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Read Ebook: Storia d'Italia dal 1789 al 1814 tomo V by Botta Carlo
Font size: Background color: Text color: Add to tbrJar First Page Next Page Prev PageEbook has 276 lines and 101955 words, and 6 pagesPensava, che a' suoi fini molto valesse, e fosse molto ricercata dalle cose presenti, se non la pace, la offerta almeno della pace all'Inghilterra. Scriveva una molto bene elaborata lettera al re Giorgio: la guerra avere forse ad essere eterna? Non esservi forse alcun modo di finirla con qualche onesta composizione? Due nazioni grandi e potenti dovere forse porre in non cale la ricchezza dello stato, la felicit? delle famiglie? Non sentir loro, non toccar con mano, la pace siccome ? la cosa pi? desiderata di tutte, cos? ancora essere la pi? gloriosa? Sapere, che la Francia, e l'Inghilterra potevano per la potenza loro ancora molto tempo straziarsi, ma sapere ancora, che il destino di tutte le nazioni pendeva dal fine di una guerra, per cui tutto il mondo ardeva. Rispose acerbamente per bocca del ministro Grenville il re Giorgio, avere la Francia desolato la terra, avere i medesimi principj e le medesime cagioni a partorire i medesimi effetti; essersi servita dei trattati di pace, dei trattati d'alleanza a distruzione degli amici, e degli alleati suoi; non sapersi, se il governo nuovo prodotto da una rivoluzione nuova fosse per cangiar d'opere, ed offerisse maggiore sicurt? a chi trattasse con lui; non potersi fidare in proteste generali di desiderj pacifici; non vane parole, ma l'esperienza sola poter convincere altrui, che altro si voleva adesso, da quello che si era voluto prima; desiderare il re la pace, ma sicura per se, sicura pe' suoi alleati; solo, e fidato mezzo di sicura pace essere il rimettere in Francia quella stirpe di principi, che per tanti secoli l'avevano governata con prosperit? dentro, con dignit? fuori; nondimeno ci? accennare solamente il re alla Francia, non richiedernela; non volere, n? pretendere prescrivere forma di reggimento, o capi ad una nazione grande e potente; solo volere la sicurezza sua, solo volere la sicurezza de' suoi alleati; essere per venir volentieri ad un accordo, quando giudicasse di poter convenire con sicurezza, ma per ancora non conoscersi sufficientemente i principj del nuovo governo, non congettura probabile potersi fare dalla stabilit? sua. A questo modo furono abbandonati i ragionamenti della concordia tra Francia ed Inghilterra. Pure ci? consegu? il consolo, che la continuazione della guerra s'imputasse non a lui, ma al re Giorgio. Erano tra Francia ed Inghilterra odio vivo, interessi diversi, vicinanza gelosa, pace difficilissima: molto diverse condizioni passavano tra Francia e Russia. Era l'Austria alleata naturale dell'Inghilterra, la Russia per caso. Ci? si sapeva il consolo; neanco ignorava quali freddezze corressero allora tra Francesco e Paolo. L'avere l'Austria voluto por piede in Roma, il non aver voluto rimettere il re di Sardegna, l'essere stati i suoi soldati aspramente trattati da Froelich, l'avere l'arciduca Carlo abbandonato, correndo verso il Reno, Suwarow in grave pericolo nella Svizzera, il manifestare in ogni cosa il desiderio di un dominio universale in Italia, avevano raffreddato l'ardore di Paolo, e fattolo indispettire contro il suo alleato, ancorach? egli medesimo non avesse avuto l'animo alieno dallo avere un seggio sicuro, per servirsene come di emporio e di scala, nel regno di Napoli, effetto, che aveva tentato di conseguire per recenti negoziati col re Ferdinando. Questa mala disposizione dell'imperatore Paolo verso l'imperatore Francesco astutamente fomentava Buonaparte, vivamente rappresentando al primo l'ambizione del secondo: volere, diceva, oltre gli stati di Venezia, datigli in compenso dei Paesi Bassi, tenersi ancora lo stato di Milano, e Mantova, ambidue conquistati in gran parte col valore, e col sangue dei soldati Russi, n? contento a questo, appetire le tre legazioni del pontefice; avere altres? capriccio sul Piemonte, e per questo avere ostato a Suwarow, quando voleva restituire al suo antico seggio il re Carlo Emanuele; quanto a lui non fare altro disegno sopra l'Italia, se non quello di ridurla alle condizioni di Campoformio, di render sicura la independenza del pontefice e del re di Napoli, di dare sesto conforme, ed ordini pi? monarcali alla Cisalpina, di rimettere in Piemonte il re di Sardegna, quando non si trovasse altro mezzo di un onesto compenso. Quanto all'Inghilterra, rammentava il suo insolente dominio sui mari, la generosit? di Caterina dell'averlo voluto frenare, la libert? del Baltico, e la franchigia dei neutri ai tempi di guerra con magnifiche parole commendando. Aggiungeva a tutte queste insinuazioni certe espressioni, che indicavano a Paolo la sua intenzione di dar compimento alle pratiche incominciate per mezzo del conte d'Entraigues della rinstaurazione dei Borboni. A s? fatte promesse e protestazioni si lasciava muovere Paolo: il consolo, per fargli dar la volta intieramente, pagava, provvedeva di tutto punto, e rimandava liberi al loro signore i soldati Russi fatti prigionieri nelle guerre di Svizzera e d'Olanda. Parve atto generoso, ed arra conveniente dei disegni avvenire. Da tutte queste cose mosso il sovrano di Russia, voltando lo sdegno, siccome quegli che era subito nelle sue risoluzioni, da Francia contro Inghilterra, n? vedendo, perch? era di animo sincero, quello che covasse sotto alle lusinghevoli parole del consolo, il riceveva nella sua amicizia, e si riduceva alla sua volont?, dichiarando, non voler pi? partecipare nella lega, e richiamava in Russia le sue genti, che ancora stanziavano in Germania. Poscia, accendendolo vieppi? le speranze dategli, rinnovava contro la potenza marittima dell'Inghilterra i patti della lega del Nord, cacciava da Pietroburgo gli agenti del re Giorgio, imputando agl'Inglesi l'esito infelice della spedizione d'Olanda. Cos? Paolo, scostandosi dall'amicizia d'Austria e d'Inghilterra, si precipitava in quella di Francia. Parve a tutti, ed era veramente questa mutazione di grandissima importanza, e fu forte sostegno all'esaltazione del consolo. Rappacificatosi Buonaparte coll'imperatore Paolo, pensava a confermarsi l'amicizia della Prussia. Non gli accadde di sforzarsi molto in queste faccende, perch?, pieno sempre in tutte le sue azioni d'incredibile simulazione e dissimulazione, ora con dare intenzione del non essere alieno dal riporre i Borboni, ed ora col rappresentare l'ambizione dell'Austria, ottenne facilmente che Federigo Guglielmo, perseverando nell'amicizia fermata in Basilea, consentisse alle ultime mutazioni fatte in Francia, e lui come capo del governo francese riconoscesse. L'Austria restava sola sul suo continente contro la Francia. Tentava il consolo l'animo dell'imperatore Francesco, offerendogli di tornare alle stipulazioni di Campoformio, con quel di pi?, che si negozierebbe per sicurezza delle monarch?e, e delle possessioni Austriache in Italia. Ripugnava l'Austria al rinunziar del tutto ai frutti delle ultime vittorie, e le pareva cosa enorme, conservando gli stati Veneti, che gli erano stati dati in ricompensa del Brabante, il non conservare lo stato di Milano, antica sua possessione, riconquistata principalmente per gli sforzi e pel sangue de' suoi soldati. N? si fidava punto delle promesse di Buonaparte, siccome quella, che avendo avuto con lui molti e spessi negoziati, conosceva di che sapesse. Non gli sfuggiva oltre a ci?, che il rimettere Buonaparte nello stato di Milano, importava il rendere incerta e vacillante la possessione degli stati Veneti, e che con un uomo tanto attivo, glorioso e superbo, qual era veramente il consolo, non poteva senza pericolo consentire allo spartimento con esso lui della signor?a d'Italia. In mezzo a tutti questi pensieri si accostarono le instigazioni dell'Inghilterra molto intenta a difficoltare queste pratiche, perch? vedeva nel mondo quieto la sua ruina. Offeriva denaro, e cooperazione sulle coste di Francia. Per le quali cose, e considerato altres?, che i veterani di Buonaparte erano periti o di peste in Egitto, o di ferro in Italia, si risolveva Francesco a ricusare la concordia, ed a voler pruovare, che cosa seco portasse la fortuna della guerra. Godeva Buonaparte parimente dell'offerta, e della rifiutata pace, perch? non aveva sincero desiderio di convenire coll'Austria. Cos? fermando la maggior parte del mondo in suo favore, confermava in Francia i contenti, cattivava gli scontenti, e parte con fatti, parte con isperanze conseguiva, che l'universale dei Francesi amasse il suo governo, desiderasse la sua grandezza, e volentieri si disponesse a fare quanto ei desiderasse: precipitavano i popoli a tutte le sue volont?. Tutta Francia correva alle nuove sorti, e se Buonaparte generale l'aveva fatta gloriosa in guerra, tutti confidavano, che Buonaparte consolo la farebbe e gloriosa in guerra e felice in pace. Quanto alla guerra ottimamente considerati furono i suoi consigli: mandava nuove genti, quasi tutte veterane, a Moreau confermato da lui al governo dei Renani, il quale doveva sostenere il pondo degli Austriaci in Germania. Dall'altro lato, avendo sempre pi? i pensieri accesi alla ricuperazione d'Italia, inviava in Liguria Massena, acci? facesse pruova di tener lontano il nemico dalle frontiere di Francia, e conservasse il possesso di Genova, fino a tanto che egli medesimo con un forte esercito arrivasse nelle pianure d'Italia. Congregava molti soldati veterani, e molti nuovi in Digione, donde pensava, secondoch? gli mostrasse il tempo e le occasioni, o di condursi in Germania, se Moreau abbisognasse del suo ajuto, od in Italia se il generale dei Renani combattesse felicemente. Di questo aveva grande speranza per la perizia di Moreau, e la fortezza delle genti accolte sotto a lui. Per la qual cosa il suo principale intento era di condurre le genti adunate in Digione, che col nome di esercito di riserva chiamava, nei campi d'Italia, pieni ancora della fama di tante sue vittorie. A questo modo adunque ordinava la guerra contro l'Austria, che nel corno destro estremo guidasse i repubblicani Massena, nel sinistro Moreau, nel mezzo prima Berthier, poi egli stesso. Certamente n? pruovati, ne pi? eccellenti, n? pi? famosi capitani di questi non erano mai stati al mondo, e da loro aspettavano gli uomini maravigliati fatti maravigliosi. Essendo la guerra imminente gridava con la vincitrice voce Buonaparte a' suoi soldati: < L'esercito Italico afflitto dalle disgrazie titubava; i soldati rompevano i freni dell'obbedienza: gi? la stagione si rendeva propizia. Buonaparte vincitore mandava loro dicendo: < Queste parole maravigliosamente accendevano quegli animi valorosi. Era l'esercito Italico, in cui si noveravano poco pi? di venticinque mila soldati, distribuito nelle stanze al modo che segue. La destra governata dal generale Soult, da Recco in Riviera di Levante per monte Cornua e Torriglio, e dalla Bocchetta per Campofreddo, Stella, Montelegino in riviera di Ponente sino a Cadibona e Savona si distendeva; presidiava Gavi e Genova, in cui alloggiava il generalissimo Massena. La sinistra, che obbediva al generale Suchet, custodiva la riviera di Ponente da Vado fino al Varo con presidj posti nei principali luoghi di monte San Giacomo, Settepani, Santo Stefano, Madonna della Neve, Montecalco, Montegrosso, e nei sommi gioghi dell'Alpi Marittime; fronte certamente troppo lunga per potersi guardare convenientemente con s? poche genti. Ma Genova necessitava i consigli dei Francesi, perch? importava ai disegni ulteriori del consolo, ch'ella si tenesse lungamente, e voleva Massena conservarsi un campo largo per le tratte delle vettovaglie, di cui penuriava, il che l'aveva fatto risolvere a non cedere le riviere, se non quando a ci? fosse sforzato. Da un'altra parte Melas, il quale, abbench? fosse guerriero avveduto e sperimentato, e forse appunto perch? era, non poteva persuadere a se medesimo, che le genti raccolte in Digione fossero una tempesta, che avesse a scagliarsi contro l'Italia, parendogli impossibile, che dopo tante rotte avessero potuto i repubblicani in cos? poco tempo raccorre genti, ed armi sufficienti per fare un moto di tanto momento su quei campi stessi dove e donde erano stati, pochi mesi innanzi, da lui vinti e cacciati. Non misurava egli bene la prontezza di Buonaparte, n? la docilit? dei Francesi a correre l? dove il nome suo e la sua voce gli chiamavano. Laonde ei se ne viveva troppo alla sicura su quanto potesse succedere alle spalle, e sul suo destro fianco. Ci? fu cagione, che tutto intento al cacciare il nemico dalle riviere e da Genova, egli indirizz? tutto lo sforzo contro un'ala estrema delle forze Francesi, contro passi difficili, contro rocche sterili, lasciando per tal modo aperto il campo all'avversario allo scendere nelle grasse e facili pianure della Lombard?a con tutto il pondo della mezzana parte delle sue forze. Dagli accidenti, che si racconteranno, sar? manifesto, che Melas commise un gravissimo errore, perch? fosse appunto quello che Buonaparte desiderava che facesse; il che tanto ? vero, ch'io sto per credere, che l'aver lasciato le riviere di Genova con presidio s? debole, tanto disteso la sua fronte, e continuato nella possessione della capitale della Liguria, siano stati piuttosto astuzie di Buonaparte per allettar Melas con la facilit? dell'impresa a portar la guerra in questi luoghi, che errore od impotenza. Ad ogni modo non si vede, quale grande momento potesse recare all'Austria l'impadronirsi di Genova, che non poteva, e forse non voleva, e delle riviere, che certamente n? poteva, n? voleva conservare. La speranza poi, che il comparire delle Austriache insegne sulle frontiere di Francia fosse per farvi muovere i popoli contro Buonaparte, era del tutto vana, e certamente tale parr? a chi abbia conosciuto la natura di quei tempi. Non in Francia, n? sulle rocche Liguri, ma nelle grasse pianure del Piemonte e della Lombard?a si aveva a giudicare la lite, se a discrezione di Francia o d'Austria dovesse restare esposta l'Italia. Perci? gli Austriaci, che erano padroni dei passi, gli doveano guardare gelosamente, ed anche star grossi nella pianura, non andarsi a sprolungare in un estremo punto del campo di guerra. Andando Melas dall'uno lato contro Genova, dall'altro contro Nizza, voltava le spalle a Buonaparte, che veniva da Digione, caso di guerra molto singolare, che dinotava nel generale Austriaco, o troppa confidenza in se medesimo, o troppa ignoranza dei disegni gi? pubblicamente accennati dell'avversario, o troppo falsa misura di quanto questi potesse fare in breve tempo con que' suoi Francesi tanto confidenti in lui, tanto pronti alle armi, tanto impazienti delle rotte, tanto gelosi dell'onor militare. Gli Austriaci, che molto prevalevano pel numero a Massena, erano per modo alloggiati, che tutto il territorio Ligure fasciando, da Sestri di Levante per la sommit? degli Apennini opposte a quelle, che occupavano i Francesi, si distendevano fino al colle di Tenda. Governavano a sinistra Otto, poi seguitando a destra Hohenzollern, a Novi, rimpetto a Gavi, ed alla Bocchetta; il generalissimo Melas al Cairo; Esnitz a Ceva all'incontro di Suchet, e finalmente sulla estrema punta destra Morzin fra Cuneo e le falde del colle di Tenda. Accingendosi Melas ad invadere il Genovesato, preambolava con parole dolci ad aspri fatti. < Un Azzeretto Genovese, prima ai soldi di Francia, poi a quei d'Austria, faceva similmente in questi giorni preparazione per turbare le cose di Genova. Impetuosamente procedendo, pur troppo acerbe ed immoderate parole gettava contro i Francesi in un suo manifesto, ed esortava i suoi compatriotti a combattergli, ed a vendicarsi in libert?. Le armi dovevano definire, ed alle armi si veniva, perch? non si fece pei Genovesi alcun movimento in favor della lega, secondo le speranze date dal fuoruscito Azzeretto. Aveva Melas condotto il grosso de' suoi alle stanze delle Carcare, intendimento suo essendo di spignersi avanti, cacciando gli avversarj dai sommi gioghi a Savona, per separare e disgiugnere in tale modo l'ala sinistra dei Francesi dalla mezza, e dalla destra che combatteva nella riviera di Levante. Ottenuto il quale intento, gli si spianava la strada, essendo questo l'ultimo fine de' suoi pensieri, a serrare Massena dentro Genova, ed a costringerlo alla dedizione. Ma perch? il generale di Francia non potesse far correr gente dalla riviera di Levante in ajuto di quelle che dovevano sostenere l'assalto su quella di Ponente, ordinava a Otto, che assaltasse i Francesi alloggiati sotto la condotta di Miollis, a Recco, Torriglio, Scafera, Sant'Alberto, monte Cornua, monte Becco, e monte delle Fascie. Melas voleva al tempo stesso che Hohenzollern desse dentro ai posti della Bocchetta, e ad ogni modo gli conquistasse. Spuntava appena il giorno dei sei aprile, che i Tedeschi, partendo dalle Carcare divisi in tre schiere, s'incamminavano alle ordinate fazioni. La mezzana condotta da Mitruschi, marciando per Altare e per Torre, si avvicinava a Cadibuona, posto molto fortificato dai Francesi, e chiave e momento principale di tutta quella guerra. Il generale San Giuliano colla sinistra faceva opera d'impadronirsi di Montenotte per quinci accennare contro Sassello, dove alloggiava un grosso corpo di repubblicani. Finalmente la destra, che obbediva ad Esnitz ed a Morzin, passando per le Mallare, ed avvicinandosi alle fonti della destra Bormida, aveva carico di sforzare i passi del monte San Giacomo. Questi assalti con molt'arte ordinati a questo fine tendevano, che per gli Austriaci si occupasse Savona; perch? per tal modo restava smembrato Suchet da Massena. Si combatt? dapprima da ambe le parti molto valorosamente a Torre, avendo gli Austriaci il vantaggio del numero, i Francesi del luogo. Finalmente superarono i primi quell'antiguardo, e tutto lo sforzo si ridusse sotto le trincee di Cadibuona. Quivi fu molto duro l'incontro, e la battaglia si pareggi? lungo tempo: ma finalmente fe' dare il crollo in favore delle armi imperiali la mossa di un valoroso battaglione di Reischi, il quale, assaltate di fianco le trincee, costrinse i repubblicani alla ritirata, non senza tale disordine delle ordinanze, che se non fosse stato presto Soult a sopraggiungere con ajuti freschi, sarebbero stati condotti a molta ruina. Ma non pot? nemmeno la presenza e l'opera di Soult ristorare la fortuna; perch? gli Austriaci, seguitando l'impeto della vittoria, obbligarono il nemico a ricoverarsi, girando a stento per quelle sommit? di monti, al monte Ajuto, munito ancor esso di qualche fortificazione. Volle Melas torre quel nuovo ricetto al nemico, mand? all'assalto Lattermann e Palfi con cinque battaglioni di granatieri, e col reggimento di Spleny. Gli uni e l'altro fortemente urtando, i primi da lato, il secondo da fronte, sloggiarono i Francesi da quel forte sito, e se ne impadronirono. Fecero i repubblicani una nuova testa a Montemoro: Melas, combattendogli da fronte, e girando loro alle spalle ed ai fianchi, dall'una parte verso Vado, dall'altra vesso Arbizzola, e dando perci? loro timore di essere tagliati fuori, gli costrinse a dar indietro col ritirarsi disordinatamente a Savona. Seguitarongli, pressandogli molto alle terga, i vincitori, e con essi alla mescolata entrarono nella citt?. Soult, non standosene ad indugiare, introdotta nella fortezza quanta vettovaglia pot? in quell'improvviso e pericoloso accidente, si ritirava a Varaggio, dopo di aver combattuto piuttosto da vincitore che da vinto gl'imperiali, che gi? erano scesi ad Arbizzola. Riuscirono molto micidiali quest'incontri alle due parti: i Francesi patirono di vantaggio, trovandosi in minor numero. Frattanto Esnitz aveva assaltato monte San Giacomo custodito da Suchet, che virilmente vi si difendette qualche tempo. Ma le rotte di Cadibuona e di monte Ajuto, colla occupazione di Savona, rendendo le sue condizioni molto pericolose, fe' sgombrare i suoi da quel forte sito, abbandonando anche gl'importanti posti di Settepani, Santo Stefano, e la Madonna della Neve. Fece una valida resistenza a Melogno Seras: poi fu costretto a ritirarsi, ma minaccioso e contrastante, le mosse retrograde degli altri seguitando. Entrarono gli Austriaci vittoriosi in Vado. Suchet per le terre di Finale, Gora, Bardino, la Pietra, e Loano indietreggiava fino a Borghetto. N? meno felicemente si era combattuto per gli Austriaci in riviera di Levante, ed alla Bocchetta; perch? Otto assaltando con molto impeto monte Cornua, dopo grave contrasto, il superava. Superarono medesimamente gli Austriaci monte delle Fascie, costringendo i Francesi a ritirarsi insino a Quinto. I posti di Torriglio e di Scafera vennero anche in potest? degl'imperiali, essendosi ritirati i repubblicani, che gli difendeveno, a Prato. Cos? la Sturla sotto, il Bisagno sopra separavano i due nemici, e gli Austriaci dall'eminenza del monte delle Fascie vedevano, ed erano veduti da Genova; il che era cagione di terrore agli addetti alla parte Francese, di conforto a coloro che parteggiavano per gli Austriaci e per l'antico governo. Fortissimo era l'alloggiamento dei Francesi alla Bocchetta, e molto ardua la sua espugnazione, avendo voluto assicurarsi di quella strada facile ed aperta contro il nemico, che venisse dai piani della Lombardia. Gli assaltava Hohenzollern coi due reggimenti di Kray e d'Alvinzi condotti dal generale Rousseau, e l'una dopo l'altra, non senza per? molto contrasto e sangue, si recava in mano, conquistando tutte le trincee e le artiglier?e che le guernivano. Per questa fazione acquistarono gli Austriaci il passo nella valle della Polcevera, con la facolt? di stringere pi? da vicino Genova. Rannodaronsi i Francesi a Pontedecimo. Massena, che prevedeva che non avrebbe potuto tenersi lungamente in Genova, se gl'imperiali fossero troppo vicini alla mura, perch? pi? presto gli sarebbero mancate le vettovaglie, fece pensiero di allargarsi. Siccome poi era uomo generoso e d'animo invitto, non contentandosi al volersi acquistare un campo pi? largo, bench? fosse molto inferiore pel numero dei soldati al nemico, si deliberava a far opera di rompere gli Austriaci sulle alture sopra Savona per ricongiungersi con l'ala governata da Suchet. A questo fine gli mandava dicendo, che attendesse ad assaltar il nemico, ed a ricuperare i luoghi perduti di Settepani, Melogno e San Giacomo. Perch? poi Otto non potesse mandar soccorsi a Melas, ordinava a Miollis, che si sforzasse di cacciar gli Alemanni dal monte delle Fascie, dal monte Cornua, e da altri luoghi circonvicini. Riusciva a Miollis felicemente l'impresa. Fecero gli Alemanni grave perdita in questo fatto di morti, feriti e prigionieri. Ma l'evento della guerra, ed il destino di Genova erano per giudicarsi nella riviera di Ponente. Pensava Massena a riuscire, rotti i Tedeschi sui monti, nelle vicinanze del Cairo, dove Suchet doveva venire a congiungersi con lui, se avesse potuto superar le alture, sopra le quali i nemici si erano fortificati. Marciava Massena inferiormente pi? accosto al mare per assaltar Montenotte, Soult superiormente, e a destra per impadronirsi di Sassello, quindi del monte dell'Armetta, poi di Mioglio, e del ponte Invrea. Quivi avrebbe potuto unirsi a Massena venuto da Montenotte. Cos? uniti speravano di poter marciare verso il Cairo, confidando anche di trovarvi Suchet. Soult, percosso in sul primo giungere un corpo Austriaco, che posto a Nostra Donna dell'Acqua il poteva battere sul suo fianco destro, ed avendo vinto, e cacciato sino alle sponde del torrente Piotta oltre i monti, superava ogni ostacolo, s'impadroniva di Sassello, e pi? oltre procedendo recava in poter suo la cresta importante del monte Armetta. Ripreserla i Tedeschi, racquistaronla i Francesi dopo un gagliardo scontro: in questi impetuosi e spessi affrontamenti si spargeva molto sangue. Restava superiore Soult, che in tutti questi fatti sostenne le voci di capitano forte, ed esperimentato alla guerra. N? pi? altro impedimento gli restava a superare per arrivar al compimento del suo disegno per al Cairo, se non se i posti di Mioglio, e di ponte Invrea. Vi sarebbe anche riuscito, come pare non potersi dubitare, se la fortuna si fosse scoperta tanto favorevole a Massena, quanto si era scoperta a lui. Ma le cose succedettero sinistramente nella parte condotta dal generalissimo. Si era Melas mosso, non presumendo che tanta audacia s'allignasse nei Francesi, che potessero far pensiero di attaccarlo, per andare ad assaltar Voltri col fine di congiungere le sue genti con quelle di Hohenzollern, e di serrare Genova. Trov? che i Francesi lo avevano prevenuto, che Soult gi? tanto si era inoltrato, che il suo fianco sinistro non era pi? sicuro, e che correva pericolo, che le due ali di Massena e di Suchet si unissero sulle rive della Bormida; il che gli sarebbe stato di gravissimo pregiudizio. Gli sopravvennero in questo punto le ingratissime novelle, che la squadra di San Giuliano, ferita con molta gagliard?a da Soult alla Veirera, aveva patito molto danno, e retrocedendo frettolosamente era stata costretta a ritirarsi a ponte Invrea. In questo pericoloso punto Melas, non turbata la mente, n? diminuito l'animo, si appigliava prestamente ad un partito, che solo il poteva riscuotere dal mal passo in cui era ridotto. Avvis? che l'evento della battaglia pendeva dalla schiera di Massena, e che se gli fosse venuto fatto di obbligarla a ritirarsi rotta e sconquassata, sarebbe stato Soult obbligato a tornare indietro. Riusc? la fazione, come l'aveva preveduta. Riscontratosi con un corpo assai grosso di Francesi a Stella, lo rompeva, non senza molta uccisione. Poi seguitandolo fino a Croce, e combattendo di bel nuovo in questo secondo sito lo sbaragliava. Al tempo medesimo Lattermann, viaggiando sulla spiaggia, s'impadroniva di Varaggio, che era stato l'alloggiamento principale, donde poco innanzi Massena era partito per andare alla fazione di Montenotte. Pen? molto Massena, dopo questa rotta, a condursi a sicuro luogo in Cogoletto; perch? gli fu forza, essendo la strada a riva il mare in potest? di Lattermann, camminare per luoghi erti e montuosi. Melas, conoscendo, che il non dar respiro a Massena, era un vincere Soult, mandava prestamente Lattermann ad assalir Cogoletto. I granatieri di San Giuliano ferirono con molta forza i Francesi gi? stanchi e diradati, e gi? gli facevano piegare. Gli bersagliavano al punto stesso gl'Inglesi accostatisi al lido colle loro barche armate di artiglier?e. Finalmente venne a precipitarsi contro di loro la cavalleria Austriaca. Pressati da tutte bande, non poterono resistere, e disordinati si ritirarono precipitosamente ad Arenzano, ma piuttosto per modo di posata, che d'alloggiamento stabile. Massena, non credendosi sicuro in questa terra, si tirava pi? indietro sino a Voltri. Quivi poneva il campo, non per dimorarvi, perch? Lattermann, che si avanzava vittorioso da fronte, e Hohenzollern, che romoreggiava dalla superiore Polcevera, ci? gli toglievano, ma solamente per aspettarvi Soult, che percossi invano con assalto ponte Invrea e Mioglio, e udito il caso sinistro di Massena, si ritirava a presti passi. Infatti si raccozzarono i due generali della repubblica a Voltri. Melas, riunite tutte le sue forze, gli ne cacciava, e perseguitandogli aspramente con facelle accese, perch? era sopraggiunta la notte, gli costringeva a varcare la Polcevera pel ponte di Cornigliano, a ripararsi del tutto dentro le mura di Genova, ed a desistere da qualunque assalto alla campagna. Suchet, combattuto prosperamente a Settepani, a Melogno, ed in altri luoghi circonvicini di quei monti, ma ributtato con grave uccisione da San Giacomo, fu costretto a tornarsene indietro, senza aver potuto compir l'impresa. Mentre che le cose dell'armi procedevano in questa forma a Voltri, Otto aveva rincacciato Miollis dai monti Cornua e delle Fascie, per modo che il Francese impotente al resistere aveva preso partito di ritirarsi nella valle del Bisagno, e sulla destra sponda della Sturla. Cos? Massena privato della campagna, si era ridotto a difender Genova, ed i luoghi pi? vicini. Presidiava Miollis il forte Richelieu, ed il monte del Vento, distendendosi oltre il Bisagno sino al forte dello Sprone. Verso Ponente il generale Gazan teneva la riva sinistra della Polcevera fino a Rivarolo, ed inoltrando l'ala sua destra fino al monte dei Due Fratelli, ed al forte Diamante, si congiungeva con Miollis. Massena con la grossa schiera alloggiava in citt?. Intanto le frontiere della republica sull'Alpi Marittime restavano esposte all'impeto Tedesco. Piantava il generalissimo d'Austria il suo alloggiamento in Sestri di Ponente; ma non volendo lasciar indebolire la fama dei recenti fatti, n? dare tempo a Suchet di ricevere rinforzi, si accingeva a cacciare per forza il generale di Francia da tutta la riviera di Ponente. Vinselo in una fazione improvvisa a Tor?a: recatosi in mano il colle di Tenda, il minacciava alle spalle, e sul fianco sinistro. Suchet, che era capitano esperto, avendo fatto quanto per lui si poteva colle poche forze che gli restavano, per ritardar il corso al nemico, si ritirava sulle terre dell'antica Francia oltre il Varo. Solo lasciava guernigioni sufficienti nei forti di Ventimiglia e di Montalbano, affinch? il paese di Nizza non rimanesse tutto in preda all'avversario. Il seguitava l'Allemanno, ed impossessatosi di tutta la contea di Nizza, compariva sulla sinistra del fiume. Alloggiavano gli Austriaci ascendendo dal mare sino ad Aspramonte. I Francesi, per impedire il passo al nemico, avevano fortificato assai gagliardamente con trincee e terrapieni un capo di ponte, ed alloggiato all'incontro nei siti pi? guadosi; la principale stanza loro era a San Lorenzo. Vennero quivi ad annodarsi alcuni reggimenti, sebbene deboli, di regolari; chiamavano le guardie nazionali della Provenza. Sapendo poi, che il miglior mezzo per vincere ? l'essere informato dei disegni del nemico, aveva Suchet provveduto, che un telegrafo piantato sul forte di Montalbano, lo accontasse ad ora ad ora delle mosse di Melas. Ci? fu cagione, che non cos? tosto il Tedesco faceva un apparecchio, il Francese si apprestasse a combatterlo. In questo tempo ebbersi le novelle che il forte di Ventimiglia si era arreso alle armi imperiali, arrendevasi altres? al generale San Giuliano il castello di Savona. Intanto si combatteva aspramente sulle rive del Varo. Due volte i Tedeschi assaltarono con singolare audacia il ponte, la prima volta Melas medesimo, la seconda Esnitz; due volte furono con uguale valore risospinti. Risplendettero in questi fatti la perizia di Suchet, e la prodezza del generale Rochambeau. Risplend? anche molto chiaramente l'ingegno, e la virt? del generale Campredon, che aveva fortificato il ponte. In tale modo con somma sua lode, ed utilit? grande della repubblica, difendeva Suchet il territorio di Francia, e secondava l'opera immensa concetta dal consolo. Gi? il canuto e vittorioso Melas si accorgeva, che era caduto nell'insidia tesagli dal giovane guerriero, e che, non che fosse tempo di conquistar la Provenza, gli era forza pensare di conservare, se ancor potesse, l'Italia. Erangli giunti i primi avvisi del calarsi Buonaparte dalle Pennine Alpi: ebbe sulle prime il fatto in poco concetto: err? nel credere, che il consolo fosse uomo da comparir debole sulle sommit? delle Alpi; avrebbe anzi dovuto persuadersi, che dov'era Buonaparte, l? fosse tutta la fortuna della guerra, l? covasse la ruina dell'Austria. Mandava sui primi romori una schiera in Piemonte pel colle di Tenda; ma quando s'accorse, che se la fama era stata grande, il fatto era pi? grande ancora, si risolveva a torsi velocemente da quell'estremo ed infruttuoso campo, dove combatteva, per condursi in quei luoghi, nei quali vincitore avrebbe a far con vincitore. Ordinava Melas ad Esnitz, che aveva lasciato alla guerra contro Suchet, prestamente si tirasse indietro, e venisse od a raggiungere Otto, che instava contro Genova, se Genova ancora si tenesse, o lui stesso nei piani d'Alessandria, se la capitale della Liguria gi? avesse ceduto alle armi d'Austria. Ritiravasi Esnitz, seguitavalo velocemente Suchet. Serratogli ogni passo pel Genovesato, si riparava l'Alemanno per la valle d'Ormea nelle Piemontesi contrade; il Francese spintosi avanti stringeva il castello di Savona. A questo tempo consisteva la guerra in due accidenti principalissimi: l'assedio di Genova, e la scesa di Buonaparte in Italia: l'uno era strettamente congiunto coll'altro. Otto faceva ogni sforzo per impadronirsi della piazza, bramando di poter correre alla guerra definitiva nei campi d'Alessandria. Massena, che per coraggio e per l'arte de' suoi uffiziali, e dei patriotti fuorusciti del Piemonte, che andavano e venivano a portar novelle, traversando con estremo pericolo loro gli alloggiamenti dei Tedeschi, era bene informato di quanto accadesse sulle Alpi Pennine, desiderava pi? lungamente che possibil fosse tenerla, per la ragione contraria. Nacquero da questa sua ostinazione fatti molto memorandi, e tali che raramente si leggono nei ricordi delle storie. La citt? capitale della Liguria, posta a guisa di anfiteatro, dond'ella fa magnifica mostra, sul dorso dell'Apennino tra la Polcevera e il Bisagno, ? chiusa da due procinti di mura, uno pi? largo, l'altro pi? stretto. Sono questi due procinti muniti di bastioni e di cortine consenzienti alla natura del luogo aspra, scoscesa e disuguale. Il primo incominciando dalla riva destra del Bisagno in riviera di Levante sotto alle porte Romana, e Pila, s'innalza sul dorso del monte sino al forte dello Sprone, donde volgendosi a ponente, e fasciando la citt?, dopo di essersi rizzato in un forte, che chiamano la Tanaglia, presso alla Crocetta, se ne va a terminare presso alla Lanterna, ed al molo nuovo. Il secondo partendo da levante gira accosto, e ferma le mura; ma s'interrompe a mezza strada, e non arriva sino al molo nuovo. La parte pi? difendevole ? il forte dello Sprone, ma siccome ? sottoposto a pi? alti gioghi, e da loro dominato, cos? fu d'uopo piantarvi due forti, uno sul monte dei Due Fratelli, l'altro pi? in su, a cui per la sua forma fu dato il nome di forte del Diamante. Chi ha in mano questi due forti, si pu? stimar padrone di Genova, perch? stanno sopra a tutte le altre fortificazioni. La parte pi? debole del procinto trovandosi al luogo pi? basso verso la foce del Bisagno, si pens? a munire con forti le eminenze vicine, cio? con quello di Quezzi il monte del Vento, con quello di Richelieu il monte Manego, e finalmente con quello di Santa Tecla la eminenza di questo nome. N? ci? bastando alla difesa di questa parte, si fecero trincee sui monti vicini dei Ratti, delle Fascie, e di Becco. Tali erano le difese di Genova, quando stava in propria bal?a: elle bastavano, perch? con breve assedio non si poteva prendere, i lunghi erano impossibili per le emolazioni delle potenze. Consistevano le difese vive di Massena in diecimila soldati Francesi; aveva con se Soult, Gazan, Clauzel, Miollis, Darnaud. Accostavansi a queste forze circa due mila Italiani di nazione diversa, ordinati da Massena in corpo regolare sotto la condotta di un Rossignoli Piemontese, uomo di natura molto generosa, di gran cuore, ed amantissimo della libert?. Le corroborava la guardia nazionale di Genova, fedele, parte per amore di Francia, parte per odio d'Austria, parte per paura del sacco, se qualche accidente contrario alla quiete sorgesse. Queste genti unite insieme non componevano certamente un presidio sufficiente per un s? vasto circuito. Inoltre vi si viveva in molta apprensione per le vettovaglie, massime di grani. Gl'Inglesi governati da Keit, impedivano le provvisioni di Corsica e di Marsiglia. Del governo, che era allora in Genova, poche cose dir?. Non era n? pi? libero, n? pi? servo dei precedenti, e vi era stata fatta una gran mutazione di forma, poich?, spento il direttorio in Francia, la moda empirica e servile volle che si spegnesse anche in Liguria: creossi, in luogo del direttorio, una commissione di governo. Lodossi il cambiamento, pure secondo la corrente servile. Questo con buona volont?, ma sommessa ed umile, perch? il pericolo e le lunghe disgrazie avevano rotto gli animi, secondava Massena. La forza che investiva Genova era molto varia. Il principal nervo consisteva in Tedeschi; ma con loro andavano congiunte torme numerose di villani s? Genovesi delle due riviere, che Monferrini, i quali non mossi da alcun desiderio buono, ma dall'odio, dalla vendetta, e dall'amor del sacco, erano accorsi alle voci di Azzeretto, uomo che era stato incomposto e rotto, quando militava coi Francesi, ed ora si mostrava incomposto e rotto, militando coi Tedeschi. N? piccolo momento recavano alla oppugnazione le navi Inglesi e Napolitane, non solamente con intraprendere i viveri sul mare, ma ancora coll'ajutare, fulminando le spiaggie, gli sforzi degli Austriaci, principalmente verso il Bisagno, dove i luoghi avevano contro il mare minore difesa, che verso la Polcevera. Fece Otto, che soprantendeva all'assedio, il d? ventitre aprile una grossa fazione sulla sinistra della Polcevera. Il reggimento di Nadasti, cacciati prima i Francesi da Rivarolo, s'impadroniva anche di San Pier d'Arena. Ma uscito Massena colla vigesima quinta gli rincacciava. Sapevano gli assalitori, che la parte pi? debole della piazza era verso levante. Per? si deliberarono a darvi un assalto, tentando di occupar le eminenze. Il d? trenta aprile, prima che aggiornasse, givano all'assalto per modo che Hohenzollern e Palfi si lanciavano contro il monte dei Due Fratelli, il colonnello Frimont, scendendo dal monte delle Fascie, si avventava contro il monte dei Ratti, il forte di Quezzi, ed il forte Richelieu, Rosseau si scagliava contro Santa Tecla, Azzeretto tempestava co' suoi villani intorno al Diamante; Gottesheim, passata la Sturla, s'avvicinava a San Martino d'Albaro, ed alle mura della citt?. Per consuonar con tutti questi moti a levante, Otto attaccava Rivarolo a ponente. Riuscirono a buon fine quasi tutti gli assalti dei Tedeschi: guadagnarono il monte dei Ratti, quello dei Due Fratelli, il forte Santa Tecla; gi? circondavano i forti di Richelieu e del Diamante; Gottesheim, acquistata la met? di San Martino, instava per acquistar l'altra. Era un gran pericolo pei Francesi, perch? se i Tedeschi avessero conservato i luoghi conquistati, Genova non aveva pi? rimedio. Massena si metteva al punto di rimettere la fortuna. Mandava Soult al conquisto dei Due Fratelli, Darnaud al rincalzo di Gottesheim, Miollis contro Santa Tecla e Quezzi. Vinsero tutti: gl'Italiani del Rossignoli, i primi, riconquistarono i Due Fratelli. Massena infaticabile, invitto, impaziente, animato dal prospero successo usciva nuovamente alla campagna il d? undici maggio. Il suo fine era di cacciar i Tedeschi dal monte delle Fascie, perch? da quella eminenza potevano calarsi a rovina delle difese pi? prossime alla piazza. Ordinava l'assalto per modo che Soult girasse a dorso del monte, Miollis lo attaccasse da fronte. Combatt? infelicemente il secondo, favor? la fortuna l'impresa del primo recando in sua mano, dopo una battaglia molto feroce, il conteso monte. Nol conservarono lungamente i repubblicani, perch? Hohenzollern e Frimont mandati da Otto il ricuperarono. Massena intanto raccoglieva viveri alla campagna, breve ed insufficiente ristoro. Volle quindi acquistare il monte Creto, come sito dominatore, e passo comune da levante a ponente. Mandava alla fazione due grosse squadre, la destra condotta da Soult, la sinistra da Gazan. I Tedeschi fortificati stavano a diligente guardia. Fu furioso l'assalto, valorosa la resistenza; pure andava superando la fortuna dei Francesi, quando sopravvenne un temporale grossissimo; abbujossi l'aria, straordinariamente piovve; i combattenti sforzati a ristarsi. Rasserenato il cielo, ricominciarono a menar le mani; l'accidente di? tempo a Hohenzollern ad arrivare con genti fresche: ruppe i repubblicani, e gli sforz? a tornar dentro le mura. Combattessi in questa fazione con incredibile rabbia a corpo a corpo: fu Soult, mentre animosamente confortava i suoi alla carica, ferito sconciamente nella gamba destra, e fatto prigione. Questa infelice spedizione pose fino al sortire di Massena; perch? perduti i suoi migliori soldati, era troppo indebolito per uscire alla campagna. Pure tanto ancora gli restava di forza, che gli alleati nol potessero sforzare; ma quello che l'armi degli avversarj non potevano operava la fama. Stando io per descrivere qual fosse l'aspetto di Genova in questi ultimi giorni dell'assedio, non posso non deplorare il destino di un popolo Italiano ridotto agli estremi casi, non perch? per lui si trattasse di esser libero, o servo, ma perch? si definisse a chi dei due, o d'Austria o di Francia, avesse a servire: citt? desolata per le rapine, pel sangue, per la fame, per la peste. Keit per mare non lasciava entrar viveri, Otto per terra; le provvisioni fatte scarse, le scarse dissipate. Fuvvi fame prima che mancassero i viveri: prima si scorciarono i cibi, poi si corruppero, infine si mangiarono i pi? schifi e sozzi, non solo i cavalli ed i cani, ma ancora i gatti, i sorci, i pipistrelli, i vermi, e beato chi ne aveva. Eransi gli Austriaci impadroniti dei molini di Bisagno, di Voltri e di Pegli, n? si poteva pi? macinare. Rimediossi per un tempo coi molini a mano, con quei da caff? massimamente, perch? erano presti; l'accademia consult? dei migliori: s'inventarono ingegni, ruote e molini nuovi. Con certi pi? grossi un uomo solo poteva macinare uno stajo di grano al giorno. In ogni strada, su per ogni bottega si vedevano girar molini. Nelle case private fra le adunanze famigliari, si macinava; le donne il facevano per vezzo. Infine manc? del tutto il grano: cercaronsi altri semi per supplirvi. Quei di lino, di panico, di cacao, di mandorlo furono i primi; riso ed orzo pi? non se ne trovava. Gli stritolati e strani semi, prima abbrustoliti, poi misti col miele, e cotti parvero delicatura. Rallegravansi i parenti e gli amici con chi avesse potuto sostentare un giorno di pi? se e la famiglia con lino, o panico, o tre granelli di cacao. La crusca, materia tanto ribelle alla nutrizione, si macinava ancora essa, e cotta con miele serviva di cibo, non per ispegnere, ma per ingannare la fame: le fave stimate preziosissime: felice, non chi viveva, ma chi moriva. Erano i giorni tristi per la fame e per le lamentazioni degli affamati; le notti pi? tristi ancora per la fame, e per le spaventate fantas?e. Mancati i semi, pensossi all'erbe. I romici, i lapazj, le malve, le bismalve, le cicorie selvatiche, i raperonzoli diligentemente si ricercavano, e cupidamente, come piacevolezze di gola, si mangiavano. Si vedevano lunghe file di gente, uomini di ogni condizione, donne nobili e donne plebee, visitare ogni verde sito, massime i fertili orti di Bisagno, e le amene colline d'Albaro, per cavarne quegli alimenti, cui la natura ha solamente alle ruminanti bestie destinati. Sopper? un tempo il zucchero: zuccheri rosati, zuccheri violati, zuccheri candi, ogni maniera di confetti andavano attorno, rivenditori e rivenditrici pubblicamente gli vendevano, con fiori e con serti gli eleganti loro cestellini adornando: strano spettacolo in mezzo a quei volti pallidi, scarni e moribondi. Tanto possente cosa ? l'immaginazione dell'uomo, che si compiace in abbellire eziandio quanto havvi di pi? lagrimevole e di pi? terribile; rimedio di provvidenza che non ci vuol disperati. Basta: e' furon viste donne e gentil donne nutritesi con sorci la mattina, mangiarsi tregge delicate la sera. L'aspetto della miseria estrema non ispegne la malvagit? in chi ? malvagio; del che troppo manifesto e troppo orribile esempio si ebbe in quelle ultime strette di Genova; conciossiach? uomini privi di ogni senso di umanit?, per un vile guadagno non abborrirono dal mescolar gessi in luogo di farine nei commestibili che vendevano, per modo che non pochi avventori ne restarono avvelenati, morendosene con dolori mescolati di fame, e di veleno. Durante l'assedio, ma prima della fine ultima, una libbra di riso si pagava lire sette, una di vitello quattro, una di cavallo soldi trentadue, una di farina lire dieci, o dodici, le uova lire quattordici la serqua, la crusca, soldi trenta ciascuna libbra. Poi venendo maggiore la stretta, una fava si vendeva due soldi, un pane biscotto di once tre dodici franchi, e non se ne trovava. Maggiori agevolezze dei particolari non vollero Massena, n? gli altri generali: apparecchiavano come i plebei; lodevole fatto, e molto efficace a fare star forti gli altri a tanta sventura. Poco cacio, legumi rari erano quanto nutrimento si dava a chi languiva per malattie o per ferite negli ospedali. Uomini e donne tormentate dalle ultime angoscie della fame e della disperazione, empievano l'aria dei loro gemiti e delle loro strida. Talvolta cos? gridando, e le fameliche viscere con le rabbiose mani di lacerare tentando, morti per le contrade cadevano. Nissuno gli ajutava, perch? ognuno pensava a se: nissuno anche a loro abbadava, perch? la frequenza aveva tolto orrore al fatto. Pure alcuni fra gli spasimi e stridi spaventevoli, e con scosse e contorte membra davano l'ultimo sospiro in mezzo alle popolari folle. Fanciulli abbandonati da parenti morti, o da parenti disperati imploravano con atti, con pianti, e con voci miserabili la piet? di chi passava. Nissuno gli ajutava, ed aveva loro compassione, perch? il dolore proprio aveva spento il compassionare l'altrui. Razzolavano quell'innocenti creature bramosamente nei rivoletti delle contrade, nelle fogne, negli sfoghi de' lavatoj, per vedere se qualche rimasuglio di bestia morta, o qualche avanzo di pasto di bestia vi si trovasse, e trovatone, se gli mangiavano. Spesso chi si corcava vivo la sera, era trovato morto la mattina, i fanciulli pi? frequentemente degli attempati. Accusavano i padri la tarda morte, ed alcuni con le proprie mani violentemente se la davano. Ci? facevano i cittadini, ci? facevano i soldati. Dei Francesi alcuni, anteponendo la morte alla fame, da per se stessi si ammazzavano, altri le armi a terra sdegnosamente gettavano protestando non pi? esser abili, per la perduta forza, a portarle. Altri una disperata dimora abbandonando, nel nemico campo se ne andavano, Inglesi ed Austriaci di quella piet?, e di quei cibi richiedendo, che tra Francesi e Genovesi pi? non ritrovavano. Crudo poi, ed oltre ogni dire orribile spettacolo era quello dei prigionieri di guerra Tedeschi ditenuti su certe barcacce sorte nel porto; perch? la necessit? ultima delle cose aveva operato che ad essi nutrimento di sorte alcuna gi? da alcuni giorni non si compartisse. Mangiarono le scarpe loro, mangiarono le pelli dei soldateschi zaini; gi? con occhi torvi guardavano, se non avessero a mangiarsi i loro compagni. Si venne a tale che si tolsero loro le guardie Francesi, perch? si temette, che sforzati dal famelico furore non si avventassero contro a loro, e sbranatele, non se le divorassero. Tanta era la disperazion loro, che tentarono di forar le barche per andar a fondo, amando meglio perire affogati dalle acque, che straziati dalla fame. S'aggiunse, come accadde, alla orrenda fame la mortalit? pestilenziale. Febbri pessime le genti all'altra vita con morti spessissime si portavano s? negli ospedali del pubblico, s? negli ultimi casolari dei poveri, e s? nei superbi palazzi dei ricchi. Mescolavansi sotto il medesimo tetto i generi delle morti: chi moriva arrabbiato dalla fame, chi stupido dalla febbre, chi pallido per difetto di nutritiva sostanza, chi livido per petecchiali macchie. Niuna cosa esente da dolore, niuna da paura; chi viveva, o aspettava la morte o vedeva morire i suoi. Tal era lo stato della una volta ricca ed allegra Genova, del quale il pensier peggiore era questo, che il soffrir presente non poteva riuscire ad alcun utile suo n? per la libert?, n? per l'independenza. LIBRO VIGESIMO SOMMARIO Il consolo passa con ordine mirabile il gran San Bernardo, vince a Marengo, l'Italia superiore in suo potere. Governi provvisorj del Piemonte, di Genova e di Milano. Conclave in Venezia: assunzione del cardinal Chiaramonti al pontificato, e sua rinstaurazione in Roma. Arti di Buonaparte con lui. Malta presa dagl'Inglesi. Moti di Toscana. Nuova guerra tra Austria e Francia. Battaglia del Mincio tra Bellegarde e Brune, ritirata del primo. Passaggio del monte della Spluga eseguito con mirabile coraggio ed arte da Macdonald. Nuovi successi prosperi dei Francesi. Pace con Napoli, Austria e Spagna. Tutto il mondo, salvo l'Inghilterra, in concordia con Francia. Buonaparte intanto, cambiatore di sorti, si avvicinava, l'imperio d'Austria in Italia inclinava al suo fine. Aveva il consolo con maravigliosa celerit? ed arte adunato il suo esercito di riserva in Digione, donde accennava ugualmente al Reno ed all'Italia. Ma avendo Moreau combattuto prosperamente in Germania contro Kray, gli fu fatto abilit? di condursi su quei campi, in cui tuttavia vivevano i segni e le memorie delle sue fresche vittorie; cosa, che gli era cagione di somma incitazione, perch? la gloria lo stimolava, ed era sicuro di trovarvi forti aderenze. Adunque mentre lo sconsigliato Melas se ne stava martirizzandosi contro le sterili rocche dell'estrema Liguria, si avvicinava Buonaparte alle Alpi, tutto intento alle fazioni d'Italia. Varj, molti, e potenti modi aveva di condurre a prospero fine la sua impresa: soldati prontissimi a volere qualunque cosa egli volesse, generali esperti e valorosi, artiglier?e formidabili, cavaller?a sufficiente. Aveva apprestato per pascere i soldati sull'erme solitudini delle Alpi, biscotto in grande abbondanza, e per tirar su e gi? secondo i casi le artiglier?e per quei sentieri rotti, stretti, ed ingombri di nevi e di ghiacci, certi carretti a modo dei traini sdrucciolevoli, che si usano in quei paesi per scendere dai nevosi gioghi. N? questo fu il solo trovato di Buonaparte e di Marmont, che soprantendeva alle artiglier?e, per facilitar loro il passo per luoghi fino allora alle medesime inaccessi, perch? scavarono, a guisa di truogoli, tronchi di alberi grossissimi a fine di potervele posar dentro, come in un letto proprio, e per tal modo trasportarle a dorso di muli a traverso le montagne. Denaro sufficiente aveva rammassato per le necessit? de' suoi fin oltre l'Alpi; poi si confidava nell'Italia. Per muovere le opinioni degl'Italiani aveva chiamato a se la legione Italiana capitanata da un Lecchi, la quale fuggendo il furore Tedesco per le rotte di Scherer, si era riparata in Francia, bella e buona gente. Per conoscere poi i luoghi, conduceva con se gl'Italiani, che pi? ne erano pratichi, e siccome l'intento suo era di varcare il gran San Bernardo, cos? si consigliava specialmente con un Pavetti di Romano in Canavese, giovane di natura molto generosa, e che camminava con molto affetto in queste bisogne della libert?. Rammentava quindi il consolo, essendo gran maestro dell'allettare, che tornava in Italia per fondare in Cisalpina una regolata libert?, dar la pace a Napoli ed a Toscana, ristorar la religione, proteggere i preti, rimettere sul debito seggio il pontefice di Roma. A tutti poi parlava di pace, di umanit?, di fin di mali, di un secolo che doveva incominciare a salute ed a felicit? d'uomini. Pass? per Ginevra: mostrovvisi tanto mansueto, e disposto a voler ridur le cose a forme buone e consentanee alle antiche, che gli aristocrati Ginevrini presi alle dolci parole, pigliarono animo a favellar dell'independenza, e della restituzione dell'antico stato, essendo a quel tempo Ginevra unita a Francia, e parte di lei; ma la cosa non allign?; che anzi rispose loro per forma che s'accorsero che se amava prendere, amava anche serbare. Poi torn? sulle mansuetudini, e che sarebbe contento morire, purch? la pace vedesse. Appariva s? mogio, s? pallido e s? macilento, che pareva a tutti, che stracco il corpo e l'animo per tante sue fatiche a pro di Francia e d'Europa, dovesse far tosto pace, se pure la voleva vedere. Poi lusinghevolmente procedendo, domandava di Saussure, di Bonnet, di Senebier; tacque di Rousseau. Disse, voler rimettere in onore le scienze e le lettere calpestate dalla guerra. Maravigliavansi i Ginevrini, vedendo tanto amore di dottrine pacifiche in un soldato, perch? non penetravano l'umore, n? si accorgevano, ch'egli, siccome quegli che voleva far andar il secolo a ritroso, il voleva secondare, finch? ne fosse padrone. Grande e magnifico era il disegno di Buonaparte per riconquistar l'Italia. Suo proponimento era di varcare col grosso dell'esercito il gran San Bernardo col fine di calarsi per la valle di Aosta nelle pianure Piemontesi. Ma perch? altre genti con questa parte consuonassero, e giunte al piano potessero e muovere i popoli a romore contro l'Austria, e congiungersi con lui a qualche importante fatto, aveva ordinato che il generale Thureau dalla Morienna e dall'alto Delfinato, pei passi dei monti Cenisio e Ginevra, con una squadra di tre in quattromila soldati si calasse a Susa, e pi? oltre anche, secondo le opportunit?, procedesse per dar timore al nemico intorno alla sicurezza di Torino, e per ajutare lo sforzo, ch'egli intendeva di fare sulle sponde della Dora Baltea. Al tempo medesimo comandava al generale Moncey, che pel San Gottardo scendesse a Bellinzona con un'eletta schiera di circa dodicimila soldati, col pensiero di mettere a romore i paesi, che nelle parti superiori al piano di Lombardia si comprendono fra il Ticino e l'Adda. Parendogli altres?, che fosse necessario di turbar le contrade fra il Ticino e la Sesia, imponeva al generale Bethancourt, che facesse opera di varcare il Sempione, e di precipitarsi per Domodossola sulle sponde del lago Maggiore l? dove, restringendosi, apre di nuovo l'adito alle acque correnti del Ticino. Siccome poi non ignorava quante e quali difficolt? ostassero al passo di un grosso esercito pel gran San Bernardo, commetteva ad un corpo di circa cinquemila soldati, che passasse il piccolo San Bernardo, ed andasse a raccostarsi col grosso nella valle di Aosta. Tutte le raccontate genti insieme unite sommavano circa a sessantamila combattenti. Cos? il consolo tutta la regione dell'Alpi abbracciando, che si distende dal San Gottardo al monte Ginevra, minacciava invasione al sottoposto plano del Piemonte e della Lombardia. Dall'altra parte sperava che Massena, tenendo fortemente Genova, e Suchet la riviera, avrebbero trattenuto Melas, finch? egli potesse arrivare a combatterlo sui fianchi ed alle spalle. Magnifica, come abbiamo detto, e maravigliosa opera fu questa del consolo, ma che gli poteva venire rotta con grande precipizio, se Moreau avesse combattuto infelicemente sul Reno, o se Melas pi? accorto, o pi? attivo, o meglio informato fosse stato. Lusingati con discorsi di umanit?, di pace, e di civilt? quei Ginevrini tanto ingentiliti, se ne giva il consolo alla stupenda guerra. Erano le genti gi? adunate tutte a Martigny di Vallese sul Rodano, terra posta alle falde estreme del San Bernardo. Guardavano con maraviglia, e con desiderio quelle alte cime. Diceva loro Berthier, quartiermastro: < Quando parve tempo, comandava si partisse. Voltavano i passi l? dove l'Italico cielo incominciava a comparire. Fu difficile e pericolosa la salita, ma ancor pi? difficile e pericolosa la discesa; conciossiach? le nevi tocche da aria pi? benigna incominciavano ad intenerirsi, e davano mal fermo sostegno. Oltre a ci? la china vi era pi? ripida che dalla parte settentrionale. Quindi accadeva, che era lento lo scendere, e che spesso uomini e cavalli con loro, sfuggendo loro di sotto le nevi, nelle profonde valli erano precipitati, prima sepolti che morti. Incredibili furono le fatiche ed i pericoli: poco s'avvantaggiavano. Impazienti del tardo procedere, ufficiali, soldati, il consolo stesso, scegliendo i gioghi dove la neve era pi? soda, precipitosamente si calavano sdrucciolando fino a Etrubles. Era un pericolo, e pure era una festa: tanto diletto prendevano, e tante risa facevano di quel volare, di quell'essere involti chi in neve grossa, e chi in polver?o di neve. Quelli che erano rimasti al governo delle salmer?e, arrivarono pi? tardi per gl'incontrati ostacoli. Riuniti a Etrubles, gli uni con gli altri si rallegravano dell'esser riusciti a salvamento, e guardando verso le gelate e scoscese cime, che test? passato avevano, non potevano restar capaci del come un esercito intero con tutti gl'impedimenti avesse potuto farsi strada per luoghi orribilmente disordinati da sconvolgimenti antichi, e potentemente chiusi da perpetui rigori d'inverno. Ammiravano la costanza e la mente del consolo, delle future imprese felicemente auguravano. Pareva loro, che a chi aveva superato il San Bernardo, ogni cosa avesse a riuscire facile e piana. Intanto le aure soavi d'Italia incominciavano a soffiare: le nevi si squagliavano, i torrenti s'ingrossavano, le morte rupi si ravvivavano e si rinverdivano. I veterani conquistatori riconoscevano quel dolce spirare: gridavano Italia: con discorsi espressivi ai nuovi la descrivevano: nei veterani si riaccendeva, nei nuovi si accendeva un mirabile desiderio di rivederla, e di vederla; la esperienza ricordava il vero, la immaginazione il rappresentava e l'ingrandiva; le volont? diventavano efficacissime: gi? pareva a quegli animi forti ed invaghiti, che l'Italia fosse conquistata; solo pensavano alle vittorie, non alle battaglie. La vittoria consisteva nella celerit?; perciocch? quelli alpestri luoghi erano sterili, il passo del San Bernardo difficile, n? si doveva dar tempo a Melas di arrivare al piano prima che l'esercito vi arrivasse. Importava altres? che il romore gi? sparso della ritornata dei Francesi non si rallentasse. Perci? il consolo si calava tostamente per le sponde della Dora, e con assalti di poca importanza dati all'antiguardo condotto da Lannes, mandato avanti a speculare il sito del paese, s'impadroniva facilmente della citt? d'Aosta e della terra di Chatillon. Ma un duro intoppo era per trovare nel forte di Bard posto sopra un sasso eminente, che, come chiave, serra la strada in quella stretta gola, che quivi forma, restringendosi, la valle. Aveva Pavetti proposto facile al consolo l'oppugnazione di questa rocca, essendo in lui sommo desiderio, che i Francesi passassero per la valle d'Aosta, acciocch? il suo paese fosse il primo ad essere restituito, come credeva, a libert?. Ma il fatto pruov?, che un umile sasso poteva divenire ostacolo ad una gran fortuna. Fatta la chiamata, rispose coraggiosamente il Tedesco, non voler dare la fortezza. S'avvicinarono i Francesi: entrarono facilmente nella terra di Bard, posta sotto al forte; poi andarono all'assalto; ricevuti con ferocia, abbandonarono l'impresa. Rinnovarono parecchie volte la batteria, ma sempre con poco frutto. Si sdegnavano i capi, e di un'infinita impazienza si travagliavano nel vedere, che una piccola presa di gente, poich? il presidio non sommava che a quattrocento soldati, ed un'angusta roccia interrompessero il corso a tante vittorie. Pareva loro troppo grave ed insopportabil cosa, che un piccolo Bard arrestasse coloro, cui non avevano potuto arrestare n? la poderosa Mantova, n? i ghiacci eterni dell'enorme San Bernardo. Sapevano che il loro movimento era presentito al piano, e che Melas, lasciata l'inutile impresa del Varo, con presti passi accorreva per puntellare la fortuna pericolante. N? la valle d'Aosta, sterile e povero paese, era abile a pascere tante genti, massime in quel caso non preveduto: gi? sorgevano i primi segni della penuria. Pensavano al rimedio, e nol trovavano. Batterono la rocca dalle case della terra, batterono con un cannone tirato sul campanile. Ma essendo il luogo ben difeso, e di macigno, non facevano frutto. Avvisarono, se potessero passare, continuando il forte in possessione dell'inimico. S'innalzava con irregolari gioghi a sinistra della terra di Bard il monte Albaredo, che dai superiori luoghi domina la fortezza, negl'inferiori ne ? dominata. Fecero i Francesi, essendo primo autore di questo consiglio Berthier, pensiero di trovar passo per questo monte. In men che non fa due giorni, cavarono gradi nei siti pi? duri ed erti, alzarono parapetti sugli orli dei precipitosi, gittarono ponti sui precipizi per modo che fu loro aperta la strada al passare, oltre il tiro dei cannoni della fortezza. Fu quest'opera molto maravigliosa, e degna di essere raccontata nelle storie. Gli uomini sicuramente varcavano. Restavano le artiglier?e e gl'impedimenti, che non potevano avviarsi per una strada tanto ripida e stretta. Lannes, che gi? era arrivato sino ad Ivrea, correva pericolo di essere assalito dagli Alemanni, mentre ancora era privo delle artiglier?e, armi tanto necessarie nelle battaglie dei nostri tempi. Un nuovo assalto dato al forte dal pertinace consolo, aveva avuto sinistro fine. Grave pericolo sovrastava, perch? i tempi non pativano indugio, quando Marmont si avvisava di un nuovo stratagemma. A fine d'impedir il rumore dei carretti, distendeva letame per la contrada principale di Bard, avviluppava con istrame i cerchi delle ruote, e tirando alla dilunga, velocemente e di notte tempo operava, che le artiglier?e riuscissero felicemente oltre alla terra. S'accorgeva il castellano dell'arte usata dagli avversari, e folgorava con grandissimo furore fra il buio della notte; ma la oscurit? da una parte, la celerit? dall'altra furono cagione, che i repubblicani patirono poco danno in questa straordinaria passata: con tutte le armi allestite e pronte si apprestavano ad inondare il Piemontese dominio. Poco stante Chabran divallatosi dal piccolo San Bernardo costringeva alla dedizione il comandante di Bard, salvo l'avere e le persone, e con fede di non militare sino agli scambi. Mentre a questo modo il grosso dei soldati di Francia sboccava per Ivrea, non erano state oziose le genti pi? lontane, anzi concorrendo dal canto loro all'adempimento del principale disegno, erano pervenute ai luoghi ordinati dal consolo. Era Bethancourt sceso dal Sempione, e fattosi padrone di Domodossola. Moncey venuto a Bellinzona accennava a Lugano, ed alle sponde del Ticino e dell'Adda. Thureau poi pi? prossimamente romoreggiando alla capitale del Piemonte, era comparso a Susa, e camminando pi? avanti, si era mostrato ad Avigliana, avendo fatto una buona presa di Austriaci, che si erano pruovati a serrargli il passo dall'erto ed eminente sito, sul quale stava, prima della guerra, fondata la fortezza inespugnabile della Brunetta. Tale tempesta da tutte parti sovrastava, per l'invitto pensiero del consolo, a quel tratto di paese, che si comprende fra la Dora riparia e l'Adda. Ma il principale sforzo sorgeva da Ivrea. Si proponeva il consolo di marciare a stanca celeremente per arrivar pi? presto, che per lui si potesse, a Milano. Confidavasi, n? senza ragione, di trovar quivi seguito, viveri e ricchezze; e siccome sopraggiungeva improvviso, cos? sperava di poter sorprendere e sopraffare i corpi sparsi degli Austriaci, che a tutt'altra cosa pensavano fuori che a questa. Aveva anche fondamento di credere, che gli sarebbe venuto fatto, accostandosi all'Adige, di tagliar fuori Melas dal suo sicuro ricetto del Tirolo. Molto bene considerate erano queste cose, e meglio ancora fu quella di mandar Lannes verso Chivasso, per indurre in Melas la persuasione, ch'ei fosse per far impeto contro Torino. Ordito in tal modo il disegno, lo mandava ad esecuzione. Temendo gli Autriaci di Torino, avevano accostato un antiguardo al ponte della Chiusella, a dirittura del quale avevano piantato quattro bocche da fuoco per non lasciar guadagnare questo passo al nemico. Essendo questo ponte molto stretto e lungo, dura impresa era il superarlo. Avvicinatosi Lannes, ordinava ai pi? valorosi, il passassero velocemente. Fecerne pruova; ma i cannoni Tedeschi fulminarono s? furiosamente a scaglia, e dai fianchi i feritori leggieri tempestarono con s? fatta grandine, che i Francesi tornarono indietro laceri e sanguinosi. Nuovamente cimentatisi, nuovamente perdevano. Rinnov? due altre volte la pruova Lannes, e due altre volte ne usc? colla peggio. Ostinavasi, ma non aveva rimedio. Pavetti allora, che ottimamente conosceva i luoghi, perch? la battaglia si commetteva quasi sotto alle mura di Romano, sua patria, fece accorto il generale di Francia, che a sinistra del ponte era un passo facilmente guadoso, offerendosi di condurre egli medesimo la fazione. Guad? con felice ardimento il fiume: si mostrava improvviso sulla destra del nemico; di? mano a bersagliarlo aspramente; restava mortalmente ferito dalle sue armi l'Austriaco Palfi, che vicino al ponte se ne stava animando i suoi. Questo accidente di? cagione di vincere ai Francesi, perch? gli Austriaci sforzati a dar indietro, lasciarono libero il passo del ponte. Rannodaronsi col retroguardo sull'altura di Romano, e vollero far testa; ma assaliti dai Francesi cresciuti d'animo e di forza, abbandonarono il campo. N? miglior esito ebbe uno sforzo fatto da Keim con la cavalleria, nel piano che si frappone tra Romano e i colli di Montalenghe; onde fu aperta la strada a Lannes fino a Chivasso, dove trov? conserve considerabili di vettovaglie, opportuno ristoro alle sue stanche genti. Avendo conseguito Lannes l'intento di far correre Melas a Torino, volgeva improvvisamente le insegne a mano manca, e camminava con passo accelerato a seconda della sinistra del Po alla volta di Pavia. Tutto lo sforzo dei Francesi accennava a Milano. Marciavano Murat, Boudet e Victor contro Vercelli; marciava sull'istessa fronte pi? basso Lannes, e superiormente spazzava il paese la legione Italiana di Lecchi, che da Chatillon di Aosta per la via di Grassoney camminando, era venuta a Varallo, poi ad Orta, donde aveva cacciato il principe di Loano, che vi stava a presidio con una mano di Tedeschi. Tutta questa fronte di un esercito bellicoso, spingendosi avanti, guadagnava Vercelli, dove passava la Sesia: poi contrastava invano Laudon, che era accorso, entrava in Novara, e s'apprestava a varcar il Ticino. L'ala sinistra intanto s'ingrossava per essersi Lecchi congiunto a Sesto Calende con Bethancourt disceso da Domodossola. Laudon postosi a Turbigo intendeva ad impedire il passo del fiume; ma Murat, che guidava l'antiguardo, dato di mano a certe barche lasciate a Galiate, guadagnava la sinistra sponda, e cacciava da Turbigo, non senza per? qualche difficolt?, il generale Tedesco. Al tempo medesimo la sinistra ala si rinforzava vieppi? per la giunta delle genti di Moncey, che venute sui laghi di Lugano e di Como, avevano incontrato Lecchi a Varese. Per queste mosse ottimamente eseguite, come erano state ottimamente ordinate, gi? era la capitale della Lombardia posta in potest? dei Francesi. Entrava in Milano il d? due di giugno con le pi? elette schiere Buonaparte vincitore. Io non sono per raccontare le allegrezze che vi si fecero, perch? nelle rivoluzioni il governo ultimo ? sempre stimato il peggiore, il nuovo il migliore. N? la signoria dei Tedeschi vi era stata mansueta, non perch? troppo grave fosse di sua natura, salvo i confinati alle bocche di Cattaro, ma perch? avendo voluto rimettere del tutto le cose nello stato pristino, aveva turbato infiniti interessi ed opinioni. Eransi i reggitori persuaso, che fosse impossibile che i Francesi tornassero; e per? a seconda di questa credenza governandosi, prepararono le occasioni ad altre rivoluzioni. Riordinava Buonaparte la Cisalpina repubblica. Volle, che i riti della religione Cattolica pubblicamente si celebrassero, e la religione si rispettasse, e chi il contrario facesse, severamente, anche colla pena di morie, se il caso il richiedesse, fosse punito; che fossero salve le propriet? di tutti, che i fuorusciti rientrassero, che i sequestri si levassero, che le cedole del banco di Vienna si abolissero, e valor di moneta pi? non avessero. Lasciati in Milano questi fondamenti della sua potenza, applicava di nuovo i pensieri alla guerra, che quantunque bene principiata fosse, non era ancor terminata. Melas sulla destra del Po si conservava tuttavia intiero, n? sapeva il consolo ancora, che Massena fosse stato costretto a cedere in Genova alla fortuna dei confederati. Per questo motivo, credendosi pi? sicuro di quanto egli era veramente, aveva fatto correre da' suoi il Lodigiano, il Cremonese, il Bergamasco, il Cremasco, nei quali paesi erano stati veduti con molta contentezza: poi suo intento era di passare subitamente il Po; ed in questo modo mozzare a Melas ogni strada al ritirarsi. Lannes frattanto, per una subita correria, aveva preso Pavia: trovovvi munizioni abbondanti da bocca, e quantit? considerabile di armi. Melas, che per la perdita di Milano aveva conosciuto, quanto la sua condizione fosse pericolosa, ed il nemico forte, avvisandosi che il suo scampo non poteva pi? venire se non da una battaglia risoluta, e da una vittoria piena, voleva tirar la guerra nei contorni di Alessandria, per cagione dell'appoggio che quivi aveva della cittadella, e del forte di Tortona. Venuto adunque in Alessandria, chiamava a se Esnitz arrivato dalla riviera, mandava Otto divenuto libero per la dedizione di Genova, a Piacenza, affinch? s'ingegnasse d'impedire il passo del fiume ai Francesi. Ma Murat fu pi? presto di Otto; perch?, sebbene fortemente fosse combattuto, passava, e s'impadroniva di Piacenza. Al medesimo punto Lannes varcava a Stradella; e si poneva a campo a San Cipriano. Otto ritirava i suoi a Casteggio ed a Montebello. Combattessi in questi due luoghi il d? nove giugno una battaglia asprissima, segno ed augurio di un'altra assai pi? aspra, pi? famosa, e pi? piena di futuri accidenti. Occupava Otto col grosso delle sue genti Casteggio, avendo piantato su certi colli a destra forti batterie, e collocato a sinistra pi? al piano i suoi cavalli. Una piccola squadra di ultimo soccorso stanziava a Montebello. Urtarono i Francesi condotti da Watrin con grandissimo impeto i Tedeschi, fu loro risposto con uguale costanza; vario fu per molte ore l'evento, perch? parecchie volte i repubblicani s'impadronirono dei colli eminenti a Casteggio, e parecchie volte ne furono risospinti. Finalmente gl'imperiali restarono superiori per opera massimamente della cavalleria, la quale sbucando da certe siepi, di cui si era fatta quasi una fortezza, aveva dato la carica al nemico. Watrin si ritirava rotto e sanguinoso, e sarebbe stata perduta la battaglia pei Francesi, se non fossero sopraggiunti battendo, e mandati da Lannes i generali Chambarlhac e Rivaud. Venendo quest'ultimo a parte della mischia, frenava l'impeto dei vincitori, ed incuorando i soldati di Watrin gli menava di nuovo contro il nemico insultante: pure si difendevano i Tedeschi ostinatamente. In questo fortunoso punto arrivava con una grossa squadra di buoni soldati Lannes, ed entrando impetuosamente, come sempre soleva, nella battaglia, sforzava il nemico a piegare, e cacciandolo del tutto da Casteggio, l'obbligava a ritirarsi a Montebello. Quivi Otto pi? fiero di prima rinnovava la battaglia, e faceva di nuovo le sorti dubbie; che anzi le sue gi? principiavano a prevalere, quando Buonaparte, che era sopraggiunto, ordinava a Victor, caricasse con sei battaglioni la mezzana schiera del nemico. In questo punto divenne furiosissimo l'incontro, perch? gli Austriaci difendevano il ponte con numerose artiglier?e che buttavano a scaglia, ed i Francesi con le bajonette andavano alla carica per ispuntargli. Dur? un pezzo questo combattimento di fuoco e di ferro: si vedeva che i soldati di Otto stavano alla dura molto fortemente. All'ultimo arrivarono sugli estremi del campo i generali Geney e Rivaud, e fecero inclinare la fortuna in favore di Francia, perch? per le mosse loro si trovava Otto quasi circondato da ogni banda. Si ritirava in Voghera, lasciato un presidio di circa mila soldati nella fortezza di Tortona. Mor? in questo fatto, e fu presa gran gente agli Austriaci, ma la met? meno di quanto portarono gli scritti di Berthier. Mor? anche gran gente ai Francesi; e poco meno che agli Austriaci; pochi restarono prigionieri. Questa fu la battaglia di Casteggio, che dur? dalle sei della mattina sino alle otto della sera. Superata l'asprezza dell'Alpi con arte e costanza, corsa la Lombardia con prestezza, fatto risorgere il nome di Cisalpina in Milano, sollevati a gran cose gli animi dei popoli con una impresa inusitata, restava che per una determinativa battaglia i presi augurj si adempissero, e si confermasse in Buonaparte il supremo seggio di Francia, e l'imperio assoluto d'Italia. Assai presto fu l'acquisto di questo paese fatto da Kray, Suwarow, e Melas: restava che si vedesse, se il capitano di Francia non fosse abile a riconquistarlo pi? presto ancora. Aveva Melas, come abbiam narrato, raccolti i suoi nel forte alloggiamento tra la Bormida ed il Tanaro sotto le mura d'Alessandria. Grosso di circa quarantamila soldati, fornitissimo di artiglier?e, fiorito di cavallerie sceltissime, provvisto di veterani, era molto abile a combattere di tante sorti. N? mancava in lui l'ardire, o l'arte, n? la memoria delle recenti vittorie. Sapeva altres?, di quanto momento fosse la battaglia che soprastava. Dall'altra parte il consolo combatteva su quelle Italiche terre, gi? piene di tanta sua gloria; i suoi ufficiali giovani, confidenti e valorosi con incredibile ardimento anelavano al confermare i gloriosi destini di Francia; i soldati, alcuni veterani, molti nuovi non avevano tanto uso di battaglie quanto i Tedeschi, ma l'ardore e la confidenza supplivano a quanto mancasse all'esperienza. Di numero erano inferiori agli avversari, e di cavaller?e, e di artiglier?e. Giravano adunque assai dubbie le sorti. Melas, ancorch? fosse sorpreso da tanta e s? improvvisa piena, e vinto alla Chiusella ed a Casteggio, pareva non ostante possedere maggiore probabilit? della vittoria. N? si potrebbe bastantemente lodare l'arte e la prestezza, colle quali, quando ebbe piena contezza dell'intento del consolo, aveva adunato il suo esercito nei campi d'Alessandria. Doveva il consolo presumere, perch? non ignorava che l'avversario aveva fortificato con trincee ed artiglier?e le rive della Bormida, e scelto luogo propizio al combattere, che appunto in quel campo volesse dare la battaglia. Pure avvisando, certamente contro ogni probabilit?, che Melas volesse ritirarsi verso Genova, aveva mandato il generale Desaix, test? arrivato dall'Egitto, a Rivalta sulla strada per Acqui; che anzi questi, obbediente ai comandamenti, gi? aveva spinto la schiera di Bondet pi? vicino ad Acqui. Grave errore fu questo, perciocch? ei doveva rannodarsi, non ispartirsi, trovandosi col nemico s? vicino e s? grosso; per lui stette ad un punto, che tutta la fortuna di Francia perisse nei campi di Marengo. Oltre a ci?, e per una risoluzione n? ragionevole n? sana, aveva mandato la schiera di Monnier, che con quella di Boudet componeva l'ala sinistra governata da Desaix, a Castelnuovo di Scrivia, per modo che tutta quest'ala si trovava spartita e scomposta in un momento di tanta importanza. Occupava Melas con un antiguardo il villaggio di Marengo posto oltre Bormida nella vicinanza d'Alessandria. Il consolo, fattolo assaltare da Gardanne, lo recava in suo potere, avendo i Tedeschi fatto astutamente debole resistenza. Il quale accidente avrebbe dovuto far accorto Buonaparte, che pensiero di Melas non era di girsene lontanamente a Genova, ma bens? di cimentar la fortuna vicino ad Alessandria. Tuttavia, essendo tenacissimo ne' suoi concetti, persisteva nel credere che i Tedeschi volessero incamminarsi verso la Liguria. Finalmente gli esploratori, che gli recavano le novelle da Rivalta e dalle rive del Po, il tolsero d'inganno, certificandolo che la gran lite era per deffinirsi nell'Alessandrino, non nella Liguria. Ordinava a Boudet ed a Monnier, che prestamente si ricongiungessero coll'esercito principale: pure trovandosi gi? lontani, potevano arrivare a sorte terminata. Il d? quattordici giugno alle cinque della mattina Melas varcava, fulminando, l'augurosa Bormida. Esnitz coi fanti leggieri, e col maggior nervo delle cavaller?e, muovendosi a sinistra degli imperiali, marciava contro Castel-Ceriolo per la strada che porta a Sale, perch? intento del generalissimo Austriaco era di riuscire alle spalle dei Francesi da quella parte per tagliargli fuori da Pavia e da Tortona, donde avevano corrispondenza con l'altre loro genti alloggiate sulla sponda sinistra del Po. Keim, coi soldati di pi? grave armatura muoveva l'armi contro il villaggio di Marengo, per cui passa la strada per Tortona; quest'era la schiera di mezzo. Una terza, che era la destra sotto la condotta di Haddick con un grosso di granatieri ungari guidati da Otto, doveva fare sforzo, seguitando la destra sponda della Bormida all'ins?, per riuscire a Fregarolo, e consentire verso Tortona con la mezzana. Si prevedeva, e quest'era il pensiero delle due parti, che si sarebbe conteso massimamente della possessione di Marengo, perch? quello era il sito, alla conservazion del quale indirizzavano i Francesi tutti i loro movimenti. Precedeva le camminanti squadre d'Austria un apparato formidabile di artiglier?e, che furiosamente tuonando significavano, quanto duro e quanto micidiale fosse per essere l'incontro. A tanto impeto non erano i Francesi pari in quel primo tempo della battaglia, perch? Monnier si trovava lontano a destra, Desaix a sinistra, per improvvidenza del consolo. Adunque tutte le difese loro consistevano nella schiera di Victor, che occupava assai grossa Marengo, ed in quella di Lannes, che aveva la sua sede a destra della strada di Tortona. A queste genti si aggiungevano circa novecento soldati della guardia del consolo, i cavalli condotti dal giovane Kellerman, quei di Champeaux, e finalmente quelli di cui aveva il governo Murat: i primi facevano spalla ai fanti di Victor, i secondi a quei di Lannes, ed in ultimo i terzi posti sulla punta estrema a destra di tutta la fronte, custodivano la strada che accenna a Sale. Cos? l'ordinanza dei Francesi partendo dalla Bormida, e da lei scostandosi obliquamente, e passando per Marengo, si distendeva sin verso a Castel-Ceriolo. Keim incontrava Gardanne mandato da Victor a Pietrabuona, piccolo luogo posto tra Marengo e la Bormida, e con una forza prepotente lo prostrava. Si ritiravano disordinatamente le reliquie verso Marengo. Sarebbero anche state intieramente circondate e prese se Victor non avesse tosto mandato Chambarlhac a riscattarle. Vennero avanti i Tedeschi, ed ingaggiarono con Victor una battaglia orribile: commiservi ambe le parti fatti di stupendo valore. Pieg? finalmente la fortuna in favor di coloro, che avevano pi? numerose genti, e pi? fiorite artiglier?e: entrava vittoriosamente Keim in Marengo. Non per questo si era Victor disordinato; che anzi grosso, intiero e minaccioso novellamente si schierava dietro a Marengo. Venne a congiungersi con lui sulla destra sua punta Lannes, il che fece rinfrescare la battaglia pi? feroce di prima. S'attacc? Keim con Lannes, Haddick con Victor, e chi considerer? la natura s? di quei generali, come di quei soldati, si persuader? facilmente, che mai in nissuna battaglia sia stato speso pi? valore e maggior arte, che in questa. Secondava potentemente l'urto di Lannes contro Keim Champeaux co' suoi cavalli, nella quale mischia gravemente ferito pass? di questa vita alcuni giorni dopo. Kellermann con la sua squadra ajutava anche efficacemente Victor, cariche a cariche continuamente aggiungendo e moltiplicando. Ci? non ostante Victor, per essere entrato nella battaglia il primo, e per avere Gardanne molto patito nell'affronto di Pietrabuona, stanco e diradato ced? finalmente il luogo, e si ritir?, quanto pi? pot? prestamente, e non senza qualche moto disordinato, a San Giuliano. Lannes allora nudato sul suo sinistro fianco dell'appoggio di Victor fu costretto rinculare ancor esso; il che di? cagione a Keim di guadagnare vieppi? del campo, e di credersi sicuramente in possessione della vittoria. Frattanto Esnitz coi fanti leggieri aveva occupato Castel-Ceriolo, e coi cavalli si andava allargando col pensiero di mostrarsi alle spalle delle due schiere repubblicane, che indietreggiavano; il quale disegno, se avesse avuto effetto, dava senza dubbio alcuno la vittoria agl'imperiali. Solo rimedio a tanto pericolo aveva il consolo nei novecento soldati della sua guardia, e nei cavalli di Murat, certamente non capaci a far fronte alla numerosa cavaller?a di Esnitz. Mandava adunque avanti i novecento. Qui io non so, se pi? mi debba lodare l'opera loro, o biasimare quella di Esnitz. Fatto sta che l'Alemanno, quantunque gli avesse circondati da ogni banda, non gli pot? mai rompere, o che egli non abbia fatto tutto quello che poteva, o che i novecento abbiano fatto pi? di quello che potevano. Avrebbe potuto Esnitz, se l'avesse voluto, tanto era forte pel numero delle sue truppe leggieri, sicuramente lasciarne una piccola parte contro questa consolare guardia, e gittarsi con l'altra a furia dietro le cedenti squadre di Francia. Ma neanco questo fece, ostinandosi a combattere con tutte le sue genti contro piccola parte di quelle del nemico. Questa mollezza, o errore di Esnitz, e questo valore dei consolari diedero comodit? a Monnier di arrivare da Castel Nuovo, donde chiamato dal consolo veniva a prestissimi passi. S'incontrava arrivando nelle genti di Esnitz; sebbene elleno da tutte le parti il circondassero, si aperse la strada, ajutato gagliardamente dai consolari. Il generale Cara-San-Cyr, cacciati i Tirolesi da Castel-Ceriolo, se ne faceva padrone, e tostamente con tagliate e barricate vi si affortificava. Dievvi dentro Esnitz per ricuperarlo, e non gli venne fatto: pure la fortuna il favoriva, perch? aveva in questo punto obbligato alla ritirata i consolari, e l'altra parte dei soldati di Monnier. Ma invece di seguitare alla dilunga i cedenti, si ostinava all'acquisto di Castel-Ceriolo. Cara-San-Cyr sempre il respinse, e tanto il tenne lontano, che ora Cara-San-Cyr fu salvamento de' suoi, come prima erano stati i novecento; questi diedero tempo nella pertinace resistenza loro a Monnier di arrivare, egli il diede a Desaix. Melas in questo mezzo tempo, volendo usare l'occasione favorevole, che la fortuna gli parava davanti, aveva spinto innanzi la sua ala destra, massimamente i cinque mila Ungari, affinch? andassero a disfare quella nuova testa che i Francesi mostravano di voler fare a San Giuliano. Pareva che a quest'effetto bastassero Keim vincitore, ed Esnitz mezzo vinto e mezzo vincitore. Ma per assicurarsi meglio del fatto, e per provvedere ai casi dubbj che Desaix, arrivando, avrebbe potuto arrecare, mandava di lungo spazio avanti i cinquemila, dei quali come di corpo autore di vittoria, aveva preso il governo Zach, quartiermastro di tutto il campo Austriaco. Erano le cinque della sera: gi? da pi? di dieci ore si combatteva: gli Austriaci vincitori si rallegravano; tenue speranza, e solo in Desaix rimaneva ai Francesi di risorgere. Gli Alessandrini credevano avere Austria gi? del tutto vinto, siccome quelli che spaventati in sul mattino dal rimbombo di tante armi, l'avevano poscia udito allontanarsi appoco appoco, per modo che alla fine niuno, o debole suono di battaglia perveniva agli orecchi loro. Il consolo stesso disperava, n? mostr? in questo punto della battaglia mente serena, od animo costante, o modo alcuno degno di colui che aveva concetto il mirabile disegno di questa seconda invasione d'Italia. Solamente, e gi? quasi privo di consiglio stava agognando l'arrivo di Desaix. Mentre fra molto timore e poca speranza si esitava, ecco arrivare al consolo le novelle, che la prima fronte della Deseziana schiera compariva a San Giuliano. Riprese subitamente gli spiriti: altr'uomo che egli in fortuna quasi disperata, come era quella, in cui si trovava, si sarebbe servito della forza che arrivava, solamente per appoggio alla ritirata; ma l'audace ed onnipotente consolo la volle usare per rinnovar la battaglia e per vincere. Metteva l'esercito in nuova ordinanza per modo che da Castel-Ceriolo obliquamente distendendosi sino a San Giuliano, alloggiava Cara-San-Cyr sul luogo estremo a destra, poi a sinistra verso San Giuliano procedendo Monnier, quindi Lannes, poi finalmente in quest'ultima terra a cavallo della strada per a Tortona Desaix. I cavalli di Kellerman a fronte, e fra Desaix e Lannes avevano il campo. Non avendo fatto Esnitz co' suoi fanti e cavalleggieri contro l'ala destra dei Francesi quell'opera gagliarda, e quel frutto che Melas aspettava da lui, aveva il generalissimo d'Austria mandato i cinquemila Ungari condotti da Zach contro l'ala sinistra, sperando che questo nodo di genti fortissime l'avrebbe potuta rompere, e tagliarle la strada verso Tortona. La colonna di cinquemila, in cui si conteneva tutto il destino della giornata, in se medesima ristretta, baldanzosamente marciava contro i Deseziani. Desaix, lasciatala approssimare senza trarre, quando arriv? a tiro, la fulmin? con le artiglier?e, che Marmont aveva collocato sulla fronte, poi scagliava contro di lei tutti i suoi. A quel duro rincalzo attoniti sulle prime si fermarono gli Ungari: poi ripreso nuovo animo, qual mole grossa, ed insuperabile, marciavano. N? le genti Francesi, siccome pi? leggieri, quantunque tutto all'intorno vi si affaticassero, gli potevano arrestare. Era questo un caso simile a quello di Fontenoy. Desaix, che punto non si era sbigottito a quel pericolo, postosi a fronte de' suoi, stava sopravvedendo il paese per iscoprire, se gli accidenti del terreno gli potessero offrire qualche vantaggio, quando ferito in mezzo al petto da una palla d'archibuso, si trov? in fin di morte. Disse queste ultime parole al giovane Lebrun, figliuolo generoso di generoso padre: < Dall'altra parte aveva Melas ottimamente ordinato i suoi alla battaglia, e l'ordine suo pare a noi, che in nissun modo riprendere si possa. Debbesi principal lode di valore a Keim, che ruppe, e costrinse prima Victor, poi Lannes alla ritirata: ebbe merito di valore Zach, ma biasimo d'imprudenza, e di troppa confidenza nello essersi spinto troppo avanti. Quanto ad Esnitz, e' non pare che abbia fatto tutto quello che Melas gli aveva commesso, e che si era promesso di lui. Ostinossi in dare assalti a piccoli corpi, ed a piccole terre forti e munite, il che non ? debito delle truppe armate alla leggiera, e non corse la campagna ai fianchi ed alle spalle del nemico; il che era debito delle truppe di tal sorta, e ne aveva carico da Melas. Rimaneva ancora, dopo la battaglia, al generalissimo d'Austria forza bastante per resistere lungo tempo nel forte sito, in cui si era riparato. Il quale consiglio avrebbe potuto tanto pi? facilmente mandar ad esecuzione, quanto pi? abbondando di cavaller?a aveva facolt? di correre il paese per raunar vettovaglie. Ma o che il terrore concetto per la recente rotta, o l'arti di Buonaparte, che continuamente protestava voler aderire ai patti di Campoformio, e ridurre i paesi dipendenti da lui a forma di governo pi? tollerabile e meno minacciosa pei principi, sel facessero, non si mostr? renitente, e chiese i patti. Furono gloriosi per la Francia, ingloriosi per l'Austria, stupendi per l'Europa. Sospendessersi, fino a risposta da Vienna, le offese; l'imperiale esercito se ne gisse a stanziare tra il Mincio, la Fossa Maestra ed il Po; occupasse Peschiera, Mantova, Borgoforte, e sulla destra del fiume Ferrara; medesimamente ritenesse la possessione della Toscana: il repubblicano possedesse il paese fra la Chiesa, l'Oglio e il Po: il tratto tra la Chiesa ed il Mincio fosse esente dai soldati d'ambe le parti: le fortezze di Tortona, di Alessandria, di Milano, di Torino, di Pizzighettone, d'Arona e di Piacenza si consegnassero ai repubblicani; Cuneo ancora, i castelli di Ceva e di Savona, Genova, ed il forte Urbano cedessero in loro possessione: niuno per opinioni dimostrate, o per servigi fatti agli Austriaci potesse essere riconosciuto o molestato; i Cisalpini carcerati per opinioni politiche si rimettessero in libert?: qual fosse la risposta di Vienna, le ostilit?, se non dopo avviso di dieci giorni, non si potessero ricominciare; durante la tregua, niuna delle parti potesse mandar gente in Germania. Tali furono i patti conclusi in Alessandria: una vittoria Francese distrusse i frutti di venti vittorie Tedesche, o Russe. La tregua prolungata pi? volte di comune consenso di dieci in dieci giorni, fu finalmente per nuova ed espressa convenzione accordata fino ai venticinque novembre. Buonaparte vincitore di Marengo aveva in sua mano le sorti d'Europa liete o tristi, la pace o la guerra, la civilt? o la barbarie, la libert? o la servit? dei popoli: gloria civile l'aspettava uguale alla guerriera; ma l'ultima, ed un desio fiero, ed indomabile di comandare, non lasciarono luogo alla prima, caso deplorabile per sempre. Fu ricevuto a Milano qual trionfatore. Il chiamavano uomo unico, eroe straordinario, modello impareggiabile con tutte quelle altre lodi, che l'adulazione Italiana meglio sapeva inventare; con pari adulazione rispondeva Francia. I buoni Milanesi esultavano dicendo, essere venuto a dar di nuovo la libert? al suo diletto popolo Cisalpino. Parl? a Milano molto di pace, molto di religione, molto di lettere, molto di scienze. Creovvi una consulta con potest? legislativa, una commissione di governo con potest? esclusiva. Vi arrose un ministro straordinario di Francia, chiamando a questa carica un Petiet, che era stato ministro di guerra ai tempi del direttorio. Riapriva con allegrezza di tutti i buoni l'universit? di Pavia, che il Tedesco sospettoso aveva chiusa: ordinava stipendj onorevoli ai professori; vi chiamava i pi? riputati, i pi? dotti, i pi? virtuosi uomini. Fior? vieppi? per questi ordini la universit?; pareva rinascessero i tempi di Giuseppe; ma il dominio militare in cui si viveva, avvertiva i popoli che l'et? era diversa. Intanto il suo procedere non sapeva dell'antico. Non accarezzava pi? gli amatori ardenti di rivoluzioni, anzi da se gli allontanava; chiamava a se coloro che erano in voce di aristocrati, purch? fossero di natura moderata, e ricchi, e di buona fama. Melzi, Aldini, Birago, il dottor Moscati, Scarpa, il vescovo di Pavia, Gregorio Fontana, Marescalchi, Mascheroni molto volontieri vedeva. Ai democrati pi? fervidi non piacevano questi andari, e fra di loro il chiamavano aristocrata, ed anche tiranno; ma in palese, quale Dio, sempre il predicavano. In tutti i fatti di lui, ed in tutte le parole avevano i nuovi capi di Cisalpina fede grandissima, e si promettevano l'independenza della patria. Del resto, quantunque il procedere paresse pi? civile, e le sembianze pi? oneste, il prendere, e il dilapidare era lo stesso, ricominci? la Cisalpina a travagliare del male antico. Presero i nuovi eletti il magistrato. Lod? Petiet con elaborato discorso Francia, lod? il consolo, parl? di Beccaria, favell? di libert?, d'independenza, di destini alti e magnifici: con adorno artifizio onor? l'Italia, chiamandola maestra di lettere, di filosofia, di politica, ed affermando non essere fatta per esser tributaria di un principe straniero: rispose colle medesime lodi il presidente della consulta. Add to tbrJar First Page Next Page Prev Page |
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