel novero di circa milaquattrocento condotti dal cavaliere Micheroux; marciarono contro Foggia, e la ridussero in poter loro. Correva un giorno di fiera, quando vi entrarono: i popoli spaventati al vedere quelle genti strane, che avevano nome di valorose e di feroci, sparsero tosto le sinistre novelle pei paesi circonvicini. Il terrore dominava, e se qualche luogo era rimasto fedele alla repubblica, questo concorreva prestamente con gli altri all'obbedienza verso il vincitore. Parte dei soldati forestieri si congiunsero col cardinale in Ariano, e parte andarono a trovare sulle rive del Mediterraneo il vescovo di Policastro, che aveva combattuto infelicemente contro i repubblicani. Venne con questa seconda schiera Micheroux medesimo, che valorosamente guerreggiando pel suo signore, aveva in odio la ferocia delle turbe indisciplinate, e si sforzava, ancorch? fosse indarno, di frenarle. I rinforzi condotti da Micheroux, rendettero superiori i regj; anzi tanto s'avvantaggiarono, che non ostante che i repubblicani con frequenti e forti battaglie cercassero di arrestargli, arrivarono, conquistati i passi importanti d'Eboli e di Campistrina, sotto le mura di Salerno, e se ne impadronirono. Gi? tutte le province avendo obbedito o per amore o per forza alla fortuna del vincitore, la guerra si avvicinava a Napoli. Il cardinale, per istringerla, era venuto, calandosi da Ariano, a porsi a Nola, mentre Micheroux si era alloggiato a Cardinale. Eransi anche i regj fatti padroni della Torre del Greco. Da un'altra parte Aversa, rivoltatasi dalla repubblica, aveva chiamato il nome del re. Questo accidente interrompeva le strade da Napoli a Capua, in cui Macdonald partendo, aveva lasciato un presidio di duemila soldati. La medesima ubbidienza seguitava l'Abruzzo, perch? Proni, sollevato prima l'Abruzzo superiore, dove ad eccezione di Pescara, in cui si era rinchiuso il conte Ettore di Ruvo, ogni cosa veniva in poter suo, scendeva a far levare l'inferiore. Veramente tanto vi fece con la forza e con le persuasioni, che l'autorit? regia vi fu rinstaurata sino prossimamente a Gaeta, munita di un presidio Francese. Per tale guisa furono tagliate tutte le strade tra Napoli e Roma. In questo mentre comparivano le navi Inglesi in cospetto, e mostrarono ai repubblicani, che la strada del mare era loro interdetta come quella di terra, e che nissun'altra speranza rimaneva loro, se non quella di un disperato valore, poich? nella clemenza del vincitore non potevano in modo alcuno fidare. Avevano innanzi agli occhi il prospetto di Procida isola, nido allora d'immanit? pi? orribili, che non furono infami le libidini, che Capri posta in faccia a lei vide ai tempi antichi. Dominava in Procida sotto l'obbedienza del conte di Turn, uno Speciale, uomo crudele, il quale quanti repubblicani gli erano mandati prigionieri dal continente, tanti tormentava con supplizj, ed il pi? sovente con la morte. S'aggiungeva a spavento dei repubblicani, che in Napoli si era ordita una congiura in favor del re da due fratelli Bacher, Tedeschi, che vi avevano aperto un traffico. Scoperti da una gentildonna, amatrice dello stato nuovo, per nome San Felice, furono carcerati. Trovaronsi in casa loro nappe rosse, e bandiere reali. I repubblicani entrarono in gran sospetto, perch? temevano che vi fosse maggior inclinazione, e che una parte potente macchinasse congiure.

In estremo tanto pericoloso, in cui non si trattava pi? di vincere o di perdere, ma di vivere o di morire, il governo della repubblica ed i repubblicani facevano ora pi?, ora meno di quanto i tempi richiedessero. Gi? aveva qualche tempo prima, come abbiamo narrato, il governo decretato, che non solamente fossero e s'intendessero aboliti i diritti dei feudi, ma che i baroni mostrassero a quale titolo possedessero i boschi e le bandite, e chi non potesse mostrarne, fosse spodestato, ed i beni si spartissero fra coloro, a danno dei quali i medesimi diritti fossero stati usati. Toglieva il diritto di mulenda, voleva che si vendessero i beni nazionali, rimedj insufficienti, perch? usati all'estremo, e perch? la ragione, e nemmeno l'utile possono prevalere contro il furore. I sospetti intanto, anche fra gli uomini della stessa parte, come avviene nelle disgrazie, davano il tracollo allo stato gi? cadente. Questi sospetti accennavano agli uomini stessi che entravano nel governo, perch? vi erano stati chiamati dai Francesi, parendo ai pi? ardenti repubblicani, che in chi era stato dipendente dai forestieri, non si potesse aver fede sufficiente in quegli estremi della Partenopea repubblica. Erano sorti in Napoli, come abbiam detto pi? sopra, parecchi ritrovi politici, dove, secondo il solito chi manifestava opinioni pi? estreme, era pi? applaudito, e miglior cittadino creduto. Tanto mont? la cosa, e tanta fu la potenza che questi ritrovi si arrogarono, che uno di essi domand? al governo, che tutti coloro che erano stati nominati dai Francesi, cessassero dal magistrato, ed in vece loro si surrogassero buoni, leali e independenti Napolitani. Perch? poi non potesse venir fatto inganno, misero in campo anche questa, che un magistrato di censura si creasse, che avesse diritto e carico di scrutinare i membri del direttorio, e quei del corpo legislativo, e chi fosse stimato sospetto cassasse, e proponesse in luogo loro cittadini puri ed incorrotti. Accett? il governo oggimai servo la proposta, e per essa divenne ancor pi? servo. Cos? scioglievasi la societ? per la intemperanza, gi? prima che si disfacesse per la forza; fu creato il magistrato, un canonico Luparelli d'Adriano fatto suo capo. Questi creavano, quelli cacciavano, il governo era in mano loro. Instituissi intanto un tribunale, il cui ufficio fosse di giudicare il crimenlese, e di cui in nominato presidente Vincenzo Lupo. Entrarono con lui i repubblicani pi? vivi. Decretava il direttorio, che quando tirassero tre volte i cannoni dei castelli, chi a guardia nazionale, od a ritrovi politici non fosse ascritto incontanente si ritirasse alle sue case sotto pena di morte, e sotto la medesima pena serrasse le finestre; e chi nol facesse, e fosse trovato per Napoli dopo i tre tiri, quando non s'appartenesse a guardia nazionale, od a ritrovi politici, fosse disarmato, arrestato, ed incontanente, come nemico della patria, ammazzato. Ai tiri medesimi le guardie nazionali, o chi fosse addetto ai ritrovi, tostamente accorresse al quartier generale: i quinqueviri, i legislatori, i ministri andassero ai seggi loro, e chi nol facesse, fosse ammazzato. Queste cose si facevano con terrore infinito della citt?. Ma i repubblicani pi? vivi, e quelli che avevano in odio ed in sospetto ogni freno ed ogni governo, viemaggiormente si infierivano. Si era formato con consentimento del governo, nella casa dell'accademia dei nobili, un ritrovo, in cui convenivano repubblicani pi? moderati per discorrere fra di loro intorno alla salute della patria, e propria. Il loro fine principale, vedendo il precipizio delle cose, era di accordarsi, acciocch? nell'ultimo caso trovassero modo di salvar se, e quelli che sentivano con loro. I capi di quest'adunanza erano uomini assennati, e le loro intenzioni volte al bene. Ma vennero a congiungersi con loro, ed essi il consentirono per quell'intento di salvare quanti repubblicani potessero, gli altri ritrovi sparsi per la citt?, e composti di patriotti pi? ardenti e pi? immoderati. Ne nacque, che costoro acquistarono il predominio, e spinsero l'adunanza della casa dei nobili ad eccessi condannabili.

Sul bel principio mandarono dicendo al corpo legislativo, che Pignatelli di Monteleone, e Bruno di Foggia, entrambi di esso corpo, erano aristocrati, perch? avevano reso partito contro la legge dei feudi; perci? volevano, che, chiesta licenza, se n'andassero, e non guardassero indietro; quando no, gli avrebbero ammazzati. Deputati a portar quest'insolente imbasciata furono Luigi Serio, e Gaetano Rossi. Gli accompagnavano cinquecento arrabbiati con le coltella in mano, intuonando che venivano per ammazzar Pignatelli e Bruno, se colle buone non se n'andassero. Fuvvi dentro un gran contrasto, perch? chi voleva cedere, chi resistere, n? potendo accordarsi se ne volevano riparar alle case. Ma gli uomini con le coltella intimavano loro, badassero a far l'ufficio. Poi non contenti al Pignatelli e al Bruno, rintuonarono, che il Doria ministro di marina, come vile per avere domandato i passaporti, avesse congedo ancor esso; quando no, l'ammazzerebbero. Non vi era luogo ad elezione: e per? i tre accusati presero congedo da loro medesimi. Altri magistrati accusavano, e quanti ne accusavano, tanti erano esclusi, l'adunanza dell'accademia dei nobili dominava: regnava un'orribile anarch?a. Poi per far vedere, che se atterrivano gli altri, non avevano paura essi, immaginarono un registro, dove tutti, come membri dell'adunanza, avessero a scrivere i nomi loro. Scrissergli in effetto. I pi? savi consentirono, perch? avendo i nomi di tutti, speravano di potergli avvertire, quando fosse venuta la necessit? del doversi salvare, per non cadere nelle mani dei regj. Questo registro divenne poscia, quando i regj si fecero padroni di Napoli, un libro di morte, perch?, trovato, furono giudicati senza remissione tutti coloro, che l'avevano segnato coi loro nomi.

In questo mentre niuna cosa lasciavano intentata per infiammare il popolo. Tutti che portavano il nome di Ferdinando, si sbattezzavano con dire, che non volevano avere in se cosa, che gli assomigliasse ad un tiranno. Cassio, Bruto, Timoleone, Armodio, Catone, ed altri simili nomi andavano per le bocche di tutti. Chi invocava Masaniello, chi il gigante di palazzo: il Sebeto negl'innumerevoli versi parlava, e prediceva gran destino alla Partenopea repubblica. Le tragedie di Alfieri, e le pi? forti, si recitavano in presenza di un concorso infinito di uditori, e tratto tratto ecco alzarsi un predicatore: quest'era spesso una persona civile, e spesso ancora un idiota, o un prete, o un frate, o un laico. Badate, diceva costui, rivoltandosegli in un momento tutte le genti intente ad udirlo, badate, diceva, o cittadini, che questo caso ? caso nostro, o fosse di Bruto, o fosse di Virginia, o fosse di Timoleone. Tutti applaudivano; poi si continuava a recitar la tragedia. Ed ecco un altro predicatore sorgere, e dire, che bisognava ammazzar tutti i tiranni: le Napolitane grida andavano al cielo: cos? tra il predicare e il recitare si arrivava allo spegnere dei lumi. Fuori poi i discorsi erano ancor pi? strani, che nel teatro: le novelle che si spargevano, sentivano anch'esse dello stravagante. Gli accidenti favorevoli si esageravano, gli avversi si tacevano; la repubblica era giunta al suo fine, e molti predicavano, ed alcuni credevano, che fosse per essere eterna. Eleonora Fonseca scriveva un monitore, giornale, in cui pubblicava continuamente vittorie di repubblicani, sconfitte di regj, arrivi di flotte soccorritrici di Francia. In piazza di mercato una societ?, che filantropica si chiamava, aveva a cielo aperto rizzato una scuola per ammaestrar lazzaroni, e per far loro capire, che dolce e bella cosa fosse la repubblica. Per riuscir meglio nell'intento, si mettevano alla medesima condizione con loro, ed ora questa, ed ora a quella taverna andando, se ne stavano con quegl'incolti plebei a pi? pari mangiando e bevendo. Usavano i filantropi anche la religione, predicando continuamente, che il vescovo d'Imola Chiaramonti aveva con solenne lettera pastorale inculcato, che le massime democratiche erano massime del Vangelo, e che per esser buoni democrati bastava esser buoni cristiani. Per questo avevano fatto opera, che un Michelagnolo Ciccone, frate, trasportasse il Vangelo in volgar Napolitano, e le massime democratiche principalmente inculcasse. Esortaronsi i parochi ed i preti a raccomandare queste massime dai pulpiti, e il fecero. Un Benoni, frate francescano, uomo n? senza dottrina n? senza eloquenza, in mezzo alla piazza reale, ed a pi? dell'albero della libert?, con un crocifisso in mano predicava ogni giorno, facendo continue e vivissime invettive contro il re, contro la famiglia reale, contro la monarch?a. Chiamava ne' suoi discorsi Ges? Cristo, e i Santi; affermava con parole efficacissime che tutti furono democrati, che sempre avevano predicato l'uguaglianza e la fratellevole carit?: che sull'uguaglianza e sulla carit? fraterna erano fondati tutti gli ordini monastici, massimamente quello del serafico padre san Francesco: e quivi infiammandosi dava col crocifisso la benedizione ai popoli. L'arcivescovo di Napoli ordinava preci per la repubblica; decretava, che nissuno, che avesse macchinato la rovina dello stato repubblicano, potesse ottener l'assoluzione, se non in articolo di morte; chiamava nelle sue pastorali Ruffo scellerato, impostore, nemico di Dio e degli uomini.

In mezzo a tutto questo, essendo giunto il tempo solito del mese di maggio, si fece con molta pompa la processione del Santo. I democrati mandarono dicendo ai custodi, pregassero molto bene, perch? san Gennaro facesse il miracolo, ed essi molto bene pregarono, ed il sangue in men che non fa due minuti, si squagli?: gridarono i lazzaroni, san Gennaro esser fatto democratico.

Ma i rimedi finora raccontati riuscivano insufficienti senza le buone armi. In questo i repubblicani avevano molta fede in Manton?, ministro della guerra, uomo di animo fortissimo, repubblicano gagliardo, e che appunto pel suo coraggio smisurato err?; egli era per mandato del governo ordinator supremo di quanto s'appartenesse all'armi, ed alla difesa della repubblica. Chiam? a se gli ufficiali e soldati, che erano stati ai servigi del re, offerendo loro vitto e soldo, finch? fossero descritti in corpi regolari. Ma non potendo l'erario bastare a tanto dispendio, oltre le tasse, che per quanto si poteva senza mal umore dei popoli si riscuotevano, poneva mano a rimedi straordinarj. A persuasione di lui, e per ordine del governo s'invitarono gli amatori dello stato nuovo ad offerir doni in oro, od argento coniato o vergato, in sovvenimento della repubblica: fecersi capi di quest'impresa due gentildonne molto ragguardevoli, tanto per la virt? dell'animo, quanto per le forme del corpo; andavano per le case, raccomandavano la repubblica. Di queste pietose donne non tace il nome la storia; furono le duchesse di Cassano, e di Popoli. Raccolsero tanto denaro, che bast? per ordinar tre legioni di veterani; si aggiunsero per maggior sicurezza alcuni nuovi soldati fra coloro, che amavano la repubblica. Dieronsi la prima a reggersi a Schipani, la seconda ad Ettore di Ruvo, la terza ad un Belpuzzi, che aveva veduto le guerre di Buonaparte. Marciavano Schipani contro Sciarpa, Ettore contro Proni, Belpuzzi contro Ruffo. Per sicurezza poi di Napoli, Manton? ordinava meglio la guardia urbana, e tentava di accalorarla in favore della repubblica. Le diede armi e bandiere con pompa solenne, e per generale primo Bassetta, per secondo Gennaro Serra, per terzo Francesco Grimaldi e Antonio Pineda, uomini valorosi, e nei quali con tutto l'animo confidava. Per avvezzarla agli usi di guerra, la faceva armeggiare ogni giorno. Commetteva alla fede del generale Federici la custodia di Napoli, a Massa Castelnuovo, al principe di Santa Severina castel dell'Uovo. Buoni ordinamenti erano questi, ma la guerra pi? forte di loro; n? Manton? o che non sel credesse egli pel gran coraggio che aveva, o che s'infingesse per non ispaventare, non aveva fatto provvedimenti pi? gagliardi. E siccome era sempre riuscito vincitore contro i regj, che si erano mossi contro la repubblica prima che il cardinale si muovesse, aveva questo moto il cardinale in piccolo concetto, e non pensava, che fosse per avere un fine diverso da quello, che i primi avevano avuto. Per la qual cosa si persuadeva, che le legioni create fossero bastanti a frenare i regj nelle provincie, e ritornarle sotto l'obbedienza del governo popolare. Ma ebbe la guerra assai diverso successo; perch? Belpuzzi, conoscendo la impossibilit? di far fronte ai regj, che d'ogn'intorno uscendo dai boschi, e calando dalle montagne, l'infestavano, abbandonata l'impresa, se n'era ritornato a Napoli. Ferocemente aveva combattuto negli Abruzzi Ettore di Ruvo, ma assalito ed attorniato da un numero di nemici molto superiore, fu costretto a cercar ricovero contro il furore dei sollevati dentro le mura di Pescara. Schipani rotto da Sciarpa, per ultimo rifugio si era ritirato a Napoli. Cos? Ruffo vincitore in ogni parte, inondando con le sue genti tutto il paese all'intorno, si era avvicinato alla capitale. Vide allora Manton?, che i moti del cardinale erano per risolversi non in romori, ma in effetti, che la fortuna minacciava, e che i rimedi ordinari pi? non bastavano. Preparavasi ad uscir egli stesso contro il nemico con sei mila soldati; cre? primieramente per custodia di Napoli una legione di fuorusciti Calabresi, i quali, perch? parteggiavano per la repubblica, cacciati a furia dalle case loro per le armi di Ruffo, si erano riparati nella capitale, uomini fieri, bellicosi, arrabbiati per le ingiurie recenti. I loro compatriotti, che militavano col cardinale, si mostravano disposti a far cose enormi pel re, ma essi erano risoluti a farne per la repubblica delle ugualmente enormi. Erano nel novero di due mila: e perch? ognuno fosse chiaro di quanto valevano, e di quanto si proponevano, pubblicarono, fra le altre, queste parole: <>. Rispondeva loro Manton?: <>.

Erano preti, laici, nobili, plebei, poveri per fortuna, poveri per esiglio; n? volevano dare od avere perdono. Manton? di? loro in guardia il quartiere di Castel nuovo. Poi detto al principe di Roccaromana, che si dimostrava molto dedito al nuovo governo, creasse un reggimento di cavalli nei contorni di Napoli, egli il faceva.

Manton?, condotte le repubblicane squadre alla campagna, sbaragliava e fugava facilmente i corridori dell'esercito regio; ma quando pi? oltre si fu spinto, si accorse, che per lui, n? pe' suoi altro scampo non restava, se non quello di tornarsene prestamente l?, dond'era venuto. Il suo ritorno in Napoli costernava le genti: per ultima speranza aspettavano quello che fosse per partorire il valore di Schipani; ma ebbero tosto le novelle, ch'egli, che per aver udito la ritirata di Manton?, si era condotto alla torre dell'Annunziata, combattuto quivi aspramente dai Russi, dai regj, e da una parte de' suoi soldati medesimi mutatisi a favore del re, era stato preso, dopo di aver veduto lo sterminio quasi intiero de' suoi compagni. Sentissi a questo momento ancora, che Roccaromana aveva bene levato ed ordinato, siccome dal ministro ne aveva avuto il carico, il reggimento di cavalli, ma che invece di farlo correre in ajuto dei repubblicani, l'aveva condotto al cardinale, dal quale aveva avuto le grate accoglienze. Il precipizio era evidente: tolta tutta la campagna, ed insultando gi? da ogni parte le genti del cardinale vincitore, tutta la difesa della repubblica, e di tanti uomini che avevano seguitato la sua fortuna, era ridotta nella sola citt? di Napoli, non sicura, n? per concordia di cittadini, n? per nervo di soldati. Non si trattava pi? di vincere, ma solo di conseguir patti, onde, sfuggita la morte, si acquistasse facolt? di andar esulando per terre inconsuete e lontane. Decretava il direttorio, essere la patria in pericolo. Ritiravasi col corpo legislativo ai castelli Nuovo, e dell'Uovo: quel di Sant'Elmo pi? forte, e che dominava Napoli, era in mano del presidio Francese lasciatovi da Macdonald: un terrore senza pari occupava le menti. La legione Calabra sola non si spaventava, perch? dal vivere al morire, purch? si vendicasse, non faceva differenza. Parte stanziava in Napoli, parte presidiava il castello di Viviena, per cui Ruffo doveva passare per venir a dar l'assalto alla citt? dal lato del ponte della Maddalena. Si risolvevano i repubblicani a morire da uomini forti: Spartani volevano essere, e Spartani furono: ma gli Spartani avevano uno stato ed una patria, essi non avevano pi? n? l'una ne l'altra. Perci? perirono senza frutto, in ci? molto pi? da ammirarsi, che gli Spartani non furono, perch? erano sicuri, che quell'invitta virt? non solamente non sarebbe proseguita con laude nel paese loro, ma ancora vi avrebbe incontrato il biasimo. Udissi tutt'ad un tratto nella spaventata Napoli un romore, come di tuono; trem? la terra; pure il Vesuvio non buttava: veniva dal forte di Viviena. Lo aveva il cardinale con tutte le sue forze assaltato: vi si difenderono i Calabresi, non come uomini, ma come lioni. Pure i regj, combattendolo da tutte parti con le artiglier?e, l'avevano smantellato, e non una, ma pi? brecce, e piuttosto una ruina di tutte le mura apriva l'adito ai vincitori. Entraronvi a forza ed a furia: gente disperata ammazzava gente disperata, n? solo i vinti perivano. Nissuno s'arrend?, tutti furono morti: date, a chi gli uccideva, innumerevoli morti. Restavano una mano di pochi: la rabbia gli trasportava; feriti ferivano, minacciati ferivano, ammoniti dello arrendersi ferivano. Pure l'estrema ora giungeva. Anteponendo la morte di soldato alla morte di reo, n? sofferendo loro l'animo di venir in forza di coloro, che con tanta rabbia abborrivano, un Antonio Toscano, che gli comandava, e che gi? stava con mal di morte per le ferite e pel sangue sparso, strascinossi a stento, e carpone al magazzino delle polveri, e con uno stoppaccio acceso postovi fuoco, mand? vincitori, vinti, e rovinate mura all'aria: atto veramente mirabile, e degno d'eterna memoria nei secoli. Tutti perirono; questa fu la cagione del tuono, e dello spavento di Napoli. Ruffo, espeditosi dall'intoppo del forte, passava, e si accingeva a dar l'assalto alla capitale da tre bande, al ponte della Maddalena, al canto di For?a, ed a Capodimonte; ma il principale sforzo era alla Maddalena. I repubblicani carcerarono come ostaggi alcuni sospetti, e condussero in castel Nuovo, ed in Castel dell'Uovo un fratello del cardinale, ed i parenti degli ufficiali dell'esercito regio. Passarono per le armi i fratelli Bacher con quattro lazzaroni mescolati in congiure. Poi partiti in tre schiere se ne givano contro Ruffo. Writz gli conduceva alla Maddalena, Bassetta a For?a, Serra a Capodimonte. Caracciolo con le navi sottili accostatosi al lido, batteva di fianco le genti del re. Animavansi con vicendevoli conforti l'un l'altro: quella essere l'ultima fatica loro, o morte, o vittoria; dover lasciare un testimonio al mondo di quanto possa la virt?, che vuole la libert?; vita di servi non esser vita; non esser morte lo scampare dalla servit?; e se dai fati contrarj era fisso, che l'opera loro non potesse pi? giovare alla libert? ed alla patria, gioverebbe almeno la memoria. Con queste voci diedero dentro ai regj: sorse una furiosissima zuffa alla Maddalena: repubblicani e regj eleggevano piuttosto il morire, che il cedere. Dalla parte dei primi Luigi Serio, vecchio di sessant'anni, combattendo nella prima fronte con un suo nipote, e con una giovent? indomita, che animava con l'esempio e coi conforti, fu morto, e con lui il nipote ed i giovani. Writz, Svizzero, valorosamente travagliandosi con tutte le sue forze in pro dell'adottiva patria, ora qual generale comandando, ed ora qual soldato combattendo, faceva dubbia la vittoria. Finalmente ferito di piaga mortale, e portato in castel Nuovo, quivi mandava fuori l'ultimo spirito.

Restavano ad espugnarsi i castelli, a questa espugnazione applic? l'animo il cardinale, piant? una batter?a nella contrada di Toledo per battere i repubblicani, che avevano un alloggiamento a San Ferdinando, una all'Immacolata per battere castel Nuovo, ed una terza alla punta di Posilippo per battere quel dell'Uovo, che sebbene sia poco altro che una vecchia casa a guisa di fortezza, ? di gran momento pel suo sito; perciocch? chi ne ? padrone pu? battere con vantaggio, ed impadronirsi di castel Nuovo. Veduto il pericolo, i repubblicani che erano dentro a castel dell'Uovo si accordavano con quelli di castel Nuovo, e di Sant'Elmo per fare tutti uniti una fazione notturna contro la batter?a di Posilippo. Accozzavansi le due colonne uscite da castel Nuovo e da castel dell'Uovo, ma quando giunsero alla strada che salendo mette a Sant'Elmo, scambiarono in mezzo all'oscurit? della notte per nemici quella dei loro compagni, che scendeva della fortezza. Si di? mano da ambe le parti al trarre, furonvi parecchi morti di qualit? dalle due bande: ci? fu cagione di molto spavento. Finalmente riconosciutisi gli amici con gli amici, e riunitisi, e ripreso animo, se ne andarono con incredibile audacia alla fazione. Tanto fu l'ardire e la prestezza loro, che uccise le guardie, e sopraggiungendo improvvisi alla batter?a, la presero, arsero i carretti, chiodarono i cannoni, e tornarono sani e salvi ad incastellarsi. Le truppe di Ruffo sorprese, e spaventate a s? inopinato accidente, si davano alla fuga; gi? il cardinale aveva messo all'ordine i carri, e la sua carrozza stessa per andarsene. Ma accortosi della pochezza del nemico, e che i repubblicani gi? si erano riparati ai castelli, se ne rimase, continuando nell'opera dell'espugnazione. Dalla parte loro i repubblicani conobbero, che stante il numero soprabbondante dei nemici che gli combattevano, e le popolazioni contrarie, niuna speranza rimaneva loro della vittoria. Perci? consultarono fra di loro, se dovessero tentar la fuga con aprirsi con le armi in mano il varco fra i nemici. Un Renzi, vecchio ufficiale di molto valore, e il principe de Gennaro altro ufficiale di gran cuore, che s'apparteneva ancor esso alla truppa assoldata, opinava pel tentativo. Una contraria sentenza manifestarono altri, o meno confidenti nella impresa loro, o pi? nella clemenza del vincitore. Con questi assentiva massimamente Ignazio Ciaja, che solito ad abbellire colla innocente e placida fantasia tutte le umane cose, abbelliva ancora quell'estrema sventura. A costoro non sofferiva l'animo il lasciar fra le mani di un nemico crudele i vecchi, le donne, ed i fanciulli, che avevano in s? lagrimevol caso seguitato la fortuna loro. Prevalse la opinione di questi ultimi, n? si fece pi? motivo alcuno per iscampare: solo attesero, il meglio che poterono, alla difesa dei castelli, ed a star pazienti ad aspettare che cosa portassero i fati a salute od a rovina loro.

La fazione della punta di Posilippo, la ferocia dei repubblicani Calabresi, l'atto disperato del comandante di Viviena, ed il coraggio smisurato dimostrato in tutti i fatti dei democrati avevano dato molto a pensare a Ruffo: si era persuaso, che senza molto sangue, e forse senza lo sterminio di tutta la citt? non avrebbe potuto riuscir a fine della sua impresa. Il castel Sant'Elmo avrebbe potuto, dominando Napoli, ruinarlo da capo in fondo. Questo castello era per verit? in mano dei Francesi, e particolarmente del comandante Mejean, col quale il cardinale aveva avuto qualche pratica, e sopra cui se ne viveva con molta sicurt?. Ma vi erano anche non pochi Napolitani, amatori della repubblica, i quali, uomini disperati essendo, ed in caso disperato ritrovandosi, potevano facilmente fare qualche risoluzione molto pregiudiziale a Mejean medesimo, ed alla citt?. Oltre a ci? avevano i repubblicani in mano loro nei castelli i prossimi congiunti del cardinale, n? poteva restar dubbio, stante la rabbia loro, e le mortali ingiurie corse fra le due parti, che nell'ultimo furore non gl'immolassero, ove l'estremo dei tempi fosse arrivato. Finalmente consideravano gli alleati, massimamente gl'Inglesi, che cooperavano alla conquista di Napoli col cardinale, che si erano ricevute novelle dell'essere uscita al mare la flotta di Brest, e comparsa allo stretto di Gibilterra, donde le era facile navigare nelle acque di Napoli, e condurre a mal partito le navi Inglesi, che stanziavano all'isola di Procida, e nel mare vicino. Considerate, e maturamente ponderate tutte queste cose, stimando, che non si convenisse mettere i repubblicani nell'ultima disperazione, si deliberarono gli alleati ad offerir loro patti, perch? i castelli e la citt? si conservassero salvi, e fosse rimosso il pericolo, che sovrastava al navilio d'Inghilterra. Il cardinale per mezzo del comandante di Sant'Elmo mand? dicendo ai repubblicani, che se volessero patteggiare, vi si sarebbe volentieri risoluto. Rappresent? loro Mejean quello, che era vero, cio? che oramai ogni difesa era inutile, e che migliore e pi? savio partito era il serbar la vita a tempi migliori per la repubblica, che il perire senza frutto per lei: accettassero i patti, esortava, che loro si venivano offerendo. I repubblicani, consultato fra di loro, inclinarono l'animo al partito pi? ragionevole, e risolvendosi al trattare, proposero in un modello scritto le condizioni per mezzo delle quali promettevano di lasciare castel Nuovo, e castel dell'Uovo, non potendo stipulare per Sant'Elmo, come in potest? di Francia. Parvero sulle prime al cardinale le condizioni superbe, penava al ratificarle. Infine strignendo il tempo, temendo vieppi? della vita de' suoi congiunti, e moltiplicando gli avvisi dello avvicinarsi della flotta Francese, con pari consentimento degli alleati si risolvette ad accettarle. Furono quest'esse: fossero Castelnuovo, e castel dell'Uovo dati in potere dei comandanti del re delle due Sicilie, e dei suoi alleati il re d'Inghilterra, l'imperatore di tutte le Russie, e la Porta Ottomana, e cos? parimente ad essi fossero consegnate le munizioni da guerra e da bocca con le artiglier?e, ed altri arnesi, che si trovassero nei forti; uscisse il presidio onorevolmente a modo di guerra; le persone e le propriet?, s? mobili che stabili, di ognuno che si appartenesse ai due presidj, si serbassero salve ed inviolate; potessero le persone medesime ad elezione loro imbarcarsi sopra bastimenti di tregua, che loro sarebbero forniti, per essere trasportate a Tolone, o potessero ancora rimanersi in Napoli, dove n? esse n? le famiglie loro potessero a modo niuno essere molestate; le medesime condizioni fossero, e s'intendessero concedute a tutti coloro fra i repubblicani che nelle battaglie succedute fra loro, e le truppe del re, o de' suoi alleati fossero stati fatti prigionieri; l'arcivescovo di Salerno, i cavalieri Micheroux e Dillon, ed il vescovo d'Avellino ditenuti nei castelli, si consegnassero al comandante di Sant'Elmo, e vi restassero come ostaggi, insino a tanto che si avessero le novelle certe dell'essere i repubblicani arrivati a Tolone; tutti gli altri ostaggi o prigioni per ragion di stato, si rimettessero in libert?, tosto che la capitolazione fosse sottoscritta; non isgombrassero i repubblicani dai castelli, se non quando ogni cosa fosse presta all'imbarcargli. Fu la capitolazione approvata, e sottoscritta dal cardinal Ruffo in qualit? di vicario generale del regno, da un Kerandy per l'imperatore di tutte le Russie, da un Bonieu per la Porta Ottomana, e da un Foote pel re d'Inghilterra. Non s'indugi? a dar mano all'esecuzione dei patti. Da una parte gli ostaggi nominati dai repubblicani si condussero in Sant'Elmo, dall'altra entrarono i regj nei due castelli. Il cardinale, a nome del re, e come vicario generale del regno di qua dal Faro, pubblic? per tutto il reame un editto, per cui perdonava ogni colpa e pena ai repubblicani, promettendo piena ed intiera salute a tutti coloro che restassero, e facolt? d'imbarcarsi per Marsiglia a tutti quelli che amassero meglio, lasciando la patria, andarsi a vivere in lontane e forestiere contrade. Mandava espressamente il trattato a Pescara, in cui tuttavia si teneva Ettore di Ruvo, affinch? cedesse la piazza a Proni, e se ne venisse con tutti i suoi a Napoli, scortato per sua sicurezza dai regj.

I repubblicani intanto s'imbarcavano. Due navi portatrici di quei di Castellamare, avendo avuto facolt? di uscire, gi? erano arrivate a salvamento nel porto di Marsiglia. Le altre aspettavano la facolt? medesima, e i venti prosperi. In questo punto ecco arrivare Nelson: aveva egli udito, essere la flotta Francese ricoverata ne' suoi porti; trovandosi per questo esente da timore, passato prima per Palermo, e levatone il re, il ministro Acton, Hamilton, ambasciadore d'Inghilterra, ed Emma Liona, sua donna, dico sua per non dire non sua, aveva voltato le vele verso i lidi d'Italia. Non cos? tosto dalla sanguinosa Napoli si scoprivano le navi d'Inghilterra, che il cardinale mandava a Nelson deputati, per informarlo delle cose fatte, e dei patti stipulati. Rispose l'ammiraglio, non doversi il trattato concluso coi ribelli mandare ad esecuzione, se prima il re non l'avesse appruovato; risposta veramente incomportabile. Certamente i repubblicani erano rei d'atroci ingiurie verso il re, ma pure avevano pattuito con coloro, che il re medesimo e l'Europa quasi tutta avevano mandato con facolt? di pattuire. Certo nel trattato nissuna riserva di ratifica era stata fatta, ma egli era finale ed assoluto. S'aggiunge, che i patti erano stati offerti dal cardinale e dai confederati, e non domandati dai repubblicani. Il non osservargli dava al fatto dell'avergli offerti, apparenza d'insidia. Di tale risoluzione fu molto dolente il cardinale, che non voleva essere disprezzatore delle sue promesse, e per fare che la fede data si osservasse, and? egli medesimo a bordo della nave dell'ammiraglio, con efficacissime parole esortandolo a consentire. Ma l'Inglese, come se temesse, che la umanit? e la fede contaminassero le vittorie, non si lasci? piegare; anzi non potendo rispondere agli argomenti ed alla facondia del cardinale, scusandosi con dire che non sapeva la lingua Italiana, prese la penna, e scrisse da vittorioso la crudele sentenza. Perch? poi non resti ignoto ai posteri il quanto di vituperio sia stato mescolato in queste sanguinose rivolture, io non posso omettere dal debito di narrare, che Emma Liona era presente, quando Nelson contrastava al cardinale, ed ordinava le uccisioni. Se qualcheduno fra chi mi legger?, sar? per dire, ch'io dico cose troppo gravi, attenda, che n? voglio, n? debbo, n? posso tacerle; perch? se i vizj si biasimano negli umili, non so perch? non si debbano biasimare nei grandi: che se i grandi pretendono che non ? bene che si dicano i loro peccati, dir?, che sarebbe molto meglio, che non gli commettessero. So che la moderna adulazione trascorse tant'oltre, che si va affermando, che ogni virt? ? in chi ? ricco, o potente, o glorioso, ed ogni vizio in chi ? il contrario: per me credo, che la verit? in tutto debba aver luogo, e che pi? debbano pubblicamente biasimarsi i grandi quando fan male, che gli umili, perch? i vizj dei primi sono pi? negli occhi degli uomini, e servono d'esempio. Nelson trapassando dal detto al fatto, ed entrando nel porto con la flotta, dichiarava prigionieri i repubblicani usciti in virt? della capitolazione dai castelli, s? quelli che gi? si erano imbarcati, e non ancora partiti, e s? quelli che non peranco si erano riparati alle navi. Perch? poi dubbio alcuno non potessero avere del destino che gli aspettava, gli fece incatenare due a due, e riporre in fondo alle navi. N? contento al tenergli, gli lasciava bersaglio ad ogni oltraggio, e stremava loro i viveri. Pure noveravansi fra di loro uomini, se si eccettuano le opinioni ed i fatti politici in cui consisteva la colpa loro, molto ragguardevoli per dottrina, per legnaggio, e per virt?. Bastava bene ammazzargli, senza trattargli come vili assassini di strada. A tanto di barbarie si ? lasciato trasportare un ammiraglio d'Inghilterra. Furono questi portamenti di Nelson dannati da tutti gli uomini diritti e dabbene, perch?, oltrech? se non si voleva trattare coi ribelli, necessaria cosa era il dichiararlo prima, non dopo la capitolazione, sapeva l'ammiraglio, che non senza compenso ed utile s? del re, che degli alleati, e particolarmente dell'Inghilterra era stata la dedizione dei castelli, perch? per lei e furono conservati intieri i castelli, e conservata salva Napoli, e rimosso il pericolo che i Francesi, dei quali egli medesimo stava in apprensione, arrivando con l'armata loro, non conducessero a qualche mal termine le cose dei confederati. Adunque i repubblicani avevano ricompro le vite loro con la concessione di questi vantaggi, i confederati avevano consentito, ed a queste condizioni medesime, e non altrimenti erano entrati in possessione dei castelli. Brutto certamente procedere si ? quello di accettare, e di usare i vantaggi stipulati in una convenzione bilaterale, e di non volerne accettare ed adempire i carichi; ma pi? brutto ?, quando il non adempirgli importa umano sangue. Lodisi da chi vuole il vincitore di Aboukir e di Trafalgar; ma noi, a cui pi? piace il giusto e l'umano che l'ingiusto ed il glorioso, non possiamo non mandarlo alla posterit?, se non come uomo che ruppe fede agli uomini per ammazzargli. Il re, che era sul vascello inglese il Fulminante, non sofferendogli l'animo di vedere i supplizi che si preparavano, se ne tornava in Sicilia. Rimase il campo libero a chi voleva sangue.

Conquistati i castelli di castel Nuovo e di castel dell'Uovo attesero gli alleati all'acquisto di Sant'Elmo, il quale oppugnato gagliardamente qualche giorno venne in mano loro, essendosi il comandante Mejean arreso a patti. Stipulossi fra le due parti, che la guernigione Francese sarebbe prigioniera di guerra del re, e de' suoi alleati; che non servisse contro di loro, finch? non fosse scambiata; che sotto fede si conducesse sopra bastimenti regj in Francia. Quanto ai sudditi del re, che si trovavano nel forte, si convenne che si consegnassero in mano degli alleati. Mejean non potr? sfuggire il carico di aver consentito a quest'ultimo capitolo; perch? se primo suo pensiero era, e doveva essere di salvar i Francesi suoi compagni, e se a tali estremi era giunto che della salute dei repubblicani, che si eran rimessi nella sua fede, non potesse richiedere gli alleati, debito suo era almeno, seguitando l'esempio dei comandanti di Torino, d'Alessandria, e di Cuneo, lasciare che gli alleati quegli uomini da immolarsi si prendessero da per se stessi, non obbligarsi col suo nome sottoscritto a consegnargli. Maggiore biasimo eziandio meritano Tommaso Trowbridge, capitano comandante la nave Inglese il Culloden, e il capitano Baillie, comandante le truppe dell'imperatore delle Russie, per avere richiesto e stipulato, che i repubblicani si consegnassero agli alleati; perch? farsi dar uomini per dargli in mano al boja, era cosa del tutto indegna di uffiziali di Russia e d'Inghilterra. Potevano bene stipulare, ed avrebbe bastato, che fossero dati in mano degli agenti Napolitani. Si aggiunse a patti crudeli una esecuzione pi? crudele. I repubblicani travestitisi a modo di soldati Francesi, per istare alla fortuna, se non fossero riconosciuti, di salvarsi, essendo riconosciuti, ed anzi indicati da chi gli doveva preservare, vennero in poter di coloro che tanto agognavano il sangue loro; spettacolo miserabile, che commosse a compassione molti degl'inimici.

S'arrendevano in questo alle armi regie Capua e Gaeta, non fatta difesa alcuna d'importanza. Cos? tutto il regno torn? all'antica divozione, ma rotto, sanguinoso, pieno d'incendj, di rapine, di sdegni e di vendette. Incominciavansi i supplizj, l'infuriata plebe imitava; l'uccidere per tribunali era accompagnato dall'uccidere per anarch?a. Non a et? si perdonava, non a sesso, non a grado. Le donne come gli uomini, giovanetti di sedici anni come vecchi di settanta furono uccisi sui patiboli: fanciulli di dodici condannati all'esilio, e dove in nome della legge giuridicamente non si poteva condannare, arbitrariamente si condannava. Un Fiori, un Guidobaldi gi? altrove nominato, un Damiani, un Sambuci, e massimamente uno Speciale, gi? stato ordinatore dei supplizj di Procida, erano gli stromenti della barbarie. Piange ancora Napoli, e pianger? lungo tempo i tremendi effetti del furor di costoro, e di coloro a cui piacevano. I pi? chiari, i pi? virtuosi s'immolavano i primi. A tanta immanit? si aggiungeva nei repubblicani rabbia a coraggio per modo che dissero, e fecero morendo cose degne di eterna memoria. Fora troppo lunga e lagrimevole istoria il raccontare tutti i supplizj; toccheremo solo i principali, e da essi potranno i posteri argomentare, quanta virt? sia stata tolta a Napoli dalle discordie civili.

Morirono in Napoli per l'estremo supplizio e tutti con invitto coraggio Ignazio Ciaja, Ercole d'Agnese, cittadino di Francia, ma originario di Napoli, Giuseppe Logoteta, dotto e virtuoso uomo, Giuseppe Albanese, Marcello Scotti letterato eruditissimo, ed autore del catechismo dei marinarj, un Troisi, sacerdote piissimo e dottissimo, con molti altri, ornamento e fiore delle Napolitane contrade. Fu anche affetto coll'ultimo supplizio Ettore di Ruvo, condotto, come abbiam detto, da Pescara a Napoli sotto fede del cardinale. Mor?, qual era vissuto, indomito, animoso, ed imperturbabile. Come nobile, fu condannato ad aver il capo mozzo. Volle essere decapitato supino, per veder la mannaia, che gli doveva tagliar il collo.

La terra di Napoli era fumante di sangue, le acque del mare ne furono parimente penetrate e tinte. Il principe Francesco Caraccioli, primo onore e primo lume della Napolitana mariner?a, amato dal re, stimato dal mondo, dopo pi? di otto lustri impiegati ai servigi del regno, fece ancor esso una compassionevole fine. Si era Caraccioli, ed in questo certamente il suo fallire fu enorme, perch? il re gli era affezionato, molto travagliato in favore dello stato nuovo. Fatta la capitolazione dei castelli, e vedendola rotta, si era ritirato a Calvirano, pregando il duca di questo nome, acciocch? per sicurezza della sua vita minacciata dai regj, che da ogni parte il circondavano, gli fosse mediatore presso il cardinale, allegando, sperare, che l'avere obbedito per forza alcuni giorni alla repubblica Francese, non sarebbe per prevalere a quarant'anni di fedelissimo servizio. Non avuta risposta favorevole, se ne fuggiva ai monti. Scoperto da un suo domestico, fu condotto, legate le mani al dorso, e indegnamente maltrattato da villani ferocissimi a Nelson, che tuttavia stanziava nel porto di Napoli. Convocava l'ammiraglio incontanente a bordo della sua nave il Fulminante un consiglio militare, composto di uffiziali di marina Napolitani, e presieduto dal conte di Thurn, a cui diede facolt? ed ordine di giudicare, se Francesco Caraccioli fosse reo di ribellione contro il re delle due Sicilie per avere combattuto la fregata Napolitana la Minerva. Alleg? l'accusato per discolpa, averlo fatto per forza, ma nol pot? pruovare. Dannavalo il consiglio a morte. Nelson comandava, s'impiccasse all'antenna della Minerva, il suo corpo si gettasse al mare. Il misero principe pregava dicendo, essere vecchio, non aver figliuoli che fossero per piangere la sua morte, per questo non desiderare la vita: solo pesargli il morire da malfattore; pregare, il facessero morire da soldato. Le compassionevoli preghiere non furono udite. Volle il condannato pregare d'intercessione la donna, che era a bordo del Fulminante; ma Emma Liona non si lasci? trovare. Il capestro adunque, come piacque all'Inglese, strangol? il principe Caraccioli; il suo corpo gettato al mare. Cos? fu mandato a morte da Nelson un principe Napolitano, prima suo antico compagno in pace, poi suo nemico generoso in guerra: ed il giudizio di morte venne da una nave del re Giorgio. Poi, che vuol significare quella pressa di giudizio e di morte? Non era il re vicino? Non a lui si doveva ricorrere? Perch? intercludere la strada alla grazia? Si tem? l'amore, non il rigore del re. Da un'altra parte, perch? gettare il corpo ai pesci? Non era vicino il lido? Non pronti i parenti e gli amici a raccogliere le amate reliquie? Adunque un principe Caraccioli, un servitor del regno per quarant'anni, un ammiraglio di Napoli, un uomo che per un s? lungo corso d'et? era stato ed amato e riverito da Europa, non trov? sepoltura, se non nella bocca dei voraci mostri del mare! Non sazi? la sua morte il crudo Inglese, volle ancora, che s'incrudelisse contro quell'onorato volto, contro quelle membra insensibili! Queste sono le glorie di Nelson nel golfo di Napoli.

Grande fu la strage nella capitale, s? pei giudizj, s? per la rabbia popolare. Non fu minore nelle province: perironvi in modo sempre violento, spesso crudele, quattromila persone, quasi tutte eminenti o per dottrina, o per legnaggio, o per virt?; carnificina orribile.

Io gi? feci, scrivendo queste storie, s? frequenti accoppiamenti d'idee dolci e terribili o di virt? e di patiboli, o di fede e di tradimenti, o d'innocenza e di vizj, che non so se il lettore me ne comporter? ancora un altro. Pure, se fia ch'ei debba muovere a sdegno ed a compassione i nostri posteri, io il mi racconter?. Domenico Cimarosa, cui tutta la generazione proseguiva con infinito amore per le sue mirabili melod?e, ed a chi chiunque non era straniero alla delicatezza del sentire, era obbligato di tanti affetti soavi pruovati, di tante tristi ed annuvolatrici cure scacciate, non trov? grazia appo coloro che reggevano le cose di Napoli con le ire, e le ire coi supplizj. Pregato, egli aveva composto la musica per un inno repubblicano, opera di un Luigi Rossi. Venuta Napoli in mano dei sicarj di Ruffo, furono primieramente le sue case saccheggiate, anzi il suo gravicembalo, fonte felicissimo di canti amabili, gittato per le finestre a rompersi sulle dure selci; poi egli medesimo cacciato in prigione, dove stette ben quattro mesi, e vi sarebbe stato anche di pi?, se i Russi ausiliarj del re non fossero giunti a Napoli. Saputo il caso, e non avendo potuto ottenere dal governo Napolitano, al quale l'avevano domandata, la sua liberazione, generale ed ufficiali corsero al carcere, e l'Italico cigno liberarono. Cos? in una Italia, in una Napoli la salute venne a Cimarosa dall'Orsa. Mi vergogno per l'Italia, rendo grazie alla Russia. Pure il misero Domenico, quantunque fosse posto in libert?, tra per l'afflizione dell'animo, ed i patimenti del corpo al tempo della sua carcerazione, se ne mor? poco dopo a Venezia, dove era stato chiamato per comporre un'opera.

Riconquistata la sanguinosa Napoli, premiava il re con magnifici doni coloro, che l'avevano tornata a sua divozione. Invest? il cardinale Ruffo della bad?a di Santo Stefano, che ha una valuta all'anno di cinque mila ducati di regno: davagli oltreacci? il possesso in proprio di un'altra tenuta con rendita di circa cinquemila ducati. Queste furono le dimostrazioni del re utili al cardinale. Del resto ei non ebbe pi? grazia, e gli fu tolto il governo delle faccende, a ci? instigando il re Acton per gelosia, Nelson per dispetto, perch? il cardinale aveva voluto che si osservassero i patti. Fu a Palermo eretto un tempio alla gloria, nel quale entrando in mezzo a plausi infiniti Nelson, gli fu posta dal principe Leopoldo, figliuolo del re, una corona d'alloro in capo. Il presentava il re con una spada gioiellata, duca di Bronte chiamandolo. Diegli inoltre una rendita di sei mila once di Napoli. N? mancarono i presenti per Hamilton ambasciadore; Emma Liona ebbe ancor essa i suoi.

Essendo, nel modo che abbiamo raccontato, caduta nelle due estremit? d'Italia la potenza dei Francesi, restava ancor in poter loro la Romana repubblica, ma non s?, che non si vedesse vicina la inevitabile rovina loro anche in questa parte. Suonavano dentro, e d'intorno le armi dei confederati, o regolari o collettizie. Avevano gli Aretini sempre infiammati nell'impresa loro contro i Francesi, in ci? secondati anche dai Cortonesi, avendo le due citt? in cos? grave occorrenza posto in disparte le antiche emolazioni, fatto un moto importante sulle rive del Trasimeno, e sforzato Perugia ed il suo forte alla dedizione. A questo modo si erano posti in mezzo, onde i Francesi rimasti alla guardia di Roma e dei luoghi circonvicini non potessero pi? comunicare coi loro compagni, che se ne stavano assediati in Ancona. Lo stato Romano quasi tutto tumultuava e tornava all'obbedienza pontificia. Ufficiali antichi del pontefice, preti, frati, canonici, le rabbiose popolazioni stimolavano e guidavano, e se fu insolente in quelle regioni il dominio dei repubblicani, non fu meno sfrenato quello dei pontificj che risorgevano. Le vendette non solo si facevano contro le insegne inanimate della repubblica, ma ancora contro i corpi viventi dei repubblicani. Furonvi al solito uccisioni, rapine, ingiurie a uomini e a donne, con tutte l'altre pesti indotte dei popoli mossi a romore. In questa guisa i Francesi ed i soldati della repubblica Romana furono sforzati a ritirarsi ai luoghi forti, lasciando gli avversarj signori della campagna. Da un'altra parte n? Froelich, che aveva nella Romagna il governo delle genti, n? il re di Napoli, dopo la ricuperazione del regno, avevano trasandato le Romane cose. Ad essi accostavansi gli Inglesi con qualche squadrone di genti da terra, e con navi condotte dal capitano Trowbridge nelle acque di Civitavecchia. Diversi, secondo la diversit? degli umori e degl'interessi delle potenze, erano i pensieri di ciascuna. L'Austria intendeva a conquistare per se, Napoli a questo medesimo fine, ed a fare la corona libera dalle molestie della corte di Roma. Agl'Inglesi poi pareva, che molto memorabil caso fosse, che venissero a rimettere un papa nel suo cattolico seggio.

Adunque la repubblica Romana era chiamata a ruina da tutte le parti. N? il generale Garnier, che ne stava alla custodia, perduto avendo ogni speranza di soccorso, e mancando di genti, poteva resistere a tanta piena. Froelich faceva impeto in primo luogo contro Civitacastellana, ed avendola occupata facilmente, s'incamminava a Roma. Dalla parte bassa salivano i Napolitani condotti da un Burcard Svizzero, e turbavano tutto il paese sulla sinistra del Tevere. Erano con loro gl'Inglesi di Trowbridge, che, procurata prima la resa di Capua e di Gaeta, se ne venivano alla conquista di Roma. Usciva Garnier alla campagna, piuttosto per non capitolare senza combattere, che per combattere, per vincere. Fuvvi un duro e lungo incontro tra i repubblicani s? Francesi che Romani da una parte, ed i Napolitani dall'altra, presso a Monterotondo. Ritiraronsi i Napolitani ai luoghi pi? alti e montuosi. Non erano ancora i soldati di Garnier riposati dalla fatica della battaglia di Monterotondo, che gli conduceva contro Froelich; ma sebbene con molto valore combattesse, fu costretto a ritirarsi nelle mura di Roma, restando in suo potere le sole fortezze di castel Sant'Angelo, Corneto, Tolfa e Civitavecchia. Questo fatto di? cagione di risorgere anche ai Napolitani dall'altra parte. Perloch? riavutisi dalla rotta di Monterotondo, s'avviarono di nuovo contro Roma. Posero gli Austriaci le loro prime guardie alla Storta, i Napolitani a Portaromana, ed a Pontemolle. Consideratosi da Garnier il precipizio delle cose, e pensando che il cedere a tempo sarebbe non solamente la salute de' suoi, ma ancora quella dei repubblicani di Roma, che avevano seguitato la fortuna Francese, aveva introdotto una pratica d'accordo con Trowbridge, quale fu condotta a perfezione, e sottoscritta da ambe le parti il d? venticinque settembre. Le principali condizioni furono le seguenti: uscissero i Francesi da Roma, Civitavecchia, Corneto e Tolfa con ogni onore di guerra; serbassero le armi, non fossero prigionieri di guerra; si conducessero in Francia od in Corsica; i Napolitani occupassero castel Sant'Angelo e la Tolfa, gl'Inglesi Corneto e Civitavecchia; i Romani, che volessero imbarcarsi coi presidj Francesi, e trasportare le propriet? loro, il potessero fare liberamente, e quei che rimanessero, e che si fossero mostrati affezionati alla repubblica, non si potessero riconoscere n? delle parole, n? degli scritti, n? delle opere passate, e fossero lasciati vivere quietamente, s? veramente che vivessero quietamente, e secondo le leggi. Pen? qualche tempo Froelich a consentire all'accordo, parte per dispetto, perch? Garnier aveva amato meglio trattare con gl'Inglesi e coi Napolitani che con lui, parte e molto pi?, perch? per esso si venivano a troncare le speranze concette delle conquiste. Commise ancora il generale Austriaco qualche ostilit?; ma finalmente, veduto che senza troppo scoprirsi, e dar sospetto, che i pensieri dell'Austria non si terminassero nella ricuperazione delle cose perdute, non poteva turbare l'accordo, vi accomod? l'animo, e voltate le bandiere verso l'Adriatico, se ne giva all'assedio d'Ancona, sola piazza che nello stato Romano ancora si tenesse pei repubblicani. S'imbarcarono i Francesi a Civitavecchia, e con essi tutti coloro fra i Romani, che stimarono pi? sicuro l'esiglio, che il commettersi alla fede di un governo provocato con tante ingiurie. Burcard occup? primo la citt?, poscia vi venne don Diego Naselli, dei principi d'Aragona, mandato da Ferdinando con potest? suprema militare e politica, per ridurre a qualche sesto le cose scomposte dalla rivoluzione, innanzich? il governo pontificio vi fosse restituito. Cre? un superiore magistrato con titolo di suprema giunta del governo, a cui chiam? i principi Aldobrandini e Gabrielli, ed i marchesi Massimi e Ricci. Aggiunse un tribunale di giustizia sotto nome di giunta di stato, a cui chiam? per presidente il cavaliere don Jacopo Giustiniani, e per avvocato fiscale monsignor Giovanni Barberi. Ufficio di questo tribunale fosse, che la quiete dello stato non si turbasse, e chi la turbasse, fosse castigato. La suprema giunta not? i beni venduti ai tempi della repubblica, come nazionali, ed abrog? le vendite fatte, riserbando agli spossessati il ricorso dei compensi: contenne il libero scrivere, fren? la licenza del vestire s? degli uomini che delle donne, e richiam? ai luoghi loro le suppellettili rapite o vendute del Vaticano e delle chiese, rimborsando per? il valore a chi le avesse comperate. Inib? l'ingresso e la dimora in Roma a tutti che avessero avuto cariche nella repubblica, e band? da tutto lo stato Romano i cinque notaj Capitolini, che avevano rogato l'atto della sovranit? del popolo, e della deposizione del sommo pontefice. Oltreacci? i beni dei repubblicani furono generalmente sequestrati, poi confiscati, e quindi molti di loro ridotti a crudele miseria. Gran numero di coloro che avevano partecipato nel governo precedente, dopo di essere stati esposti ad infinite vessazioni ed insulti, furono gettati in carcere, fra i quali merita particolar menzione il conte Torriglioni di Fano, che era stato ministro dell'interno, uomo di alto merito e d'illibati costumi; gli antichi consoli Zaccaleoni e Dematteis, uomini rispettabili, condotti a dorso d'asino in via del Corso in mezzo agli scherni di una scatenata plebaglia. Tutte queste enormit? violavano la capitolazione, ed erano incomportabili; perch? se la impunit? di chi aveva errato pareva scandalosa al governo di Roma, assai pi? scandaloso, e di peggiore esempio era il rompere la fede data. Del resto non si fece, come a Napoli, sangue per giudizj; moderazione degna di molta lode. Ma la sfrenatezza delle soldatesche Napolitane suppliva in questo, perch? oltre al rubare nelle botteghe e nelle strade, il giorno come la notte, uccisero anche parecchie persone, che vollero difendersi dalla loro rapacit?. Questi delitti andavano impuniti. Un povero fabbro, per aver voluto, contro il divieto di alcuni uffiziali Napolitani, usare del diritto che aveva per contratto legale, di attinger acqua ad una fontana nel palazzo Farnese, fu dai medesimi condannato alla pena del bastone per cui mor?: la sventurata sua moglie se ne mor? di dolore. Roma offesa dai Napolitani, era compresa da un alto terrore.

Non mancavano dall'altra parte mezzi di espugnazione ai confederati. Una flotta Turca e Russa governata dall'ammiraglio Woinowich, e comparsa nelle acque d'Ancona, ora bloccava la bocca del porto, perch? nuovo fodero non vi arrivasse, ora faceva sbarchi di gente sui lidi circonvicini. Quest'era la flotta, che gi? vincitrice di Corf?, intendeva al conquisto di Ancona, ponendo sull'Italiche terre coi Turchi e coi Russi i barbari dell'Epiro. Ad essa veniva a congiungersi un navilio sottile d'Austria per poter meglio accostarsi a terra, ed infestare le spiaggie marittime. Dalla parte del Regno gli abitatori delle rive del Tronto si erano levati a romore, e condotti da un Donato de' Donatis, da preti e da frati, ed accompagnati da qualche nervo di genti ordinate, correvano tutto il paese, e minacciavano di stringere il presidio d'Ancona dentro le mura. Dalla parte poi della Romagna tumultuavano anche i popoli contro i repubblicani: Pesaro e Fano, voltate le armi contro di loro, facevano un moto di molta importanza. Sinigaglia stessa, quantunque pi? vicina ad Ancona, titubava. Niuna cosa pi? restava sicura ai repubblicani, che le Anconitane muraglie. Eransi le popolazioni di Pesaro e di Fano mosse da se stesse, e per opera principalmente de' nobili, e della gente di chiesa; ma s'aggiunse loro, sussidio efficacissimo, l'opera ed il nome del generale cisalpino Lahoz. Era Lahoz stato stromento potente ai Francesi per turbare l'antico stato d'Italia. Amico al generale Laharpe aveva militato con lui, e come egli, nodriva l'animo volto a libert?. Abborriva anche, come il suo amico, dal sacco su quei primi fervori; ma molto poi aveva rimesso della sua virt?, massime quando faceva la guerra ai governi, ed a uomini che si chiamavano col nome detestato di aristocrati. Servendo con molta efficacia alle mire di Buonaparte contro la repubblica Veneziana, aveva nella terraferma operato a rovina di lei, con aver chiamato i popoli con parole veementi e con fatti sregolati a ribellione. Era anche stato in Cisalpina ardente cooperatore, perch? la repubblica si creasse un esercito grosso e bene disciplinato, avvisando, che in mezzo alle strette congiunzioni degli stati Europei, l? non poteva essere n? libert?, n? independenza, dove non erano forti armi. Ma in questo aveva fatto poco frutto, ripugnando la natura quieta dei popoli, e distogliendogli il mal governo che di loro facevano i nuovi signori. Grande irritamento all'animo suo altiero ed Italiano erano le rapine, e le insolenze di coloro, che venuti con dolci parole in Italia, l'avevano sobbissata con amari fatti. Siccome assai diverso era stato l'effetto dalle promesse, cos? ancora in lui avevano principiato a pullulare nuovi pensieri, parendogli, che non si dovesse serbar fede a chi non l'aveva serbata. Cos? Lahoz rodeva di rabbia, e dava luogo nella sua mente ad insoliti pensieri contro Francia. Quando poi vennero i tempi infelici, continu?, a malgrado che ne avesse, ma per la occasione non propizia, a serbar fede, ed a seguitare le insegne della repubblica; ma l'animo gonfio si manifestava fuori, e spesso gli uscivano di bocca parole aspre e minacciose contro il dominio dei Francesi. Entrarono eglino in sospetto di quello che macchinasse, e appoco appoco gli andavano levando autorit? e riputazione. Era egli al governo militare dello spartimento della Cisalpina, che si chiamava col nome del Rubicone: quivi, tumultuando d'ogn'intorno i popoli, e parendogli occasione favorevole, incominciava ad insorgere. Sparlava di Francia e delle sue leggi, governava, e quanto al civile e quanto al militare, da se medesimo la provincia, non aspettato i comandamenti di Montrichard a cui era subordinato: Montrichard medesimo, e le azioni sue continuamente lacerava: permetteva ai preti le processioni fuori delle chiese, cosa contraria alle leggi della repubblica: si addomesticava con molta famigliarit? coi preti, coi frati, e coi nobili, e con loro continuamente parlava del nome Italiano. Montrichard seppe questi maneggi, e per?, siccome il caso era d'importanza, gli toglieva l'autorit? sul Rubicone, mandando Hullin per arrestarlo. E siccome con Lahoz pareva implicato Pino, altro generale della Cisalpina, ed amico di lui, ordinava che anch'egli fosse dismesso dall'autorit?, ed arrestato. Giustificossi facilmente Pino dai sospetti, per modo che restandone i generali di Francia del tutto con l'animo purgato, il ricevettero di bel nuovo in grazia, ed egli continu? a militare con fede e con valore sotto le insegne loro, e fu uno dei pi? egregi difensori d'Ancona. Ma Lahoz, avuto avviso degli ordini dati per ritenerlo, si era schivato, e mandando fuori apertamente quello, che si aveva concetto nell'animo, gittossi coi popoli sollevati a guerreggiare contro Francia. Tent? anche l'animo degli Austriaci, che conoscendo di quanta utilit? fosse per essere l'opera sua a rinforzo loro, l'accettarono molto volentieri, quantunque fosse disertore del reggimento Belgiojoso, ed avesse inferito molti danni all'Austria. Cos? Lahoz, che aveva seguitato una immagine ingannatrice di libert? coi Francesi, seguitava ora una immagine parimente ingannatrice d'independenza con gli Austriaci. Certamente non piaceva meglio l'independenza d'Italia agli Austriaci, che piacesse ai Francesi la sua libert?, ed in questa strana deliberazione di Lahoz debbesi piuttosto riconoscere lo sdegno di un animo altiero ed irritato, che l'amore della libert? e dell'independenza, che male potevano nascere da Russi, da Tedeschi, da Albanesi, e da popoli sollevati. Comunque ci? sia, o che Lahoz abbia a stimarsi traditore dei Francesi, o amatore dell'independenza d'Italia, and? a congiungersi con le popolazioni d'Urbino e di Fossombrone, che colle armi in mano perseguitavano a morte ed a sterminio Francia, e chi al nome di Francia si aderiva.

A tutte queste genti, contro le quali col suo tenue presidio doveva combattere Monnier, si aggiunsero a tempo opportuno quelle, che Froelich conduceva dallo stato Romano. Lahoz, incitate e meglio ordinate le squadre dei sollevati sulle rive del Metauro e dell'Egino, prendendo a destra dei monti, che chiamano della Sibilla, se ne andava su quelle del Tronto per quivi abboccarsi con Donato de' Donatis, alle bande del quale molte altre gi? si erano accostate, particolarmente quelle che avevano per condottieri i nobili Scaboloni, Cellini, e Vanni. L'arrivo di un generale tanto riputato per perizia di guerra e per valor di mano, molto confortava questi capi, perch? speravano, che per opera di lui quelle genti indisciplinate e tumultuarie si convertirebbero in esercito regolato ed obbediente. Infatti Lahoz le distribuiva in compagnie, le indrappellava, le squadronava, le rendeva sperimentate negli usi del muoversi, del marciare, del combattere. Concorrevano cupidamente tratti dal nome suo gli Abruzzesi, e fecero massa tale, che da Ascoli passando per Calderola, Belforte, Camerino, Tolentino e Fabriano, si distendevano con guardie non interrotte sino a Fossombrone e Pesaro, cignendo per tal modo tutto il paese all'intorno d'Ancona.

Monnier, non volendo lasciarsi ristrignere nella piazza, usciva fuori alla campagna per combattere fazioni, che non potevano portare che danno per lui, perch? aveva poche genti, e non modo di ristorare i soldati perduti con nuovi, mentre i collegati per avere i mari aperti, e le popolazioni sollevate in lor favore, potevano facilmente aggiugnere genti a genti. Ma qual cosa si debba pensare di questa risoluzione di Monnier, ne seguitava una guerra minuta e feroce, a distruzione d'uomini e di paesi, usandosi dai soldati immoderatamente la licenza. Ascoli, Macerata, Tolentino, Belforte, Fano, Pesaro, ed altre citt? della Marca, belle tutte e magnifiche, prese e riprese per forza parecchie volte, ora dall'una delle parti, ed ora dall'altra, pruovarono quanto la licenza militare ha in se di pi? atroce e di pi? barbaro. Finalmente successe quello, che era impossibile che non succedesse, cio? che moltiplicando sempre pi? le genti collettizie di Lahoz, e le regolari dei collegati, e venute in mano loro Iesi, Fiume, Fiumegino, Sinigaglia, Montesicuro, Osimo, castel Fidardo, e perfino Camurano, terra posta a poca distanza d'Ancona, fu costretto Monnier a serrarvisi dentro, ed a far difesa dei suoi le mura fortificate di lei. I Turchi ed i Russi, senza metter tempo in mezzo, s'impadronirono della montagnola, donde pi? oltre procedendo, tosto piantarono una batteria di diciasette cannoni, con la quale bersagliavano il forte dei Cappuccini, il monte Gardetto, e la cittadella.

Furono da questi tiri molto danneggiati gli edifizj della cittadella, restaronne i bastioni rotti, le caserme inabitabili. Al tempo stesso ventidue barche armate di cannoni fulminavano dalla parte del mare contro il lazzaretto, il molo, il forte dei Cappuccini, e contro le tre navi che gi? furono della repubblica di Venezia, il Beyrand, il Laharpe e lo Stengel, e che Monnier aveva fatto sorgere in sur un'ancora alla bocca del porto. Lahoz, cacciati i repubblicani da monte Pelago, se n'era fatto padrone, e quinci con trincee si approssimava a monte Galeazzo; che anzi fatto un subito impeto contro di esso, vi si era alloggiato, ma venuto Monnier con un grosso de' suoi, lo aveva rincacciato dentro le trincee scavate fra questi due monti. Tali erano le condizioni dell'Anconitana guerra, n? si vedea, che gli alleati potessero cos? presto restar superiori, perch? quei di dentro si difendevano egregiamente, e di quei di fuori, i Russi erano pochi, i Turchi ed i sollevati per l'imperizia loro, e la mala attitudine dei loro instrumenti militari facevano poco frutto nell'espugnazione della piazza. Ma in questo punto sopraggiungeva Froelich co' suoi Tedeschi, e rendeva tosto preponderanti le sorti in favor dei collegati. Si alloggiava in Varano, e voleva recarsi ad una gagliarda fazione contro il monte Galeazzo, confidando anche, per mandarla ad esecuzione, nell'ajuto dei collettizi di Lahoz. L'intento suo era, acquistando quel posto, di battere pi? da vicino il monte Gardetto; conciossiach? nella presa di quest'eminenza consisteva principalmente la vittoria d'Ancona. Due volte l'aveva Lahoz con singolare ardimento assaltato, e due volte ne era stato con molta uccisione de' suoi risospinto. Ma Monnier, avendo conosciuto che finalmente, se il nemico stesse pi? lungamente padrone di monte Pelago, e delle trincee che vi aveva fatte, e che si distendevano verso monte Galeazzo, impossibile cosa era ch'egli potesse conservarsi la possessione di questo monte medesimo, sortiva assai grosso la notte dei nove ottobre per andar all'assalto delle trincee dei sollevati. Si combatt? tutta la notte gagliardamente, presero i repubblicani il ridotto principale, chiodarono i cannoni, portarono via le bandiere. Ma un secondo ridotto tuttavia resisteva, sgarando tutti gli sforzi di Monnier. Gi? il giorno incominciava a spuntare; si conoscevano in viso i combattenti, quando Lahoz impaziente di quella lunga battaglia, usciva dall'alloggiamento, e dava addosso agli assaltatori. Siccome poi era uomo di molto coraggio, precedendo i suoi, gli animava a caricar l'inimico. Quivi era presente Pino, per lo innanzi suo amico fedele, ora suo nemico mortale: scorgevansi, scagliavansi l'uno contro l'altro, sfidavansi a singolare battaglia, tristissimo spettacolo ad Italiani. Ed ecco in questo un soldato Cisalpino prender di mira Lahoz conosciuto, e ferirlo mortalmente di palla di moschetto. Furongli i repubblicani addosso, cos? ordinando Pino, ed avendolo ferito di nuovo, gli tolsero le armi e lo spennacchio, che a guisa di trionfo portarono in Ancona. Avrebbero anche portato il corpo, che credevano morto, se non fossero stati presti i sollevati ed i Tedeschi a soccorrerlo.

Fatto giorno, e muovendosi gli Austriaci contro Monnier, si ritirava il Francese con tutti i suoi in Ancona, lasciando nel nemico una impressione vivissima del suo valore. Fu condotto Lahoz all'alloggiamento di Varano. Quivi sopravvisse tre giorni, e tra il dolore delle ferite e l'angoscia dell'animo si and?, prima della ultima ora, colle seguenti parole esprimendo: <> , <>. Ci? detto, passava da questa all'altra vita.

Froelich, piantate le artiglier?e in luoghi opportuni, e con esse battendo impetuosamente i monti Galeazzo e Santo Stefano, se ne insignoriva. Poi procedendo pi? oltre con le trincee, si avvicinava al monte Gardetto. Poscia usando il favore di questa vittoria, dava il d? due novembre un furioso assalto a quest'ultimo sito, e correva anche contro la porta Farina, mentre i Russi e gli Albanesi assaltavano la porta di Francia. Sostenne Monnier l'urto con grandissimo valore, e cacciando ne' suoi primi alloggiamenti il nemico, fece vedere, quanto potessero pochi soldati estenuati e stanchi, quando hanno e coraggio proprio, e buona condotta di capo valoroso. Cessarono allora dagli assalti i collegati, solo battevano con le artiglier?e la piazza. Crollavansi alle fulminate palle i bastioni della cittadella, rompevansi le artiglier?e degli assediati, la piazza gi? difettava di vettovaglie; Froelich compariva grosso e minaccioso a fronte del monte Gardetto. Mandava dentro a fare un'ultima chiamata a Monnier il generale Skal, portatore delle sinistre novelle dei repubblicani rotti in tutta Italia, specialmente delle novit? di Napoli, di Roma e di Toscana.

Monnier, avendo fatto quanto l'onore dell'armi, e la dignit? della sua patria da lui richiedevano, inclin? finalmente l'animo al trattare, protestando per?, volere solamente arrendersi alle armi Austriache, non a quelle dei Russi, o dei Turchi, o dei sollevati. Patti onorevoli seguitarono una difesa onorevole. Uscisse il presidio con ogni onore di guerra, avesse sicurt? di passare in Francia per dove volesse, fino agli scambj non militasse contro gli alleati, si desse a Monnier una guardia d'onore di quindici cavalieri e di trenta carabine; nissuno di qualunque nazione o religione si fosse, particolarmente gli Ebrei, o in Ancona, o fuori nei dipartimenti del Tronto, del Musone e del Metauro, potesse essere riconosciuto, o castigato, od in qualunque modo molestato n? per fatti, n? per iscritti, n? per parole in favore della repubblica, e chi volesse seguitare il presidio con le sostanze e con la famiglia, il potesse fare liberamente. Fu, e sar? questa capitolazione, egregio e perpetuo testimonio del valore e della generosit? di Monnier. Cos? fra tutti i comandanti di fortezze in Italia, solo Mejean, castellano di Sant'Elmo, abbandon? i repubblicani, e quelli che si erano aderiti ai Francesi: tutti gli altri ottennero, od almeno domandarono la salvazione di coloro, che combattendo, o consentendo coi Francesi avevano contro di se concitato l'odio degli antichi signori. Attraversava il presidio Anconitano, ammirato e riverito da tutti, l'Italia, tornandosene in Francia per la strada della Bocchetta.

Venuta Ancona in potere dei confederati, i Turchi, ed i Russi si diedero al sacco; quelle misere terre gi? conculcate e peste da s? lunga guerra prima della vittoria, furono condotte all'ultimo sterminio dopo di lei. Froelich, siccome quegli che era uomo di giusta e severa natura, faceva castigare aspramente gli avari e crudi conculcatori; il che accrebbe i mali umori e le cause di disunione, che gi? passavano tra la Russia e l'Austria.

LIBRO DECIMONONO

SOMMARIO

Stato della Francia dopo le rotte d'Italia. Mala contentezza, e querele dei popoli contro il governo; loro desiderio universale di Buonaparte. Egli arriva dall'Egitto, e, distrutto il direttorio, reca in sua mano la somma delle cose col titolo di primo consolo. Indirizza i suoi pensieri alla conquista d'Italia, si accorda coll'imperator Paolo di Russia, ma non pu? coll'imperator Francesco, n? col re Giorgio. Suoi vasti concetti. Assedio di Genova, e generosa difesa fattavi dentro da Massena; resa della piazza.

S'avvicina il tempo, in cui l'Europa messa a soqquadro, ed a terrore dalla sfrenata licenza sotto nome di libert?, debbe far trapasso alla potest? assoluta sotto nome d'imperio; secolo turbolento, ambizioso e superbo, che torment? gli uomini coi due peggiori estremi, poi loro lasci? la coda dello essere inabili ai benigni e liberi reggimenti. Era il direttorio constituito in assai difficile condizione. Bollivano molte parti in Francia, e tutte si volgevano contro di lui. La nazione Francese, impaziente delle disgrazie per natura, ancor pi? impaziente per la memoria delle vittorie, dava imputazione, per appagamento proprio, a' suoi reggitori delle rotte ricevute, e della perduta Italia. Moltiplici querele si muovevano in ogni parte contro di loro, e il meno che si dicesse, era, che non sapevano governare; perch? chi gli accagionava di tradimento, e chi del tenere il sacco a coloro, che con le ruber?e avevano ridotto i soldati alla penuria ed impossibilit? del vincere. Quell'impeto, che era sorto pei tre nuovi quinqueviri, gi? era per le ultime rotte svanito. Dominava nei consiglj legislativi, secondo il solito, la perversa ambizione del voler disfare il governo per arrivare ai seggi del direttorio; dal che nasceva, che eglino cos? nel bene come nel male il direttorio contrariassero, n? vi fosse pi? modo alcuno di governare. I soldati nuovamente descritti non marciavano, i veterani disertavano per la strettezza dei pagamenti, le contribuzioni non si pagavano, ogni nervo mancava; la guerra civile lacerava le provincie occidentali, la discordia le meridionali; chi voleva le opinioni estreme, chi le mezzane; molti che sapevano molto bene quello, che si volessero, e molti ancora che nol sapevano, desideravano una mutazione. N? questa mutazione era evitabile, perch? nissun governo pu? resistere in Francia alle sconfitte accompagnate dalla libert? dello scrivere e del parlare. La fazione soldatesca, che mal volentieri sopportava che il paese fosse retto dai togati, ed alla quale nissun governo piace se non il soldatesco, guardava intorno, se qualche bandiera chiamatrice di novit?, ed alla quale potesse, come a centro comune, concorrere, all'aria si spiegasse, proponendosi di sottomettere, prima il governo col nome della libert?, poi il popolo col nome di gloria. Tutte queste cose vedevansi gli uomini savi, nemici della licenza; vedevanle i faziosi, amici della tirannide, e tutti pensavano al ridurle ai disegni loro.

In questa congiuntura di tempi, sovveniva agli uni ed agli altri il nome di Buonaparte, tanto glorioso per Francia, tanto temuto dai forestieri. Esso solo, dicevano, potere ritornar a sanit?, e ridurre in porto le cose dello stato afflitto, esso rinverdire la gloria della desolata repubblica, esso ricuperare le tanto predilette regioni dell'infelice Italia. O fosse tradimento, o fosse incapacit?, essere oscurato il nome Francese per immoderate disfatte, e gi? l'Europa tante volte vinta avventarsi contro le proprie terre di coloro che l'avevano vinta; esso solo, il conquistatore d'Italia, a se medesimo sempre consentaneo, avere alle repubblicane bandiere in lontani e barbari lidi conservato la vittoria; la fama dei prosperi fatti di Egitto consolare in parte gli animi attristati dalla calamit? d'Europa; vedersi adesso, quanto un uomo solo possa per la salute degli stati da eccessive forze assaliti, e poich? morto era Joubert, e che Moreau e Massena non bastavano, perch? non richiamarsi in sussidio della patria cadente Buonaparte l'unico? Essere negli altri coraggio, essere ingegno, ma l'animo superatore di ogni fortuna, ma il pensiero comandatore, e piegatore di ogni volont? in un solo e generoso ed alto fine, in Buonaparte solo albergarsi: lui solo essere mezzo a moderare, e quasi un freno a tanti dispareri e sospetti: pruovassesi adunque quanto potesse una mente tanto potente, una felicit? tanto costante: con Buonaparte Italico aver prosperato la repubblica, senza Buonaparte Italico essere caduta, con Buonaparte Italico ed Egiziaco avere a risorgere. A questo modo nasceva in Francia un desiderio accesissimo del capitano invitto. A lui si volgevano gli amatori della gloria militare, perch? il credevano capace d'instaurarla; i corrotti dall'appetito del comandare e del far sacco, perch? confidavano, che ai soliti imperj e depredazioni gli potesse ricondurre; i nemici della licenza, perch? sapevano ch'ei non l'amava, e che era uomo da poterla spegnere; gli odiatori della guerra civile, perch? speravano che l'avesse a terminare; i repubblicani ardenti, perch? non dubitavano che disfacesse il direttorio; i repubblicani quieti, perch? pensavano che avesse ad indurre un vivere libero senza eccesso; i dotti ed i letterati, perch? si promettevano di esser bene trattati da lui; i filosofi, perch? non ignoravano ch'ei sentiva molto liberamente nelle cose religiose, ed il riputavano amico della libert? civile; i fautori segreti dell'autorit? regia, perch? avevano a loro medesimi persuaso, siccome le voci ne erano corse, e ne era stato qualche pratica, ch'egli fosse per consentire alla ritornata dei Borboni, e per restituire l'antica signoria loro in Francia. Ognuno come redentore il guardava, ognuno desiderava che tornasse a redimere la patria afflitta. Queste affezioni erano sorte nei popoli, parte per le disgrazie, parte per lo splendore delle vittorie, parte per le arti astutamente usate da lui e da' suoi fautori, talmente che ciascuno credeva, ch'ei fosse per fare ci? che ciascuno desiderava. Tanta ? l'efficacia dei discorsi versipelli nelle discordie civili, perch? le sette o non comunicano, o non si prestano credenza fra di loro, e pu? chi sta sopra a tutte, lusingarle, aggirarle, ingannarle a suo grado, e sicuramente tutte. Se il savio fra i matti pu? tanto, ? facile comprendere quanto possa l'astuto, che ? un savio raddoppiato, e Buonaparte fu astutissimo. Insomma la materia era ben disposta a ricevere le Buonapartiane impronte. Adunque gi? fin da quando si erano udite le prime sciagure d'Italia, era sorto fra i desiderosi di cose nuove il pensiero di far tornare Buonaparte dall'Egitto, il qual pensiero si rinfresc? maggiormente, e si mand? ad effetto quando port? la fama, essere morto Joubert, combattendo nella battaglia di Novi. In questo disegno entrarono Sieyes quinqueviro, perch? vedeva, siccome uomo oculatissimo, che lo stato non poteva pi? durare con quella maniera di reggimento, Barras quinqueviro per la congiunzione antica, e forse per le speranze Borboniche, i generali superstiti dell'esercito Italico, eccettuato Massena, il quale non era punto affezionato a Buonaparte, ed i fratelli Giuseppe e Luciano Buonaparte che aspiravano al dominio. Molto accomodato a' suoi fini era il procedere di Luciano: affermava con gli amici, non potersi vivere con quella constituzione, doversene creare un'altra: col pubblico rammentava, e con vivi colori pingeva, prima le glorie, poi le sconfitte d'Italia; lamentava la Cisalpina oppressa dalla tirannide di Trouv? e di Rivaud; lodava e patrocinava l'Italia; predicava la libert? di Francia, conculcata, come diceva, da un direttorio prepotente ed arbitrario. Cos?, allettando, chiamava a se, ed al nome del suo fratello i gelosi della libert? e della gloria Francese, i desiderosi della libert? Italica, i cupidi delle spoglie Italiche. Viaggiavano le vele, erano quelle di un bastimento Greco, portatrici dei desiderj comuni verso l'Egitto, correndo la state del presente anno. L'avviso fu ed accetto, ed opportuno.

Buonaparte, che conosceva ottimamente per la sua mente pronta e vasta, per la perizia somma nelle faccende di stato, e per la cognizione profonda che aveva di questa umana razza, quanto piena fosse la fortuna che si parava davanti, e quanto fosse propizia la occasione di condurre ad effetto i suoi pensieri smisurati, parendogli eziandio, che un mezzo opportuno gli si offerisse di sottrarsi dall'Egitto, dove le cose sue cominciavano a declinare, cupidissimamente si avviava alle sue nuove e straordinarie sorti. Salpava dagli Egiziani lidi, conducendo con se i suoi compagni pi? fidati di guerra, perch? aveva bisogno delle mani e delle armi loro; i dotti ed i letterati pi? famosi, perch? si voleva servire, come di ajuto molto potente, dell'autorit?, delle lingue, e degli scritti loro. Arrivava improvviso a Frejus: improvviso ancora, disprezzate le leggi di sanit?, perch? non voleva che la fama del suo arrivo si raffreddasse, partendo, giungeva nel volubilissimo Parigi, che bramosamente l'aspettava. Io non mi star? a raccontare le allegrezze che si fecero in tutta Francia, quando si sparse la voce del suo ritorno: basta, che le genti corsero a lui da ogni parte, come a trionfatore, a salvatore, a redentore: gi? Francia era sua, quantunque uomo privato, e generale senza esercito fosse. Lione sopratutto tripudiava per un'insolita allegrezza, citt? ancor sanguinosa per l'imperio poco anzi spento dei truculenti giacobini, sdegnata per le leggi soldatesche, che contro di lei tuttavia vigevano. Tocc?, passando, i tasti pi? teneri; favell? di pace, di prospero commercio, di ferite civili da racconciarsi da un giusto e mansueto governo. I Lionesi contenti speravano ed amavano. A Parigi, ogni opinione, ogni affezione si voltava a lui: dava buone parole a tutti, ma insomma pendeva al moderato, sapendo che tal era il desiderio universale. I letterati massimamente, o poeti, o non poeti, con ogni maniera pi? adulatoria si studiavano di compiacergli, e con infinite lodi innalzavano insino al cielo il suo nome. Il lusinghevole uso si propagava largamente: tutta Francia risuonava d'encomj; la libert? era perduta gi? prima che nata.

Cacci? Buonaparte a punta di bajonette i consigli legislativi, cacci? il direttorio, i soldati pagati dal governo si voltarono contro il governo: ebbe paura sulle prime, poi fece paura agli altri; chiam? pazzo chi credesse, che la realt? potesse prevalere alle repubbliche in Europa, poi spense tutte le repubbliche, e cre? in ogni luogo la realt?. Conosce Europa il d? nove novembre, da cui poteva nascere un vivere moderato e libero, e che non pertanto partor? un reggimento duro, tirato, dispotico, e soldatesco. S'accorse tostamente Sieyes, che aveva trovato un padrone, non un compagno, Barras un uomo che il volle allontanare da se, non un amico che il riconoscesse dei benefizj, uno finalmente, che anteponeva la potest? assoluta, alla quale aspirava, all'antiche congiunzioni, ed alla gratitudine.

Incominciano le trilustri insidie. Buonaparte, dubitando che i Francesi non fossero per tollerare pazientemente la grandissima mutazione che preparava, e parendogli che a sostentare la sua immensa cupidit? bisognassero fondamenti straordinari, apprestava con infinita accortezza allettamenti potentissimi. Fu maravigliosa l'arte sua nel vincere le battaglie, ma assai pi? maravigliosa fu nell'adescar le genti. A duro giogo le traeva; ma esso solo sapeva il fine. Spinte da gradite apparenze di lieto avvenire, da lusinghevoli speranze di contentati desiderj concorrevano cupidamente l?, dov'ei voleva farle concorrere; n? mai frutti tanto amari si annidarono sotto s? dolci scorze. Pace dentro, pace fuori gli parvero i pi? forti fondamenti della sua potenza: i Francesi stanchi ed afflitti da s? lunghe guerre, pace sopratutto desideravano, purch? disonorata non fosse, del che non temevano con Buonaparte capo. A questi fini indirizzava egli principalmente i suoi pensieri. Speciale intoppo alla cittadina concordia gli parevano, ed erano veramente gli spiriti esagerati, i quali non potendo per ambizione riposare sotto alcuna potest?, nemmeno possono quando sono giunti essi alla potest? suprema, posciach? tirannicamente procedendo, decimano prima i popoli, poi se medesimi, e tutti i fondamenti dello stato fan rovinare; non gli era ignoto, che il nome di costoro era odioso in Francia; perci? fece avviso, che molto fosse, per operare a fine di concordia, il cacciare questi commettitori di scandali, di risse e di sangue: per la qual cosa, senza rimanersene ai formali giudizj, n? differendo contro di loro i rimedj severissimi, gli allontanava confinandogli in terre estreme o forestiere. Purgata la Francia da questi uomini turbolenti, pensava al ribandire dal lungo esiglio coloro, che avevano seguitato la parte del re, od almeno detestato le esorbitanze, che ai tempi pi? acerbi della rivoluzione si erano commesse in Francia. Pochi furono eccettuati dal clemente editto, piuttosto per lasciare un appicco a nuove grazie, che per altro fine. Rientravano gli esuli, non sotto i tetti proprj, non nei beni loro posti al fisco, ma a rivedere i monti, i fiumi, le valli, e l'aere natio; il che era pur parte di felicit?. Gradivano infinitamente queste cose agli amatori del nome reale, e ne auguravano delle maggiori. Della contentezza loro godeva il consolo, volendo arrivare alla dominazione assoluta coll'appoggio dei regj, e dei repubblicani. In questi pensieri tanto pi? volontieri si confermava, quanto non dubitava, che sarebbero andati a grado delle potenze Europee, siccome quelle che vi vedevano l'intenzione data da lui nei campi di Leoben e di Campoformio, di voler rimettere i Borboni, desiderio primo e principale dei principi, massimamente dell'imperatore Paolo. Sperava, nella cupezza sua, che con questi mezzi acquisterebbe pace con Europa, e tanta potenza in Francia, che senza pericolo potesse finalmente scoprirsi dello aver preso il dominio per se, non per altri. Il reggimento statuito da lui in Francia, in cui parti principalissime erano il senato ed il corpo legislativo, non gli dava apprensione, perch? del senato lo assicuravano le ricchezze, del corpo legislativo le ambizioni. L'avere poi ridotto le amministrazioni delle province ad uno invece di molti fece gli ordini meglio eseguiti, l'erario pingue: ogni cosa si volgeva alla monarch?a. Correndo i soldi, i magistrati obbedivano, i soldati marciavano: tutti benedicevano il consolo. Credere, che i principj astratti prevalgano alle borse piene, ? cosa da pazzo.

A tutti questi maneggi gran momento arrecavano gli scienziati ed i letterati, siccome quelli che avevano molta autorit? sui popoli, massimamente in Francia, dove erano uniti in certa spezie di congregazione, non per legge, ma per uso. Per la qual cosa il consolo gli accarezzava, gli arricchiva, gl'ingrandiva. Adulava l'instituto, e l'instituto lui. In questo non tutti andavano allo stesso modo. Alcuni s'accostavano a lui per gli allettamenti, altri per fin di bene, credendo, o che egli andasse per se, o che il potessero tirare colle persuasioni a volere la libert?. Piacemi fra questi nominare Cabanis, nel quale se fosse maggiore o il ben pensare, o il ben dire, o il bene scrivere, o il ben fare, io distinguere non saprei: certo tutte queste qualit? erano in lui molto eminenti. Questo edifizio degli scienziati e dei letterati molto il puntellava, parendo a tutti, che a chi piacevano gli uomini civili, dovesse anche piacere la civilt?, e con lei la libert?, la quale sarebbe il compimento, e quasi il fiore della civilt?, se gli avari e gli ambiziosi non la guastassero.

Grande flagello, da che aveva principiato la rivoluzione, era sempre stata la guerra della Vendea, nella quale con infinito furore combattendo e repubblicani e regj, avevano sterminato popolazioni intiere, desolato paesi altre volte fioritissimi, commesso quello che solo commettono nelle civili discordie, e forse neanco in queste gli uomini arrabbiati gli uni contro gli altri. La forza non l'aveva potuta spegnere, perch? irritava, le tregue nemmeno, perch? mal fide: ormai si nominava guerra interminabile. S'accorgeva il consolo, quanta grazia acquisterebbe fra i popoli, se pacificasse quelle terre rosse di tanto sangue Francese: applicovvi l'animo, venne a capo dell'impresa. Fra il terrore del suo nome, l'apparato de' suoi soldati, le promesse di osservar la fede, le speranze segretamente date di voler procedere pi? oltre, vennero i capi della Vendea ad una onesta composizione: la concordia tornava sulle rive dell'insanguinato Ligeri; Parigi maravigliato vedeva i capi della Vendeese guerra. Ammiravano i popoli il consolo pacificatore, uguale nel far le guerre, uguale nel far le paci.

Forti amminicoli a quanto macchinava, pensava che fossero gli uomini di chiesa tanto maltrattati dal direttorio. Volle tirargli, e il fece agevolmente. Di? patria ai preti fuorusciti, libert? ai carcerati, sicuro vivere ai nascosti. Queste cose faceva apertamente, molte altre prometteva segretamente: i preti tutti, anche quelli che col crocifisso in mano avevano concitato le Vendeesi popolazioni contro i repubblicani, amavano e fomentavano la sua grandezza. S'aggiunse, che onor? con pietosi uffizj Pio sesto, papa morto, che aveva perseguitato vivo. Ordinava per lui solenni esequie in Valenza di Delfinato; il chiamava giusto, virtuoso, santo; affermava, avere per forza, e per mali consigli fatto guerra a Francia. Questo favellare maravigliosamente piaceva a coloro, che sentivano ancora di religione, massimamente ai ministri di lei. Gi? non solo vincitore e riformator generoso del governo, ma ancora instaurator pio dell'antica religione di Francia il chiamavano. Vacando il trono pontificale per la morte di Pio sesto, eransi a questo tempo adunati i cardinali in conclave a Venezia per intendere alla elezione del nuovo pontefice. Temeva il consolo, che si creasse, dovendo la elezione farsi in luogo suddito all'Austria, un pontefice troppo aderente a questa casa con pregiudizio degl'interessi di Francia e proprj. Perci? andava moltiplicando ne' suoi segni di affezione verso la religione, e nutriva con grandi speranze i ministri di lei. Si poteva facilmente pronosticare da questi primi favori, ch'ei voleva venirne, quanto alle faccende ecclesiastiche, ad ordini legittimi e definitivi. Ci? era cagione che i cardinali raccolti in Venezia non disperassero di Francia, e non consentissero ad innalzare al pontificato un cardinale, che si fosse dimostrato troppo contrario a lei. Si aggiungeva a favore di Francia e del consolo, che non senza grave sospetto stavano i cardinali intorno alle intenzioni dell'Austria rispetto al patrimonio della chiesa. Le dimostrazioni da lei fatte di aver voluto far correre a Roma Froelich, lo avere lui penato a ratificare la convenzione conclusa tra Garnier, gl'Inglesi ed i Napolitani, e molto pi? il desiderio, anzi la volont? evidentemente scoperta dall'Austria di serbarsi le legazioni, gli avevano messi in sentore. Perlocch? desideravano di assicurarsi dell'Austria per mezzo dell'amicizia di Francia. Questi umori erano astutamente fomentati dal consolo e gli dettero facilit? di fermare le cose di Roma. Oramai si era accorto, che invece di combattere contro l'Europa e la santa sede, era arrivata la stagione, in cui egli poteva combattere, della santa sede servendosi, contro l'Europa; e siccome si era pruovato, che il gridare libert? senza religione aveva avuto cattivo fine, si risolveva a gridare libert? con religione insino a tanto che le radici della sua potenza essendo ferme, potesse spegnere la prima, e muovere a suo talento la seconda: tutto si volgeva a sua grandezza.

Ma primo ed universale desiderio della Francia tanto rotta e sanguinosa, era la pace. Questa inclinazione assecondava il consolo, non che sperasse di ottenerla con tutti, ma l'offerirla a tutti gli pareva confacente a' suoi pensieri. Questo ad ogni momento inculcava, per questo essere venuto dall'Egitto, abborrire la guerra, abborrire i conquistatori, pregare Iddio, che gli concedesse tanto di vita, che potesse dar pace alla Francia, pace all'Europa afflitte; solo per questo desiderar di vivere, la guerriera gloria essergli venuta a tedio, solo piacergli la pacifica. Questi discorsi faceva con s? efficaci parole, e con fronte tanto pietosa, che tutto il mondo credeva che fossero sinceri.

Pensava, che a' suoi fini molto valesse, e fosse molto ricercata dalle cose presenti, se non la pace, la offerta almeno della pace all'Inghilterra. Scriveva una molto bene elaborata lettera al re Giorgio: la guerra avere forse ad essere eterna? Non esservi forse alcun modo di finirla con qualche onesta composizione? Due nazioni grandi e potenti dovere forse porre in non cale la ricchezza dello stato, la felicit? delle famiglie? Non sentir loro, non toccar con mano, la pace siccome ? la cosa pi? desiderata di tutte, cos? ancora essere la pi? gloriosa? Sapere, che la Francia, e l'Inghilterra potevano per la potenza loro ancora molto tempo straziarsi, ma sapere ancora, che il destino di tutte le nazioni pendeva dal fine di una guerra, per cui tutto il mondo ardeva. Rispose acerbamente per bocca del ministro Grenville il re Giorgio, avere la Francia desolato la terra, avere i medesimi principj e le medesime cagioni a partorire i medesimi effetti; essersi servita dei trattati di pace, dei trattati d'alleanza a distruzione degli amici, e degli alleati suoi; non sapersi, se il governo nuovo prodotto da una rivoluzione nuova fosse per cangiar d'opere, ed offerisse maggiore sicurt? a chi trattasse con lui; non potersi fidare in proteste generali di desiderj pacifici; non vane parole, ma l'esperienza sola poter convincere altrui, che altro si voleva adesso, da quello che si era voluto prima; desiderare il re la pace, ma sicura per se, sicura pe' suoi alleati; solo, e fidato mezzo di sicura pace essere il rimettere in Francia quella stirpe di principi, che per tanti secoli l'avevano governata con prosperit? dentro, con dignit? fuori; nondimeno ci? accennare solamente il re alla Francia, non richiedernela; non volere, n? pretendere prescrivere forma di reggimento, o capi ad una nazione grande e potente; solo volere la sicurezza sua, solo volere la sicurezza de' suoi alleati; essere per venir volentieri ad un accordo, quando giudicasse di poter convenire con sicurezza, ma per ancora non conoscersi sufficientemente i principj del nuovo governo, non congettura probabile potersi fare dalla stabilit? sua. A questo modo furono abbandonati i ragionamenti della concordia tra Francia ed Inghilterra. Pure ci? consegu? il consolo, che la continuazione della guerra s'imputasse non a lui, ma al re Giorgio.

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