Read Ebook: Studi sulla letteratura contemporanea by Capuana Luigi
Font size: Background color: Text color: Add to tbrJar First Page Next PageEbook has 259 lines and 45550 words, and 6 pagesugghio dell'armi e la minaccia Gigante d'un sol capo e cento braccia Risorger?: s? Dio l'ha scritta in cielo;... Ma n? Guglielmo il Buono, n? il Procida, n? il Vespro avevano per? le qualit? necessarie per diventar caratteri ed avvenimenti da epopea. La natura delle loro azioni e delle loro influenze sulla vita civile e morale del popolo vietava quella vasta trasformazione che i caratteri ed i fatti devon subire gradatamente per passare dal ciclo storico nel leggendario. Perch? la conquista dei Normanni, cio? la liberazione della Sicilia dall'infame giogo saraceno, la restaurazione del culto cattolico che aveva spinto papa Nicol? II a dar l'investitura dell'isola al valoroso avventuriero, la creazione d'un ordinamento politico basato su d'un patto largo e dignitoso tra il governo ed il popolo; perch? insomma tutta questa prodigiosa unione di fatti grandissimi con grandissime idee che ai nostri giorni si ? formulata in epopea riflessa non ha lasciato nessuna traccia nelle imaginazioni popolari? Perch? nell'Isola questo silenzio della coscienza artistica cio? dello schietto riflesso dell'individualit? d'un popolo? Perch? finalmente questo affaccendarsi dell'erudizione d'oggi a creare un gran tipo ed un gran fatto, a metterlo in testa al risorgimento politico siciliano del medio evo, mentre la poesia e la tradizione popolare l'ignorano completamente? Da siffatti elementi era difficile potesse scaturire un'epica leggenda. Quella che la storia ha messo insieme dopo, accettata per ragioni che qui non occorre accennare, ? una continua falsit?, una solenne menzogna. Le vere leggende son pi? vere della stessa storia. Questa d? lo scheletro, quelle lo spirito dei fatti. Nessuno pu? idearsi, prima di vederlo alla lettura, qual immenso tesoro di fantasia abbia profuso il poeta fin nei pi? piccoli particolari dell'opera. L'azione ? semplice, senza grandi contrapposti, senza dramma , anche quando egli mostra l'intenzione d'innestarvi cogli episodi e la passione ed il dramma. Ma invece che ricchezza, che lusso, che variet? negli accessori e nel colore! Per avvalorare queste affermazioni bisognerebbe citare, e largamente, come non mi ? permesso dal breve spazio di cui posso disporre. Noter?, per chi volesse riscontrarli, i seguenti brani: l'abitazione del Tradimento e della Peste, i Demoni dentro l'Etna nel canto nono; la stupenda descrizione degl'ipogei ed acquidotti feaci di Girgenti nel canto quarto, e quella della pestilenza nel decimo. Intanto, per far conoscere il leone, ne mostrer? la punta dell'ugna in due ottave bellissime, l'una per grandiosit? e per colorito, l'altra per evidenza e per movimento. La prima dipinge un tramonto osservato dalle vicinanze di Catania: La seconda descrive l'esercito normanno che si prepara all'ultima battaglia intorno a Palermo: A lunghe file celeri procedono, Giungono a pi? del ponte, e lo sormontano; Nuove file alle prime ognor succedono Son queste in capo agli archi e quelle smontano; Ed altre ed altre a suon di corni ascendono Le prime si dileguano, tramontano Lunghesso i piani, ed oltre la Guadagna S'attelano in battaglia alla campagna. Canto XX, st. 52. E qui, senza pi? perdermi in minute osservazioni, ne far? due sole importanti. Il sovrannaturale ha larghissima parte nel poema. Oltre i demoni che vi fanno una delle solite congiure contro i cristiani e si azzuffano cogli angioli che li difendono ; oltre a S. Giorgio che arringa innanzi a Dio la causa dei Normanni e combatte in persona, come le divinit? d'Omero, contro l'esercito musulmano ; oltre alle visioni ed alle profezie d'ogni sorta che si connettono all'orditura generale del lavoro, vi ? anche un meraviglioso molto spicciolato che gli d? un'impronta individuale e bizzarra. Infatti, malgrado le inevitabili stonature d'un vasto accozzamento di personaggi e di fatti disparati, tolti in prestito ora da un ordine di venerate credenze religiose, ora da reminiscenze classiche ed archeologiche, ora da mere personificazioni di concetti astrattissimi; malgrado la trascuratezza mostrata dall'autore nel trasfondere in chi legge la certezza poetica di quel ch'egli canta , il poema si mostra sempre con un certo carattere d'originalit? che colpisce. Come mai quello che in altri sarebbe stato imitazione triviale e freddo convenzionalismo apparisce nel Vigo una maniera propria e naturale? Bisogna cercarne la ragione nel carattere eccessivamente immaginoso del popolo siciliano che prova una continua necessit? d'esprimersi con immagini vive, grandiose, abbaglianti. Il mondo reale gli riesce insufficiente. Non sa contentarsi nemmeno del mondo degli spiriti, che par gli sembri poco esteso, e ricorre allo creazioni fantastiche con le quali d? moto e corpo allo cose inanimate ed ai concetti morali. Quello che altri usa come artifizio retorico diventa per esso forma spontanea, vero stile: ed ecco perch? il Vigo possiede un accento affatto insolito negli altri poeti, il quale cela e tempera in lui quanto potrebbe dirsi schietto e non nuovo artifizio. Dio ? sdegnato delle molestie che la monarchia d? alla sua Chiesa, ed ispira al papa l'idea di presentarsi al re per indurlo a frenare gli abusi della potest? secolare. Il papa per? va via dalla corte piangendo di sconforto, ed invocando in aiuto della religione i nomi di Ges?, di Giuseppe e di Maria. Un angelo gli risponde dall'alto: Nun chianciri cchi?, no, miu Papa caru Si lu populu t? 'un ascuta a tia La sintenza avirannu ppi frivaru. Ges? Cristu cci dissi: o Matri amata! Aita di stu pettu calamita, Ti sia la t? citati pirdunata; Si' vera catanisa ppi la vita! Questo giovane poeta sembra amare l'arte sua come le anime religiose amano Dio. Io ho seguito con vivo interesse lo svolgimento del suo ingegno che si manifest? forte e severo sin ne' primi saggi pubblicati in Catania parecchi anni fa. Erano cosa giovanile, ma vi si vedeva chiaro lo sforzo di chi cercava comunicare al suo stile la scultoria semplicit? che ha reso immortali gli antichi. Le stesse vaporose incertezze che in abbondanza vi apparivano, sembravano piuttosto effetti di reminiscenze da lui sub?te a malincuore, che sincere convinzioni di mente inesperta. Il Rapisardi ha poscia tenuto dietro al suo ideale con l'ostinata fermezza d'un perfetto innamorato. Ha fatto passare il proprio verso per una serie d'evoluzioni corroboranti, mettendolo alle prese sin colle inaccessibili bellezze del gran carme di Catullo, e temperandolo con altri eserciz? non meno profittevoli sulla forma moderna delle letterature straniere. Cos? ha perfezionato il nobile istinto della grazia, dell'eleganza, dell'armonia. La natura ha contribuito ad educargli nell'animo il bisogno della bellezza serena, ed ha comunicato al suo accento alcune inflessioni di quella cara ingenuit? rimasta intatto privilegio de' poeti primitivi. I dieci canti ch'egli d? ora alla luce presentano il resultato di tali forze spontanee e di tali stud? pazienti. Quivi candide tutte e tutte luce Ne le vesti e negli occhi eran le Muse, Care, pietose Dee, che con la dolce Flessanime armonia ch'ebber dal cielo Di speranza e di amor veston la vita. Cinta di nubi e pensierosa in atto Ad esse in mezzo procedea l'austera Divina Sap?enza, a cui gli occulti Di Natura son cari, ed in occulti Rigidi pepli il divin corpo asconde. Spargon su l'orme sue pioggia di fiori Le divine sorelle, e scoton l'arpe Domatrici de l'alme; essa il tentato Labbro dischiuso, ove l'eloquio ha sede, Dolce a lor consent?a detti e sorrisi, E le mute fugando ombre d'intorno Di pi? docil belt? splendea nel viso. E qui terminer?, augurandomi di poter salutare ben presto il poeta in un lavoro che invece di parlare all'intelletto, tentasse di scuotere le fibre pi? riposte del nostro cuore; che all'ispirazione lirica accoppiasse larghissimamente la passione, l'azione drammatica e mostrasse pi? spiccato l'individuo in lotta con s? stesso e colla fortuna, e l'Umanit? meno astrattamente compresa. Di? Satana, a quel dire, in improvviso Inverecondo scroscio di cachinni... Impauriron gli angeli a l'orrendo Riso, e velar con l'ali la pupilla: Iddio guardollo e dal ciel cadde e sparve. ? inutile fare una questione di filosofia o di teologia quando si ha sotto gli occhi una semplice opera d'arte. Le anime timorate, i pensatori annacquati possono scandalizzarsi delle arditezze del poeta e invocare su lui i fulmini della censura ecclesiastica o della legge civile. Se l'opera ha quella vera vitalit? artistica contro cui si spuntano tutte le frecce d'una critica di secondi fini, la guerra mossa al poeta muterassi, tosto o tardi, in apoteosi. Un'opera d'arte ha questo di speciale: la sua natura la mette fuori d'ogni attinenza con ci? che pu? garbare o non garbare ad una certa filosofia, con ci? che pu? essere o non essere d'accordo colle credenze e coi dommi d'una religione in vigore. La sola questione possibile riguarda la sua natura stessa. Se non si pu? e non si deve chieder conto al poeta della scelta del soggetto, si pu? e si deve esaminare se il suo concetto, svincolandosi dall'astratta indeterminatezza del puro pensiero, sia riuscito ad assumere una forma vitale, una personalit? libera e indipendente. Ma il carattere ? mutato di pianta. Il Satana antico non avrebbe potuto dire: Non voglio qui contrastare al poeta la libert? di alterare, sino a renderlo irreconoscibile, un tipo ormai consacrato dalla doppia tradizione religiosa e poetica. Ma mi ? impossibile dissimulargli che il suo nuovo tipo, com'arte, mi sembra non raggiunga la perfetta personalit? del Satana antico. Satana aveva la coscienza della sua perversit?, della sua immensa superbia, dell'invidia che lo rodeva, della menzogna che adoperava com'arma favorita. Per lui Dio era un avversario onnipotente, col quale egli poteva giocar d'astuzia in virt? del libero arbitrio accordato all'uomo; ma contro il quale non osava levar il pensiero per tentare la pazza impresa d'una rivincita qualunque. Satana non sconosceva la sua inferiorit? rimpetto all'Onnipotente, ed era orgoglioso della continua e grandiosa lotta contro di lui, ove anche il perdere diventava un onore. Il Satana del Milton si ? avvicinato all'uomo, conservando sempre le proporzioni colossali dell'angelo caduto. Non ama, non pu? amare, ma la bellezza giunge a turbarlo. Eva per un istante pu? tenerlo incerto fra l'abbandonare o il non abbandonare l'impresa che doveva mutar la faccia al mondo e iniziare la storia. La personalit? poetica di Satana ? un perfetto riscontro della personalit? poetica di Dio. Impicciolendo l'una, impiccioliscesi l'altra. Nel primo canto, al venir fuori di Lucifero, il poeta ci fa credere per un istante che noi avremo da fare con una vera e insolita creazione. Lucifero arriva, all'alba, sul Caucaso: Era per l'aria un fluttuar d'ardenti Atomi mobilissimi di luce, Una confusa, fluv?al fragranza Di sconosciuti balsami e soave Musica di parole e di concenti Misteriosi. Un'irrequieta e nuova Deliz?osa volutt? di sensi Vaganti per immenso etere, come Rondini in cerca di lontani lidi, Una dolcezza non provata mai Di lagrime e di sogni... Si crede, ripeto, che avremo da fare con una creatura viva; ma poco dopo, ecco il poeta che ci dice: Dio, fatto pi? forte Dall'umano terror, me per la mano Del suo fido Michel di ceppi avvinse, E percosso e ferito indi nei cupi Baratri m'inchiod?...? Pi? il poeta rende ridicola e spregevole l'imagine del grande avversario di Lucifero, e pi? la personalit? di questo perde d'importanza e diventa ridicola anch'essa. Il concetto astratto si versa da tutte le parti, si fa strada per i mille pori dell'effimera imagine galvanizzata un istante dal poeta, e le impedisce quell'organizzarsi della vita che deve accadere in qualunque creazione poetica. Il Lucifero, il Dio del Rapisardi distruggono da loro stessi la propria personalit? colle parole e coi fatti. Dio confessa: Nulla son io, non sono Che un forte e secolare incubo, imposto Da la paura al sonnacchioso Adamo! -- L'ultimo Iddio Tu sei; con te, non pur la forma e il nome, Ma il pensiero di Dio ne l'uom si estingue. E detto questo lo trapassa col suo raggio del Vero che gli serve da spada. Questa negazione, per cos? esprimermi, della sua stessa affermazione, che forma uno dei tratti pi? strani e pi? curiosi del poema, non s'arresta alle parti secondarie; intacca anche la persona dell'eroe, lo stesso Lucifero. Due poeti, due sorti diverse. Il Fontana, giovanissimo, pubblica una sua poesia in un giornale di Milano: i lettori la trovano bella, ardita, piena di promesse, e il poeta acquista a un tratto una fama che, forse, non aveva osato sperare. Di tanto in tanto, in occasioni benissimo scelte, egli manda fuori ora questo ora quell'altro dei suoi canti, e il pubblico applaude sempre, e i giornali ne levano a cielo l'ingegno e ne fanno conoscere il nome oltre le provincie lombarde. Un bel giorno al fortunato poeta vien l'idea di riunire in un mazzo quei fiori del giardino delle Muse da lui c?lti uno alla volta. Non avevano ancora avuto il tempo di perdere i colori e il profumo; eran freschi tuttavia, bagnati ancora dalla rugiada... Ma, all'apparire del volume, i giornali si mostrano inesplicabilmente ammutoliti. Quel pubblico, che in politica e in letteratura compra le sue opinioni belle e fatte, s'adombra del silenzio e tien broncio al poeta. Qualcuno d? un'occhiata e tira via. Qualch'altro dice poche parole, e tentenna la testa. Due o tre coraggiosi salutano il poeta con lodi parche, con consigli amichevoli. Il resto ne mormora sottovoce, ne parla con aria impacciata...; insomma, tutti gli fanno scontare, a lui che non n'ha colpa, una fama precoce prodigatagli con ostentazione, quasi fossero stati i giornalisti ed il pubblico che gli avessero per grazia dato ad imprestito l'ingegno. Prima lodato certamente un po' troppo, si ? visto all'improvviso trascurato un po' troppo. Se fosse uno di quegli spiriti miti, dubbiosi, ai quali una buona parola d? lena e coraggio, e una critica amara o, peggio, il silenzio sprezzante fan rompere la penna, a quest'ora il Fontana avrebbe dato un addio alla poesia e sarebbe pronto a far tutto fuorch? una quartina foss'anche di versi bisillabi. Per fortuna non ? tale. Siamo al solito caso: nessuna misura nella lode o nel biasimo; l'opera d'arte giudicata non come semplice opera d'arte, ma a seconda di canoni che spesso non hanno nulla da vedere coll'arte; l'individuo accarezzato a traverso l'artista, l'artista biasimato col pretesto dell'individuo! Ed ecco ora una sorte opposta. Chi era questo Stecchetti? Muoio. Cantan le allodole Ferme sull'ali nel profondo ciel, E il sol di ottobre tiepido Albeggia e rompe della nebbia il vel. Caldo di vita un alito Sale fumando dall'arato pian; Muoio: cantan le allodole E le giovenche muggon da lontan. La vostra lieta porpora Roselline d'inverno io non vedr?; Le carni mie si sfasciano... Domani al mio balcon non torner?. E con questi versi dell'ultima pagina il commosso lettore chiudeva il volumetto: le lettrici avevano gli occhi pregni di lagrime. Ma, che ? che non ?, si diffonde una voce: lo Stecchetti non ha mai esistito e quindi non ? morto n? di tisi n? d'altro male: l'autore di questa bella mistificazione ? il dottor Olinto Guerrini, quello stesso della prefazione, giovane, sano e pieno di vita, con moglie e figliuoli. Ed ecco il dottor Guerrini, ieri conosciuto poco pi? in l? di Bologna come poeta di facile e mordacissima vena nel suo dialetto, eccolo celebre a un tratto da un capo all'altro d'Italia per uno di quei troppo caldi entusiasmi che fanno dubitare della lunga durata. Arrivando quasi l'ultimo a parlare di questi due poeti, tenter? di fare ci? che mi sembra non abbiano fatto gli altri. Dimenticher? i facili trionfi del Fontana e la freddezza con che ? stato accolto il suo volume; dimenticher? la leggenda che ha riverberato la poetica tristezza della sua finzione nell'animo dei lettori ed ha un pochino aiutato l'effetto dei canti del supposto Stecchetti; e tenter? di mettermi rimpetto a queste opere d'arte nella condizione di sentirne l'immediata impressione, fuor di qualunque circostanza che potrebbe mescolarvi elementi d'altro genere. Non far? paragoni: i paragoni sono inutili quando non sono nocivi. Nei due poeti c'? l'alito, il carattere della poesia moderna, ma in modo diverso. Spesso manca all'uno quello che all'altro sovrabbonda, senza che per questo l'uno valga meno o pi? dell'altro; ed hanno tutti e due una personalit? propria, spiccatissima, da non confondersi facilmente con quella dei soliti strimpellatori di lira. ? il loro passaporto di poeti. Sovente l'effetto di una poesia del Fontana ? quello d'un abbozzo in cui il pittore ha tentato di fissare con quattro colpi di pennello l'impressione d'un momento. La mano dell'artista ha segnato qua e l? dei tratti, ha messo degli appunti di colorito; ombre crude, luci crudissime, qualcosa che si vede e si intravvede, che si capisce e non si capisce; ma un che di caldo, di vivo che si agita, che ci spinge a lavorar d'immaginazione, a vincere, a correggere gli audaci trapassi, a rammorbidire i contrasti, ad armonizzare le stonature; qualcosa insomma che ci mette in un inatteso travaglio di creazione simile a quello del poeta e, compenetrando lettore e poeta, d? l'illusione di fare insieme l'opera di arte che si sta leggendo. Forse esistono Idee s? vaghe e arcane Che invan le menti umane Si attentano a scolpir! Forse pass? fra gli uomini Il sommo dei poeti, Fra la schiera dei mutoli E degli analfabeti... E, forse, il suo silenzio Fu incompresa epopea In cui sfugg? l'Idea, Della Forma il martir! Non vi arrestate per analizzare il sentimento grandiosamente poetico di questa strofa: ? proprio un assurdo. Quell'idea che sfugge il martirio della forma non pu? essere un'idea e molto meno un'epopea!... Ma l'imagine di quel mutolo, di quell'analfabeta nelle menti dei quali si schiudono i pi? grandi e ineffabili sentimenti poetici; ma quei sentimenti che si agitano maestosamente, divinamente in un'impotenza gigantesca... quest'assurdo insomma vi ha detto di pi? d'ogni concetto preciso. Nuotate in un mare senza limite: sentite che la vibrazione di quell'onda sonora si perde nell'infinito. Una delle qualit? pi? spiccate della poesia contemporanea ? lo accostarsi, alla sua maniera e nei limiti che la determinatezza della parola concede, all'indeterminatezza della musica, la vera arte moderna. Le poesie del Fontana possiedono questa indefinibile espressione musicale dei sentimenti e delle cose; ma si scorge pi? nell'insieme che non nel particolare d'ognuna d'esse. Add to tbrJar First Page Next Page |
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