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Munafa ebook

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Read Ebook: The Greek theater and its drama by Flickinger Roy C Roy Caston

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Ebook has 1294 lines and 138205 words, and 26 pages

SALVATORE FARINA

CARTA BOLLATA

RACCONTO

L. OMODEI-ZORINI, EDITORE

MILANO

Propriet? Letteraria

MILANO, 1894--TIP. PAGNONI

Via Solferino, 7.

Romanzi e Novelle di SALVATORE FARINA

IN PREPARAZIONE:

CARTA BOLLATA

Assicurava che la prima lezione di colore gliel'aveva data una roggia, entro la quale l'acqua si moveva appena, dando tutti i riflessi delle nuvole splendenti pel sole di maggio. La gran maestra gli aveva detto allora per la prima volta: <>

Da quel giorno di maggio, Giusto, cacciato dall'accademia per aver detto al professore una verit? sacrosanta, non aveva avuto altri maestri fuor che la natura.

E poco dopo lo scolaro aveva avuto il battesimo di maestro dagli allievi suoi, e perfino dai colleghi ed emuli, che in arte, dove cessano le miserie delle scuole e delle regole, comincia l'anarchia intellettuale e si trova un briciolo di giustizia per dire lealmente a un compagno amato: <> ovverosia <>

Ma perch?, arrivato a questo punto luminoso, l'artista non ? felice?

Perch? spesso manca all'uomo glorioso quasi tutto; perch? la gloria ? una cosa, l'appetito ? un'altra; perch? a una certa et?, quando sono entrate nel cervello le visioni d'una vita tranquilla, accanto al focolare caldo, con una compagna buona, la quale all'occasione possa fare la modella ad un capolavoro impaziente, l'artista, che ha cercato nella natura l'anima delle cose, si sente infelicissimo non potendo dare tutto se stesso a un'altra anima cara.

I pittori italiani, a qualunque scuola appartengano, spesso per scarsit? di companatico rimangono scapoli tutta la vita; li vedete, gi? canuti, gironzare ancora intorno all'ideale perduto, senza arrischiarsi al matrimonio; alcuni si pigliano in casa una modella belloccia, affamata quanto loro, a dir poco, per fingere la felicit? della casa e della famiglia, e se hanno fortuna, da queste finzioni non nascono figliuoli, ma semplicemente bozzetti e quadri che rimangono invenduti quando i nababbi italiani non li comprano per un tozzo di pane.

Una volta, attraverso l'Atlantico o le steppe, arrivavano nel bel paese i Cresi veri, pieni di dollari o di rubli; andavano a visitare gli studi degli artisti pi? in voga e si portavano via quadri di genere e statue di marmo di Carrara; ma da poco in qua l'America non ? la terra promessa, la Russia nemmeno, le statue italiane si fanno per lo pi? di gesso, il monte di Carrara non serve quasi ad altro che ai caminetti.

Quest'? lo stato presente dell'arte in Italia; poco ? a sperare che si voglia mutare per un pezzo.

E non di meno la giovent? italiana ? sempre innamorata dell'arte, sfida la miseria, sopporta allegramente l'appetito e non si d? vita; non passa mai per il capo dei giovani artisti la tentazione di mutar carriera, di darsi alla banca per esempio, al tribunale, al commercio; mentre qualche volta accade il contrario, cio? che un agente di cambio novellino, pentito d'un'operazione a fine mese mal riuscita, voglia rosicchiare l'osso spolpato dell'arte.

Giusto, diventato maestro a forza di digiuni, a 36 anni non era scontento del proprio stato, avendo venduto quaranta volte un Cenacolo di Leonardo da Vinci, ai Russi ed agli Americani del buon tempo, e ultimamente ai Tedeschi ed agli Inglesi. Sperava di vendere altri cento Cenacoli prima di chiudere gli occhi all'eterno sonno; solo gli rimaneva il dubbio angoscioso che l'affresco di Leonardo, ridotto gi? come un'ombra, svanisse interamente prima del tempo. E allora, che sarebbe di lui e della giovane arte italiana?

Uno sgomento pi? grave lo assalse un giorno, quando l'agente delle imposte volle gravare sull'arte italiana per mettere le toppe alla finanza dello stato. Quell'uomo ingegnoso, fatto il calcolo che i Cenacoli di Giusto pagati a peso d'oro dovessero dargli molto pi? companatico che un artista di modesto appetito possa digerire, intim? subito una tassa di ricchezza mobile per una somma enorme, dugento lire annue, da pagarsi in sei rate uguali ogni bimestre, facendo risalire l'obbligo del pagamento a tre anni innanzi per mancata denunzia; insomma uno scapaccione di ottocento lirette.

Ma, Cristo in croce! Dove si vanno a prendere ottocento lire per consegnarle all'esattore? Lo sapete voi?

Giusto non ne sapeva un'acca.

And? subito a visitare la belva, sperando ingenuamente di placarla; appena gli avesse fatto intendere all'ingrosso in che acque naviga la pittura moderna nel bel paese, il mostro avrebbe chiesto scusa di aver cagionato al prossimo un'afflizione inutile, e non avrebbe fiatato in sempiterno. Cos? pensava l'ingenuo maestro.

Ma la belva non fu mansueta; dimostr? a Giusto, il quale ascoltava a bocca aperta, che solo con i Cenacoli mandati all'estero tre volte l'anno a un di presso, un maestro di quel valore....--Quale?, domand? umilmente Giusto.--Dugento lire annue di ricchezza mobile, pagabili in sei rate uguali.

Insomma, non vi fu verso di correggere il criterio di quell'uomo, il quale avendo istruzioni dall'alto, era nel preciso dovere di salassare il prossimo per contentare la finanza... e fare un passo avanti nella carriera.

--Per?...

--Per?, che cosa? dica, dica.

Per? Giusto poteva ricorrere alla commissione d'appello per l'accertamento delle imposte.

--E come? e che fa la commissione d'appello? e che ottiene il contribuente?

L'agente fu generoso d'informazioni; Giusto doveva fare il suo reclamo in carta bollata da cent. 60; la commissione d'appello fa sempre ci? che dice l'agente delle tasse; il contribuente per lo pi? non ottiene altro che fare una seconda istanza a un'altra commissione...

--La quale?...

--La quale giudica come la prima.

Giusto, fatto bene il conto, non fece istanza di sorta, e almeno risparmi? la carta bollata.

Ma bisognava pure pagare le ottocento lirette, se gli premeva fare quasi ogni giorno la cena e tre volte l'anno un cenacolo.

Allora cominci? nel cervello del pittore un lavorio angoscioso, non fatto mai prima di quel tempaccio birbone: il lavoro di avvicinarsi ai parenti abbandonati per disprezzo della loro fortuna, tastarli a uno a uno, amicarseli un poco, fin che un giorno gli avesse indeboliti tanto da poter sparare a bruciapelo la domanda d'un prestito di ottocento lire. E perch? no di mille? La fatica ? tal quale a chiedere mille o a chieder ottocento, anzi certamente mille ? una cifra pi? dignitosa, e se un po' di lire gli rimanessero in tasca non gli farebbero male per assicurare una buona modella al suo capolavoro.

Il suo capolavoro doveva essere una Cleopatra, ma tutte le modelle vedute non lo contentavano; una sola aveva le attaccature delle braccia incensurabili, e per rifare il sorriso amaro della morte e dell'amore non vi era altri che lei; solamente, essendo, ricercata da molti, bisognava pagarla tre lire l'ora. E Cleopatra aspettava.

I parenti di Giusto non erano molto prossimi; il pi? vicino era fratello uterino di suo padre buon anima; lo zio Bortolo aveva fatto il macellaio per vent'anni e s'era messo a riposare dalla macellazione per negoziare i buoi, per il macello, s'intende, che quell'uomo di pasta antica non poteva separarsi, fin che avesse un alito di vita, dalla sua passione.

Lo zio Bortolo aveva messo da parte un po' di denaro, ma ne avrebbe avuto assai pi? se non gli fosse toccata la disgrazia di generare due figliuoli dello stesso sesso, uno pi? scioperato dell'altro, i quali altro non facevano se non spolpare il genitore. In oltre lo zio Bortolo aveva un vecchio rancore col fratello, ancor che fosse morto e sepolto, e non vedeva di buon occhio la pittura per una disgrazia toccata all'insegna della sua bottega.

Quell'insegna era una testa di manzo magnifica, come Bortolo ne aveva staccato tante dalle bestie macellate; a giudizio delle cuoche del vicinato era parlante, e il macellaio gi? si rallegrava della sua pensata, quando gli era piombata la contravvenzione perch? prima di esporre la testa parlante del manzo miracoloso non aveva domandato il permesso al Municipio e pagato la relativa tassa. Bortolo si protest? innocente, dichiar? di non averlo fatto apposta, ma non vi fu verso e dovette pagare. Cos? quell'insegna, che lo aveva rallegrato un giorno, sembr? poi messa l? solo per riaprire una vecchia piaga per tutto il resto della vita.

Un altro parente prossimo di Giusto apparteneva alla Curia in qualit? di usciere; doveva odiare anche lui la pittura perch? si era empito la casa di oleografie e nella sua qualit? d'uffiziale giudiziario guardava dall'alto in basso il cugino pittore; si chiamava Ippolito.

Un altro cugino aveva bottega d'orologiaio e orefice in Ponte Vetero e si diceva che rivendendo bene gli orologi acquistati male dagli speculatori di Piazza Castello, che ? a due passi, egli si fosse messo da parte un bel gruzzolo; si chiamava Venanzio.

Un altro cugino era prete. Diceva la prima messa, che ? la meglio pagata per la difficolt? di alzarsi la mattina di bonissima ora; aveva la sottana sfritellata; i collarini sudici erano una sua specialit?.

Costui almeno era venuto qualche volta a trovarlo in studio, e si dichiarava a tutto pasto appassionato della pittura religiosa, ma se appena appena Giusto scopriva le nudit? d'una tela di genere pompeiano, o turco, o indiano, prete Barnaba lasciava Cristo a cena con gli apostoli e Cristo in croce per ammirare da vicino e da lontano un po' d'arte mondana. Molte volte aveva manifestato al cugino pittore la tentazione fatale, da cui era preso ogni tanto, di ordinargli una Madonna dei sette dolori per la cappella ove diceva messa, ma sperava di resistere, e veramente aveva resistito fino allora.

Ma non resisterebbe pi? quando Giusto gli avesse fatto intendere la propria necessit? di consegnare all'esattore una somma che non aveva; di sicuro, per non lasciarsi salassare impunemente, il prete comprerebbe la Madonna dei sette dolori per lire mille.

--Qual buon vento ti porta qui, cos? di buon'ora? domand? prete Barnaba, mentre con l'aiuto d'un chierichino infilava la pianeta per la messa.

--Non ? un vento, confess? Giusto, e sopra tutto non ? un vento buono; ? un uragano maligno.

Prete Barnaba si fece il segno della croce dinanzi al Cristo di sagristia, e non rispose verbo perch? fiutava da lontano un gran pericolo.

Prete Barnaba alz? gli occhi al Cristo per dirgli alla muta che rispondesse lui qualche cosa a quel disgraziato.

--Ma non vedi, mio buon Giusto, che tu sei in un grave errore? come! e tu non ti eri accorto che io non ho avuto mai mille lire disponibili? Credi che me ne verrei qui come una rondine a dire la prima messa se fossi un prete ricco? E con tutta la voglia che ti ho manifestata tante volte di regalare una Madonna dei sette dolori alla cappella, se non l'ho fatto prima d'oggi, che significa?

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