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Munafa ebook

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Read Ebook: Le confessioni di fra Gualberto by Barrili Anton Giulio

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Ebook has 631 lines and 40244 words, and 13 pages

ANTON GIULIO BARRILI

LE CONFESSIONI DI FRA GUALBERTO

Seconda edizione

Stab. Fratelli Treves.

A LUIGI LUZZATTI

Onorarsi ed amarsi, anco se combattendo in campi contrarii, parve fiore di gentilezza agli antichi. Diomede e Glauco insegnino, dei quali racconta Omero, nel VI dell'Iliade, il generoso colloquio:

<<... Or nella pugna <>.

A te il mio libro e l'affetto; a me la tua grazia costante. Son Diomede in cotesto, che troppo pi? ci guadagno nel cambio.

Di Genova, il 30 Aprile del 1873.

PROLOGO.

Nessuna cosa ad uno scrittore, dopo il titolo del suo libro, ? pi? bisognevole d'una buona pr?tasi, o cominciamento che dir si voglia. Anche un adagio, prezioso stillato di scienza popolare, ammonisce che <>; il che per fermo non s'intender? esser vero, se non ammettendo che si possa tirare innanzi a furia di sciocchezze, pur di aver fatto bella comparsa in principio. Facciamoci vivi alle mosse; per tutto il rimanente della via ? lecito impoltronire, appisolarsi a cassetta ; l'essenziale sta nello svegliarsi, da bravi cocchieri, in prossimit? della posta, e, con alto schioccar di frusta e galoppar di cornipedi, mettere il borgo a romore.

Ognuno, che abbia vissuto qualche giorno in quei luoghi, ricorder? che dorsi di montagne, culmini e scoscendimenti, c'? n'ha in buon dato, ma che la pianura si conta a palmi, pur troppo; che gli armenti vi abbondano, ma solo di bestie lanose, e le messi non bastano pel logorare d'una popolazione di quarantamil'anime, che tante ne d? la provincia, spartite in ventisette comuni e sessantaquattro parrocchie; che le pi? svariate famiglie d'erbe medicinali vi fioriscono in copia, le industrie non gi?; n? magona, n? gualchiera, n? cartiera vi fa udire il grato martellar de' suoi mazzi scorrenti; che due fonti d'acque minerali, l'una salsa, l'altra sulfurea, aspettando un imprenditore di bagni, hanno tempo a seccarsi; che, per contro, i torrenti s'industriano a rifare, con largo tributo di saporitissime trote, i danni di lor piene invernali; che i tartufi amano qua e l? disvelarsi ai mortali collo svaporare delle fragranze nat?e; che, finalmente, la citt? capoluogo, se non ? bella, n? avventurosa, n? celebre, non si lagna altrimenti del fato, n? del governo centrale, e vive abbastanza contenta de' suoi quattromila abitanti, del suo sottoprefetto, del suo vescovo suffraganeo, de' suoi dodici canonici e de' suoi otto carabinieri.

Anch'essa, del resto, se guarda al passato, ci ha da insuperbire la sua parte. A chi, dei caduti in basso stato, non ? mai occorso di rinvergare le pergamene, di frugare per entro alle memorie domestiche, di almanaccare sulle tradizioni orali della famiglia, per rintracciarvi la nobilt? di sua stirpe? Il passato, assai pi? del presente, e quasi come il futuro, ? il grattacapo dei miseri umani. E Bobbio si consola spesso della sua umile condizione, ripensando ai re longobardi, al diploma d'Agilulfo e a san Colombano, il quale la reput? degna di accogliere in prima il suo glorioso monastero e quindi le sue ossa, perseguitate dagli sdegni di Brunechilde. Mettetevi a dirla colle donne! Ma allora i santi erano cos? fatti e pigliavano male gatte a pelare; donde i travagli in vita e dopo morti la gloria.

Io bene intendo che di questi archeologici fumi si ha poco costrutto oggid?. Per la gente che tira al sodo, vogliono essere istituti di educazione, di carit? e di credito; pe' buontemponi, alberghi, botteghe da caff?, teatri e casini; pe' trafficanti, manifatture e mercati. Rispetto a ci?, Bobbio ? ancora bambina; ma neanco Roma ? stata fatta in un giorno, e quando per val di Trebbia scorra la vaporiera invocata, anche alla prediletta di San Colombano deriver? qualche pagliuola del nuovo P?ttolo, che dee rifar d'oro l'Italia. Cos? la pensa il notaio Malinverni-Tidone, ottimo cittadino, a cui mi gode l'animo di poter dare pubblica testimonianza di lode, per l'amore grandissimo ch'ei porta alla sua terra natale, e di gratitudine insieme, per la nobile ospitalit? e per gli utili cenni di cui mi fu largo. Egli non si ricorder? forse pi? del suo giovine e curioso ospite del giugno 1867; a me intanto premeva di mostrargli come io non avessi dimenticato lui n? fra Gualberto, che mi ha insegnato a conoscere, e del quale il mio libro gli recher? pi? estesa notizia, che egli medesimo non avesse finora.

Che diancine era io andato a fare laggi?? Certamente il lettore s'aspetta che glielo dica; ma, quantunque io senta la necessit? d'entrargli in grazia, non mi far? a contentarlo. Sappia egli che feci un viaggio e due servizi, e che il secondo servizio fu quello di visitare il famoso convento.

Vero luogo di meditazione gli ? questo! A Bobbio il sole tramonta un'ora prima che sui borghi vicini, e cotesto a cagione dei monti che gli si stringono a' fianchi. Cos? ravvolto nella tetraggine delle sovrastanti alture, il monastero ? malinconico tuttavia a vedersi, sebbene l'architettura sua faccia fede di una ristaurazione leggiadramente condotta nello stile del risorgimento; ora argomentate quanto pi? melanconico e' non avesse ad apparire in sui primordi del medio-evo, allorquando l'austero monaco irlandese venne ad alzarne le mura e a mettervi stanza. Ci? fu intorno al 596, dopo che egli, sceso in Italia a combattervi l'arianesimo longobardo, otteneva il favore della bella e pietosa vedova di Autari, la quale aveva dato poco dianzi la mano e lo scettro al duca di Torino, Agilulfo. Frutto di tal favore, un diploma del re concedeva a Colombano, monaco di Benchor, il luogo di Bobbio, con quattro miglia di terre all'intorno, per fondarvi un monastero del suo ordine, siccome aveva gi? fatto egli in tre luoghi di Francia, e Gallo, il suo ardente compagno, era per fare in un angolo della Svizzera.

N? a tali prove si rattenne l'affetto di Teodolinda pel monaco illustre. Imperocch?, essendo egli nel 613 ritornato dalle sue fortunose peregrinazioni di Francia e di Svizzera, a vivere nella pace del chiostro i due anni che furono gli ultimi di sua vita, la regina and? a visitarlo, con orrevole compagnia, nella sua tranquilla dimora. ? fama viva tra i terrazzani che in questa occasione la regal donna salisse fino all'estrema vetta del P?nice, donde si scopre la pi? vasta distesa di monti e pianure che sguardo umano possa abbracciare. Lass?, quando l'aere sia puro e limpido l'orizzonte, vi si para dinanzi la mirabil veduta di tutta la catena delle nevose Alpi, girata ad arco dal mar Tirreno fino alle giogaie del lontano Tirolo. Pi? in basso, a manca, tondeggiano i colli del Monferrato, da Valenza a Superga; pi? sotto ancora si stendono i campi di Novi, di Marengo e della Trebbia, e, seguitando a destra, la vasta pianura lombarda, stagliata qua e l? dai tributari del Po, del gran padre Bodinco, che scorre, immensa striscia d'argento, a' suoi piedi, e tratto tratto si nasconde allo sguardo e vedesi ricomparire in uno sfumato orizzonte, che si confonde col cielo, l? verso l'Adriatico. La gran tela ? stupendamente istoriata; Voghera, Alessandria, Novi, Piacenza, biancheggiano di qua dalla lunga e tortuosa zona fluviale, a cui concorrono, pi? umili tributari discesi dalle balze apennine, il Tidone, la Staffora, la Scrivia, la Nure, il Taro e la Trebbia; di l?, Milano, Pavia, Cremona, e Bergamo, con ampio corteggio di citt? minori e borgate, poco in vista pi? grandi d'un chicco di frumento, ma nitide e di contorni ricise. Volgetevi indietro; il Lesima, il Penna, l'Alfeo, con gli altri gioghi dell'Apennino, vi contendono il mare lontano; ma, per mezzo alla fosca merlatura delle loro ripide coste, si dipingono in tinte pi? chiare i balzi di Rapallo, di Chiavari e di Spezia, mentre in fondo alle lor gole si discernono, pe' soavi lumi interfusi, le fertili valli di Nure, di Enza e di Taro.

La bella longobarda, che la fantasia del poeta ama raffigurarsi alta della persona e flessibile, come donna che ? nata al comando, ma pu? inchinarsi a sollevar gl'infelici, mirabile nel volto per nobilt? di severi contorni, rammorbiditi da un riso di dolcezza ineffabile e dall'aureola dei biondi capegli cresciuti alle nebbie del settentrione, ma indorati ai raggi del sole d'Italia, pot? da quel sommo vertice contemplare il vasto suo regno, mentre in lei l'ossequio immaginoso dei riguardanti forse cred? di vedere l'angelo della pace, librato in alto tra vincitori e vinti. E veramente fu cosa di cielo quella soave anima di donna, che, rattemprando la ingenita ferocia de' suoi, valse a fondare, pi? assai che non avessero fatto le armi, un regno migliore a gran pezza delle sue origini, dalla cui caduta ebbero principio le millenarie sciagure della penisola.

Che non possono le donne! Il detto ? antico, e pi? vero eziandio che non pensassero gli antichi, nello incenso de' quali, cos? per le donne come per ogni altra maniera di numi, si frammetteva spesso un granellino d'ironia. La donna, anco se muta parvenza adorata, n? d'altro curante che di piacere, ? inspiratrice di grandi opere all'uomo. Il bello esalta, il buono consola, il vero ricrea; ma la donna, se il voglia, ci ? tutte queste cose ad un tempo. Per lei l'uomo, nella medesima guisa che l'insetto veste la sua livrea d'amore, screziata di pi? vivi colori, per lei riluce d'inusato splendore, nella lieta stagione delle speranze e dei rapimenti. Tal fiata nel suo incendio si consuma e si spegne; ma che importa? La luce fu bella; l'uomo sfavill?, lieto o triste, soave o terribile, nobilissimo sempre. Ma come ? possente al bene, se buona, cos? possente al male ? la donna, se d'animo reo. Pu? farvene fede quel venerando, che dorme da mille e duecento anni il gran sonno nel sotterraneo del suo monastero di Bobbio. La sua vita ? colma di amarezze e di conforti, di tenebre e di luce, trabalzata come fu da donna a donna, da regina a regina ; da Brunechilde, che lui, importuno censore di rotti costumi, incalza come fiera d'asilo in asilo, a Teodolinda che lo accoglie ossequente; da Brunechilde dissoluta, tiranna, micidiale nel suo sangue, che manda sossopra un fiorente reame, a Teodolinda che commove i longobardi feroci col raggio della sua casta bellezza e della religione fa stromento efficacissimo di civilt?, anco preparando inconscia le vie alla prepotenza dei pontefici. L'anima sua ? ignara del male; la santa figura di Gregorio Magno non le lascia scorgere in lontananza Stefano II, invocatore malaugurato della gente d'Heristal, sanguinosi fantasmi che funestarono la lunga notte d'Italia.

Vedete mo' dove siamo venuti bel bello a far capo! Ma cos? avviene in casa nostra, dove ogni zolla ha le sue lettere di nobilt? da mostrarci. In processo di tempo la storia e la leggenda non daranno pi? di cosiffatte molestie ai galantuomini. L'orario delle ferrovie non concede che pochi minuti di sosta; si viaggia colle cortine gelosamente tirate in gi?, col bavaro del pastrano tirato anche pi? gelosamente in su e accorciati sul sedile come in una cuccia di bordo. E quando la vaporiera, di cui v'ho gi? detto, passi anche da Bobbio, il viaggiatore non penser? pi? che tanto a coteste anticaglie. Per ora, pazienza; sorbitevi questo po' di cronaca che incomincia dagli scorridori di Annibale e viene gi? gi? fino agli ultimi benedettini, mandati a rotoli dagli straripamenti della grande rivoluzione francese.

Ho fede che i lettori non mi torranno in iscambio, per questo perdermi ch'io fo attorno ad un convento di frati. Vivo il presente e anelo il futuro, ma rispetto eziandio il passato, e in questa pacificazione storica, che ? un'altra maniera di giubileo, si racqueta il mio spirito, volendo giustizia, anzi misericordia per tutti.

Poveri frati di Bobbio! Io m'intenerivo per essi, io, figlio, nipote, o qual pi? vi talenti chiamarmi, della rivoluzione che li spazz? via. Ma diciamo tutto sinceramente; pi? che della sorte dei monaci, mi dolevo dello sperdimento di una biblioteca, che il notaio Malinverni-Tidone mi diceva ricca di volumi a parecchie migliaia e sopratutto copiosa di manoscritti antichi e rarissimi. Erano i frutti di lunghe indagini e di assidue fatiche; erano l'armi pazientemente raccolte da que' fabbri della critica, e con inconscia diligenza ordinate alle pi? felici battaglie del pensiero odierno. E tanta ricchezza d'arsenale and? in breve ora dispersa; tanta copia di utili stromenti andarono divisi a confondersi tra mille e mille altri trofei fuggevolmente ammirati nei templi maggiori della scienza. La miglior parte furono condotti alla biblioteca Ambrosiana di Milano; molti alla Vaticana di Roma; il rimanente all'archivio e all'universit? di Torino.

-- Con tutto ci?, -- narrava il mio ospite, che lo aveva da suo nonno, dottissimo uomo e fratello ad uno degli ultimi monaci di San Colombano -- nel 1795 rimanevano ancora alla celebre biblioteca forse ottocento volumi, settantacinque casse di atti e diplomi e un centinaio di manoscritti preziosi. Ma anche questi, dopo essere stati qualche anno dimenticati, pigliarono la via di Torino. E laggi?, a che servono? a chi giovano? I libri, la pi? parte faranno a doppio con altri; i manoscritti e i diplomi, quasi tutti attenenti alla cronaca paesana, giaceranno negletti in qualche cassa insidiata dai topi, e con poca utilit? esaminati, come quelli che pi? non fanno un corpo solo, con rispondenza di parti e facilit? di raffronti. --

Io, sebbene non ne avessi gran fede, m'ingegnavo a dimostrargli il maggior profitto che si pu? cavare nelle grandi citt? da una ricca suppellettile archeologica.

-- Ah, non lo credete! -- mi diceva egli di rimando. -- Egli ? soltanto ne' centri minori che si pu? metter l'animo in certe minutezze, le quali sono, ora inizio, ora complemento, ad una pi? vasta intrapresa. Chi ha a fare una storia in cui tante cose di minor conto debbano entrare, ci metta la fatica del viaggio; la certezza di trovare in un angolo di terra tutto ci? che si ragguarda alle memorie d'una provincia, val meglio della facilit? di aver notizie pronte, ma insufficienti. Io, per me, credo che la piccola citt? sia il luogo in cui debbono rimanere tutte le memorie sue, se pure si vuole che tornino ad utile di qualcheduno. L'accentramento scientifico non ? dovizia, ma ingombro di materiali.

-- Eh, capisco; -- soggiunsi io, in atto di chi volentieri si persuade. -- Ma nella biblioteca dei frati c'era egli poi roba preziosa davvero?

Volevo rispondere che non occorrevano manoscritti preziosi per trattenermi a Bobbio; ma non ebbi tempo, n? modo, imperocch?, afferrata la maglia d'una lucerna d'argento a quattro beccucci, che era anch'essa un bel saggio dell'arte di due secoli indietro, il notaio Malinverni si alz? da sedere e mi condusse nella sua biblioteca.

Dirvi che rimasi sbalordito, non posso. I libri non fanno gi? l'effetto delle agate, delle calcedonie, o d'altra maniera di pietre preziose. Andate a Roma, e della Vaticana, famosa tra tutte le altre biblioteche del mondo, non si additer? alla vostra ammirazione che una fuga di stanze. In tal modo si misura l'importanza dei libri. Ma chi voglia andare un po' oltre l'apparenza, si faccia a considerare la ricchezza di quei centomila volumi stampati; squaderni il catalogo di quei ventiquattromila manoscritti; veda, tra gli altri, quell'esemplare di Virgilio che ci conserv? raffigurata ne' suoi disegni tanta parte degli usi e delle foggie romane; e per tal guisa, condotto mille e ottocento anni a ritroso sul classico mare dell'et?, tratto a vivere d'un'altra vita, coetaneo d'una gente morta, testimone d'una civilt? su cui si addensarono parecchi strati di barbarie e pi? altri di vergogna, sentir? allora il pregio, vedr? allora la splendidezza di que' gialli e polverosi tesori. Cos? avvenne a me, quando il notaio, accennati i libri alla grossa, si fece ad aprirmi un armadio, nel quale, umili in vista e non numerose, giacevano le sue pergamene e filze di carte, diligentemente legate e contrassegnate, siccome da notai e da archivisti si suole.

-- Tutta roba salvata dallo sperpero del monastero! -- sclamai.

-- Capperi! Vediamo questa maraviglia! -- dissi io, sorridendo.

Se mai v'ebbe rimorso che rapidamente seguisse il peccato, ei non fu al certo pi? veloce del mio, poich? ebbi dato un'occhiata alle prime pagine del volume postomi tra le mani dall'ottimo signor Malinverni. Sperimentai allora in me stesso come sia sciocco il sorridere, quando non ? essenzialmente tristo, o essenzialmente sublime. Se a voi non sembra che corra, lasciamola l?; io mi ristringer? a raccontarvi, senza morale, come senza favola, che la mia mezza ironia mi torn? subito in gola.

Le confessioni di Gualberto monaco! Che cosa avr? avuto a dire questo povero frate alla posterit?? Per fermo egli ha molto operato e veduto, molto pensato e sentito, fors'anco errato, certamente sofferto, e qui, presso al fine della sua fortunosa carriera, colla schietta umilt?, ma non colla gloriosa pace di Agostino, racconta s? stesso, o in penitenza di falli, o per esempio di fede religiosa ai venturi. Questo pensiero mi trasse a leggere; le prime pagine mi fecero suo.

La notte, non furono che sogni della fantasia riscaldata. Vidi il mio frate chiuso nella sua cella ed intento a scrivere le sue confessioni. Le tempeste della vita gli aveano imbiancati anzitempo i capegli e impresso il volto di segni fatali. Fredda era la cella; l'inverno soffiava alle impannate; le dita del monaco s'irrigidivano intorno alla penna; e tuttavia seguitava a scrivere, desideroso di versare in quelle carte la piena delle sue ricordanze, prima che quel gelo gli penetrasse nel cuore. E lo vidi, indi a poco, disteso sul suo letticciuolo; le mani avea giunte sul petto; gli occhi, mezzo velati dall'ali della morte, cercavano una immagine di donna, vapore diafano che tremolava, vestito di forme a lui note, dipinto d'una pallida luce, nell'alto della sua squallida cella. Quali arcane parole corsero tra il morente e la morta? Era quello l'addio d'un vano fantasma, o l'invito d'uno spirito eterno? Ella era l?, librata in aria, e si facea man mano pi? sopra a lui; si chinava l'omero mollemente; si stendeva il braccio e le dita candide si appressavano, come per chiudere quegli occhi stanchi, o cogliere l'ultimo sospiro, forse il primo bacio di quelle labbra tremanti. E in quel mezzo, inginocchiati ai piedi del letticciuolo, i bruni compagni venian recitando la preghiera degli agonizzanti.

Il giorno appresso ero da capo col manoscritto. Entrato in maggiore dimestichezza coi vecchi caratteri, corsi pi? spedito nella lettura, e non lasciai il volume che all'ultimo verso. Era una storia singolare, quella del povero frate, e nel tempo istesso che la ci aveva per me tutti gli allettamenti d'un romanzo, veniva a chiarire un punto di storia di cui s'hanno scarsi lumi e testimonianze contradittorie. Giunsi, dico, all'ultimo verso, non gi? alla fine, imperocch? le confessioni di fra Gualberto, non solo non apparivano intiere, ma s'interrompevano proprio l? dove era pi? vivo il racconto.

-- Peccato! -- dissi al mio ospite, che in quel momento era venuto a chiamarmi pel desinare. -- Si resta in asso!

-- S?, ve l'ho detto ieri, se fosse completo, varrebbe un tesoro.

-- Ma, non avete cercato?.....

-- E in che modo? i miei l'hanno avuto per caso, siccome vi ? noto. Qui, poi, tutte le mie indagini tornarono vane.

-- Ma forse fuori di qui..... nelle biblioteche tra cui si divisero le spoglie di San Colombano.....

-- Ah s?, forse, ma ne dubito assai. Come vorreste che un'opera somigliante andasse dimezzata in tal guisa a Roma, a Milano, o a Torino? Vedete inoltre; qui il volume finisce e non c'? segno di fogli strappati.

-- Appunto per ci? io credo ce n'abbia ad essere un secondo. Questo ? un palinsesto, ed il frate, che ha cos? conciato un primo codice, ne avr? rastiato un altro del pari. Egli scriveva per penitenza; avr? dunque finito.

-- Invero, -- mormor? il notaio Malinverni, -- ora che ci penso...... C'? sicuramente un secondo volume; ma dove scovarlo?

-- Qui no, poich? avete cercato invano; -- risposi; -- ma ci abbiamo tre luoghi ancora. Lasciate fare a me. Cos? avessi fortuna col genio che custodisce i tesori nascosti, come l'ho con quell'altro che protegge i ferravecchi. Non vedete? Egli mi ha condotto a Bobbio per trovare il primo volume delle memorie di fra Gualberto; egli mi assister? per trovare il secondo. E frattanto, mi permettete di copiar questo?

-- L'ospite ? padrone -- disse il notaio.

-- E la lingua nostra -- soggiunsi, inchinandomi per ringraziarlo -- ha confuso in un solo vocabolo colui che d? l'ospitalit? e colui che la riceve.

-- Filosofia del linguaggio! -- esclam? l'ospite, mettendo amorevolmente il suo braccio sotto a quello dell'ospite, per condurlo nella sala da pranzo.

Cos? venni, o lettori, in possesso del mio bel trovato. Ma l'interruzione del manoscritto fu cagione di lunga scontentezza per me, che il mutar di luogo e l'avvicendarsi di molti casi tra malinconici e lieti, non valsero a cacciarmi dall'animo. Troppo spesso mi si facea vivo il ricordo, e sempre cuoceva, come se fosse stato un rimorso. Eppure, non era colpa mia se le indagini non andavano di pari passo col desiderio. N? a Torino, n? a Milano, avevo potuto correre in quell'anno; a Roma fui per entrare un giorno, ma il genio protettore dei ferravecchi, col quale avevo fatto di soverchio a fidanza, non si degn? di aprire, e noi non si aveva una di quelle chiavi famose, che, tre anni di poi, dovevano vincere la toppa rugginosa di porta Pia.

Con che animo mi facessi a leggerlo, argomentino i discreti lettori. Cos? gradita tornasse loro la lettura di questa mia, che, se non ? una versione pedissequa, ? pur tuttavia pi? fedele di tante e tant'altre. Per quanto ? degli eruditi, io son certo che eglino, se non leggeranno con diletto la mia prosa, godranno largamente della scoverta di un preziosissimo testo, il quale uscir? tra non molto alla luce, n? pi? negheranno fede all'Alcaforado, al paggio del principe Enrico di Portogallo, sulla cui testimonianza soltanto poggiava finora la storia singolare, oggi comprovata dal manoscritto di Bobbio.

LE CONFESSIONI DI FRA GUALBERTO

L'anima mia ? triste fino alla morte. Ma l'autunno ? gi? innanzi; la natura si spoglia senza rimpianto de' suoi ultimi colori, e si dispone al riposo; i pioppi in riva al fiume si sfrondano, e le foglie portate dal vento battono frettolose alla mia finestra, quasi per dirmi: sbrigati, vicino; bisogna partire. Ah! l'ora della partenza sar? lieta per me, se Iddio mi avr? perdonato.

A frate Anselmo ho confessati i miei falli, non disvelato tutto me stesso. Qui lo far?, al vostro cospetto, o Signore. Se alcuna delle mie parole sentir? troppo degli ardori della carne, non vi sdegnate con me. Fu opera vostra questo fervido cuore, n? io maledir? ai vostri doni. L'anima rassegnata vi ringrazia delle afflizioni e vi domanda la pace del sepolcro.

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