Use Dark Theme
bell notificationshomepageloginedit profile

Munafa ebook

Munafa ebook

Read Ebook: The Greek theater and its drama by Flickinger Roy C Roy Caston

More about this book

Font size:

Background color:

Text color:

Add to tbrJar First Page Next Page Prev Page

Ebook has 1294 lines and 138205 words, and 26 pages

--Ma non vedi, mio buon Giusto, che tu sei in un grave errore? come! e tu non ti eri accorto che io non ho avuto mai mille lire disponibili? Credi che me ne verrei qui come una rondine a dire la prima messa se fossi un prete ricco? E con tutta la voglia che ti ho manifestata tante volte di regalare una Madonna dei sette dolori alla cappella, se non l'ho fatto prima d'oggi, che significa?

Prete Barnaba aveva gi? la pianeta; si pigli? in mano il calice e inchinatosi ancora davanti al Cristo in croce mormor? sotto voce una preghiera prima di avviarsi all'altare.

--Se ascolti la mia messa, potremo parlare ancora del caso tuo, ma da me non sperare nulla; ti dir? piuttosto di andare da nostro cugino orologiaio. Quello ha un mucchio di danaro, e per un parente vorr? fare qualche cosa.

Il gran maestro non fiat?, ma almeno volle risparmiarsi la messa di suo cugino Barnaba.

Camminando di buon passo sulla via pensava al caso suo, che ora gli sembrava pi? difficile che mai.

A quale altro parente doveva rivolgersi ora?

All'orologiaio di Piazza Castello, o all'usciere Ippolito, o a zio Bortolo macellaio? L'orologiaio apriva il negozio di Ponte Vetero alle ore otto in punto, l'usciere andava in tribunale non mai prima delle nove, e fino a quell'ora il negoziante di buoi arricchito dal macello non si moverebbe dal suo letto. Erano le cinque in punto; e recarsi a casa dei suoi cugini a quell'ora mattutina a chiedere un prestito di mille lire, non parve a Giusto molto prudente; se ne and? allo studio a riflettere meglio. Con la tavolozza in pugno, buttando qua e l? qualche pennellata sopra una di quelle tele destinate a non essere mai finite, che tutti i pittori ne hanno sempre una almeno, si erano affacciate tutte le migliori idee di Giusto. Cos? fece.

Tuttavia la tela non era stata cancellata, e nei momenti scabri delle sue giornate il gran maestro vi dava volontieri qualche pennellata per rinforzare il tono d'un viso baciato dal sole, o un'ombra sotto la tavola, e per farsi venire le sue idee migliori. Quella mattina l'idea fu questa:

<>

Con poche pennellate di biacca sgorbi? un po' di fondo di tela non ancora coperto di colore, e si tir? indietro per riconoscere che quell'albore rinforzava benissimo i toni di tutto quanto aveva messo fin qui sul quadro, e bisognava proprio scegliere una sala bianca, tutta marmi di Carrara, o stucchi e oro. Pens? ancora.

<>

A che cosa? Egli interruppe il proprio pensiero, perch? gliene venne un altro.

--S?, ma a Lugano non vi ? la Chiesa delle Grazie, non vi ? il Cenacolo di Leonardo da Vinci; e come faccio io?

Fu uno sgomento di poca durata. Giusto poteva farsi una copia di Cenacolo per servire a farne poi altre; una seduta in faccia all'affresco originale accontenterebbe il compratore pi? difficile.

Giusto si avvi? con animo deliberato.

Il cugino Venanzio, giovinetto allegro la sera, quando il suo negozio era andato bene, aveva la mattina un umore intrattabile; la impazienza che si presentasse il primo affare, senza del quale come sapete non ? possibile mai fare il secondo, gli dava un'aria inquieta e scontenta, che non cresceva nulla ai vezzi della sua persona. Alle otto in punto ogni mattina, nell'atto di aprire la bottega, dimenticava le amiche della notte per non pensare ad altro che al suo commercio e agli agenti della questura, i quali potrebbero capitargli in bottega quando meno se lo sognasse per fare molte ricerche inutili.

Quando Giusto si present?, Venanzio era mille miglia lontano da lui; e per un poco, intento a ripulire la mostra, non si avvide nemmanco del suo parente.

--Venanzio, disse con voce robusta; e ripet? ancora: Venanzio.

Venanzio si volse verso di lui, tentando un sorriso che riusc? una smorfia.

Giusto non perd? un minuto di tempo per informarlo del suo bisogno; l'altro, senza smettere le proprie occupazioni, gli parl? cos?:

--Ti hanno ingannato, sai, ti hanno proprio ingannato; io non posseggo un soldo; tutta questa roba che vedi non ? pagata, e se non la vendo, la rid? a chi me l'ha data per la mostra; appena appena ne ricavo, ammazzandomi tutto il giorno al banco, tanto da mangiare e vestirmi. Tu lo sai, io sono come te, scapolo ancora; e perch? sono scapolo a trentasei anni sonati? Perch? ho paura del matrimonio e della figliolanza, e ne ho paura perch? sono povero.

Giusto non si lasci? commuovere da quelle dichiarazioni e franco franco ribatt? cos?:

--Aspettavo che mi dicessi questo, perch? so quanto guadagni e quanto sei avaro di giorno; so pure che non prendi moglie, perch? la notte all'Eden, alla Follia e in altri luoghi, trovi quante mogli fanno al caso tuo. Ma io non chiedo un prestito senza interessi, che sarebbe un'ingenuit?, sono venuto a proporti un negozio; se mi dai mille lire te le render? col dieci per cento fra un anno, e anche prima.

Venanzio non ebbe nemmeno il tempo di riflettere, come sembrava volesse fare, perch? un brutto ceffo si affacci? alla bottega senza dir parola.

--Vengo, disse l'orologiaio, e l'uomo sparve.

--Ecco, prosegu? Venanzio, continuando ad assestare gli orologi della mostra; io sono qui per contrattare: non dobbiamo forse far contratti tutta la vita? ma quando uno chiede che io gli procuri un po' di denaro che non ho, non posso incomodare la gente che mi vuol bene senza fargli vedere prima il pegno e consegnarglielo poi. Se tu hai dell'oro vecchio, dell'argento, ma meglio oro, portalo qua e io ti potr? fare l'imprestito; cos? faccio qualche volta; oro e argento; oppure orologi; ma tu non hai sicuramente una partita d'orologi da sbarazzare; tu non sei un collezionista.

Lasci? vagare sulle labbra un sorrisetto, ma lo cancell? subito.

--? vero, rispose Giusto, io non sono un collezionista d'orologi.

--Lo vedi! conchiuse Venanzio.

Aveva detto tutto; si affacci? in istrada per vedere se l'uomo di prima aspettasse, e rialzando il capo verso il suo caro parente senza nemmeno guardarlo, sembr? dirgli qualche cosa che Giusto intese a volo.

--Stammi bene, disse il pittore, e buoni affari.

Lasci? la bottega e nell'avviarsi al tribunale pass? rasente al brutto ceffo che tornava verso la bottega di Venanzio.

Sebbene fossero le nove sonate, quando Giusto arriv? al Palazzo di Giustizia, l'usciere non era ancora al telonio a preparare le citazioni e a radunare le sentenze per notificarle. Che ne era avvenuto? Niente altro che questo: Ippolito s'era ammalato d'indigestione, volgarit? indegna d'un magistrato, ma che pu? toccare anche al primo presidente. Giusto lo troverebbe a casa, a letto.

Queste notizie gli vennero date da un altro ufficiale giudiziario, il quale anzi raccomand? di dire al collega malato che quella tal citazione verrebbe fatta prima del mezzod?.

E Giusto via, a picchiare alla porta del suo terzo cugino.

Gli fu aperto dalla figliuola di Ippolito, una cuginettina perduta di vista da molti anni, un amore di bimba non avente proprio l'aria di essere tanto vicina alla curia e al tribunale; ne pareva anzi lontanissima, tanto era bianca, bionda, e gentile; e pure anche il giorno prima quell'amorino ingenuo aveva riempito molta carta bollata indegna di un suo caratterino nitido e bello, senza domandarsi conto di quanto faceva per contentare il babbo.

--Chi ?? domand? appena ebbe schiuso l'uscio, e subito soggiunse: ? lo zio Giusto.

--Non sono tuo zio, ma tuo cugino, tienlo in mente...

--Il babbo dice che sei zio, ma se tu vuoi essere mio cugino, lo preferisco quasi; vieni pure, ma il babbo sta male, perch? ieri ha lavorato troppo...

--L'altro usciere mi ha detto che ieri ha mangiato.... e gli ha fatto male.

--Non ? vero; lavora qualche volta troppo e allora non digerisce quel che mangia. Vado subito a dirgli che sei qui, aspetta un momentino...

Cos? dicendo, quella donnina accompagnava il suo parente in salotto, gli accennava di mettersi a sedere, e via di corsa.

Uscirono dal cervello del maestro tutti le amarezze della giornata incominciata per trattenere soltanto la visione gentile della cuginetta.

Un pittore che sappia il fatto suo, al primo vedere una figurina come la figliuola dell'usciere Ippolito, si sente subito afferrare dalla tentazione di arrestarne sulla tela il pi? possibile, il viso almeno, un po' di collo, le manine bianche, le braccia tonde; il resto viene poi.

Cos? Giusto.

<>

Giusto ebbe l'audacia di immaginare l'arte gentile che egli avrebbe fatto nel primo tempo dopo le nozze, quando la cugina Maria.... diciamo.... fosse al suo fianco, e l'arte grande che gli sarebbe uscita dal pennello quando Maria, diciamo ancora cos?, avesse preso proporzioni un tantino matronali, ma un tantino appena, e il suo viso di faterella allegra fosse oscurato da quell'ombruzza di melanconia di chi ha visto da lontano il dolore.

La cuginetta torn? in quel punto ad annunziare che il babbo dormiva ancora, ma nel dire mostr? apertamente il dolore della bugia; tanto apertamente, che Giusto fu l? l? per consolarla cos?:

<> ma dalla camera vicina la voce sonora, che spesso tonava nell'aula annunziando il tribunale, grid? forte: Cristina!

E Cristina, chiesta permissione, sparve una altra volta.

--Si chiama Cristina, e io me ne ero scordato; ? proprio bella tanto, ingenua e schietta; non pare la figlia di un usciere; mio cugino Ippolito ha fiutato il caso mio; per paura d'essere indebolito dall'indigestione, mi mandava a spasso con una bugia; ma pensandovi ha visto di non guadagnare gran cosa, e ora mi fa dire di venire al suo letto, che, ammalato com'?, sapr? difendersi. ? come se lo vedessi.

Add to tbrJar First Page Next Page Prev Page

Back to top Use Dark Theme