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Munafa ebook

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Read Ebook: Studii sulla letteratura contemporanea by Capuana Luigi

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Ebook has 418 lines and 68908 words, and 9 pages

Il vostro libro, gli scriveva un giudice autorevolissimo, Carlo Blanc, merita l'onore di una traduzione francese; e gli si offriva per trovargli un traduttore capace di vincere le difficolt? della forma italiana cos? elegantemente lavorata e cesellata. Il Massarani usciva appena dai fastidii delle inondazioni per la rotta del Po: era accorso sul luogo, soccorrendo miserie, incoraggiando lavori, studiando rimedi per prevenire le repliche del terribile disastro; aveva provocato una discussione in Senato dove la sua parola calda d'affetto e forte di competenza s'era fatta sentire fra la commozione ed il plauso di quel venerando consesso; ed ecco che, prevedendo i guai di una traduzione venale, si mette a tradurre egli stesso il proprio libro in francese, adattando la forma d'esso alle esigenze della nuova lingua, rimpastandolo in pi? parti per renderlo pi? degno del tema e della considerazione dei lettori. L'editore parigino Renouard ? tutto contento di poterlo pubblicare fra poco.

Non gi? che la forma lo preoccupi pi? assai del concetto, no; ma egli non ? contento finch? non gli sembri che la forma glielo renda con una trasparenza cristallina: ed ha ragione. Su questo conto gli si pu? perdonare anche l'eccesso.

Io non posso dire quel che valga il Massarani come pittore: sono troppo incompetente da osarlo. Non voglio occuparmi del Massarani statista, erudito, critico d'arte: delle sue teoriche dell'arte sar? meglio discorrere quando verr? fuori la traduzione francese del suo libro sull'Esposizione del 1878. Statista, erudito, critico d'arte, il Massarani non ? intieramente lui per quanto porti nelle ricerche e nei giudizi quell'accuratezza, quell'imparzialit?, quell'equanimit? che formano i tratti pi? notevoli del suo carattere d'uomo e di scrittore. In quanto a me, preferisco il Massarani poeta.

Poeta? Dio mio, perch? no? <>

Ricordi e visioni del passato, uomini e cose, sentimenti e paesaggi, con quel loro accento profondamente sincero, non si limitano a darci soltanto una netta imagine di s? stessi. La loro poesia consiste anzi in quel destare che fanno nell'animo di chi legge qualcosa di simile alle impressioni del poeta. Si fantastica, si sogna dietro a lui, ci si sente commossi della sua commozione raddoppiata colla nostra. Quello ch'egli ha visto ci ha passato tante volte sotto gli occhi; come lui, molti dei lettori han certamente provato la volutt? d'una passeggiata mattiniera prima che la citt? si svegliasse alla febbrile attivit? del suo lavoro; come lui, molti si son fermati in Piazza d'Armi nell'ore d'uno splendido tramonto di luglio, in mezzo a quel brulicare di bimbi, di bambinaie, di soldati, di lavoranti che ritornano dal lavoro coi loro arnesi sulla spalla e indugiano innanzi a un giocator di bussolotti o a un piccolo saltimbanco; come lui, molti hanno asolato nell'ore vespertine dell'agosto fra i viali dei Giardini, quand'attorno al Caff? di Monte Merlo s'affollano ai deschi le famiglie borghesi, suona la banda e fanno cerchio proletarii d'ogni grado, impiegatucoli, soldati, bassi ufficialetti e bambinaie in stretti colloquii con un damo forse improvvisato l? per l?: ma il valore dell'arte consiste appunto nel rendere importante la fuggitiva impressione d'ogni giorno, nel fissarla, nel ridurla pi? efficace della stessa cosa reale. Ecco per esempio, un tramonto presso piazza d'Armi che non vi uscir? pi? di mente:

Sfornito Ancor di chioma il castano recente Larva di quei che l'ascia ha tronchi, invano A non recente cittadin l'oltraggio Celar tentava dell'austriache stalle Inesp?ato; intanto che sublimi Sovra il dolce color, che di zaffiro Ancor si tinge e pur declina al glauco Delle memori nostre ardue marine, Parean nitrire alla vittoria i dieci Gran cavalli di bronzo. In lunghe liste D'ombra e di luce, l'ultimo saluto Del d? sal?a per le calpeste glebe All'erba inaridita che, mal viva, Tra sentiero e sentier campa d'oblio.

Ecco, per esempio, un quadretto di genere che ? inutile desiderar dipinto sulla tela:

Sai dove Ancor mi piace la bottega? In villa, O in quelle rintanate, erte, ritrose Citt? neglette de la vaporiera, Eppur patrizie d'alta stirpe, dove Di mentir la rurale onesta vita E la faccia aborigena, non s'ebbe Ancora il vezzo od il pretesto. File Di legittimi sacchi; agli, prosciutti Con le farine ingenua mostra; e vini Dentro al doglio nat?o, stillanti caci, E, in piazza, al pi? di rudero o colonna, Presso alla fonte, sotto i vasti ombrelli, Tesor di frutta e melarancie ed uve, Eterna invidia di pittori; e spesso Pi? leggiadro tesor di crespe e bionde Chiome, a fronte gentil dorato nimbo.

E non dico la dolce filosofia della vita che scaturisce da tutte queste fonti d'impressioni e di sentimenti realmente provati. Il cuore si acqueta come rannicchiato in un ambiente familiare pieno di tepori e irradiato del sorriso di persone carissime. E leggendo s'intravede un gentile profilo di donna, un sereno profilo di mamma della quale il Massarani pot? scrivere: <>

D'un lavoro cos? vivo sarebbe estrema pedanteria cercare i difetti. Il verso del Massarani ha, in maggior numero, pi? i pregi del suo stile ordinario che le mende.

Giorni fa il Massarani, sul punto di regalare ad una persona le due affettuose Commemorazioni ch'egli ha scritto pei suoi genitori, esitava, rammentando che in una di esse, pubblicata nel 1861, gli erano sfuggiti alcuni errori di stampa.

-- Sono stati corretti a mano? domand? al suo segretario. Ne abbiamo presa nota, mi pare.

-- S?, s?, rispose il segretario mostrando i luoghi corretti.

Si trattava d'un comunissimo scambio di lettere e dell'omissione di alcune virgole.

UN IGNOTO

Quest'influenza s'? incarnata, ha preso corpo. V'? un nome ch'essi pronunziano con una specie di riverente ammirazione mista a un rimpianto severo. La morte ha circondato d'un'aureola di mito la strana figura di quel giovane che pareva avesse nella mente un intiero mondo di creazioni sublimi, non scrisse mai un sol rigo, e intanto impresse tale orma di s? in tutte le menti dei suoi amici da sembrare li perseguiti con qualcosa di simile al fascino o all'ossessione anche dal regno delle ombre.

-- Che cosa ? stato? domand? il bimbo tremando come una foglia.

-- Ah! il cane ha la tosse! risponde la mamma fra uno scoppio di pianto.

Il giovinetto divenne un cattivo scolare, un terribile spauracchio di professori e di colleghi. Poi rinsav? quasi ad un tratto. Sent? bollirsi nella mente una folla d'imagini, sent? nel cuore un'esuberanza d'affetti. Drammi, commedie, tragedie, poemi, tutte le possibilit? e le impossibilit? letterarie gli si presentarono innanzi, lo sedussero, lo tennero occupato da mattina a sera con un'incubazione interminabile: serie di capolavori che si seguivano, s'accavalcavano, s'annullavano perpetuamente nella sua fantasia per ricominciare da capo la loro abbarbagliante apparizione. Da tutto questo tramest?o, ridottosi infine ad una suprema impotenza, scaturiva intanto una aspirazione elevatissima, uno sdegno delle cose comuni, delle trivialit?, e una vera intuizione dei larghi orizzonti dell'arte moderna che si rivelavano nelle sue frasi sdegnose, incisive, assiomatiche, o nelle sue spallate.

A ventidue anni era un bel giovane, alto, aitante della persona, occhi neri e profondi, fisonomia severa ma simpaticissima. Fattosi consegnare dalla mamma la sua eredit? paterna, un ottantamila franchi, s'immerse nella vita pazzamente, da gran signore, da gran sibarita, da artista, ma anche da uomo di cuore e da eroe. Ridotta, in un par d'anni, la sua fortuna a poca cosa, egli partiva per l'America, sognando di rifarla col commercio. Ma dopo alcuni mesi ritornava in Italia. <>. A chi gli domandava notizie dei suoi lavori, rispondeva: <>

Visse alla meglio, ruminando il capolavoro che non cominciava mai a scrivere, aspro colla famiglia contesagli da un cane, colla societ? che non gli dava due uova al tegamino ogni giorno, con s? stesso perch? pieno di tanta alterigia e di tanta miseria. La coscienza della sua superiorit? gli faceva sprezzare tutte le forme sociali. Domandava ad imprestito dagli amici, come se quegl'imprestiti gli fossero dovuti. Stanc? la pazienza ed anco l'affetto di tutti: stanc? s? stesso. Il giovine elegante, l'artista che aveva orrore del triviale, del sudicio, era diventato un uomo irriconoscibile. <> Trov? finalmente il misero impiego di distributore di libri nella biblioteca Nazionale di Firenze. Rifinito di tante sofferenze fisiche e morali, tent? d'afferrarsi alla fin fine all'?ncora salvatrice della famiglia: ma la sua mamma fu dura peggio di prima. Allora si lasci? andare: tutto croll? dentro di lui, anche la sua splendida intelligenza, e una mattina venne trovato morto di fame nella sua fredda e misera cameretta. La mamma, allo annunzio, corse subito da un notaio per rinunziare l'eredit?... dei debiti alimentari del figlio!

<>

Doveva proprio esserci qualcosa di grande in quella testa e in quel cuore se ne durano ancora le vibrazioni nello spirito dei suoi amici, se la sua figura s'impone alla loro imaginazione, s'irradia, si sviluppa, si sminuzza in tutte le loro creazioni artistiche con una prodigalit? che fa stupore.

Mi limito a due soli esempi.

<

<>.

Che belle pagine, ripeto, specie quelle che seguono questa lettera e descrivono gli ultimi giorni della infelicissima vita di Pinotto! Anche la forma ? pi? piana, pi? semplice, senza esser meno efficace dell'ordinario.

La forma del Faldella ha un carattere tutto suo. Vi predomina una certa stranezza ruvida che colpisce, anche quando non piace. Colorita, immaginosa, si serve di tutti i mezzi per rendere il suo concetto il pi? sinceramente che pu?; spesso l'arcaismo ? per essa un mero affar di tavolozza. La stessa cosa pu? dirsi dell'imagine che il Faldella vuol nuova, stridente, rumorosa, insomma tale che faccia l'effetto di qualcosa che scoppi, di qualcosa che abbagli. Ma non di rado gli manca la misura e vi si sente lo sforzo, un gran nemico dell'arte.

Ricorder? un aneddoto che qualifica bene la sua naturale ironia e quell'amore ad ogni costo dell'immagine che colpisce.

-- Signori, egli conchiuse, quando Garibaldi entr? in Napoli una folla immensa si era accalcata sotto il palazzo d'Ancri applaudendo il dittatore, chiamandolo ad alte grida per rivederlo al balcone colla sua camicia rossa. Il generale non compariva: le grida si accrescevano, il frastuono diventava immenso. A un tratto, invece di Garibaldi, ecco il Medici.

-- Il generale dorme, egli disse alla folla.

E la folla riverente, commossa, si disperse in punta di piedi.

Signori, rimpetto ai romanzi di Garibaldi anche il pubblico deve disperdersi in punta di piedi! --

Non guarantisco le parole, ma il senso era questo. L'imagine si rivoltava, come la mula del medico; e l'ironia scaturiva da essa incosciente, malgrado di lui. Al Faldella quest'incoscienza dell'ironia accade tutt'ora. ? una delle sue forze.

NOTA

A LUIGI CAPUANA.

Leggevamo i nostri lavori, li discutevamo a viva voce, sostenendoli contro gli attacchi degli amici, e non erano censure e difese fatte per esercizio di dialettica; e le forme parlamentari non ci avevano sempre molto a vedere. Un giornaluccio ringhioso d'allora, chiamava la nostra, una Societ? di mutuo incensamento: .

Ma non era. La tabe accademica non offese mai quel ricco e giovane sangue. Mi ricordo che, negli ultimi anni, un uomo di et? matura, un medico napolitano, fiore di cortesia, iscrittosi come socio, soleva, nominando la societ?, chiamarla Accademia, e tutte le volte che la nominava correva per la sala un mormor?o di protesta. Fu cos? poco accademica che appena il suo pubblico sal? in numero e qualit? e le sue discussioni dovettero farsi pi? compassate; essa cess? di vivere quando pi? pareva che le fossero cresciuti gli elementi di vita. Mor?, senza languori e senza malattia, cosciente di morire, anzi volente, fedele alla sua bandiera, dove in quei giorni si potevano scrivere queste superbe parole: Arte ed Inutilit?.

Prima di scendere a particolari ritratti mi lasci soffermare un poco alla fisonomia generale della societ?. Le formole riassuntive che oggid? sono tanto in moda vi erano affatto sconosciute; non si sposavano partiti e non si facevano classificazioni. L'arte si chiamava arte, e nulla pi?, la si coltivava ingenuamente, la si adorava caldamente, e la si metteva sopra tutte le cose di questa terra. Eravamo quasi tutti disotto i venticinque anni, alcuni non ne contavano venti, ed ora che la guardo di lontano mi avvedo che il quadro doveva essere bello e confortevole, e non ? certo a stupire se in alcuni dei soci ancora superstiti all'arte, si riverbera anche oggi qualche raggio del calore che irradiava da quel gran fuoco di fedi e di entusiasmi.

Due o tre volte la societ? aveva corso pericolo di mutare la originaria natura, e di sciuparsi in una utilit? pratica immediata. Bisogna sapere che tre quarti dei soci erano addottorati in legge e, di questi, due buoni terzi, o avvocati fatti o in via di divenirlo, freschi di studi, convinti della importanza dell'avvocatura, impazienti di gettarsi alle lotte della sbarra, orgogliosi della toga recente, questi avrebbero voluto convertire la societ? in una palestra forense, dove porre e risolvere i maggiori problemi del diritto moderno e dove esercitarsi alle battaglie della parola. Vi furono tentativi di riforme statutarie, si lessero dissertazioni di indole puramente legale, alle quali noi, mostrando di non vedere dove mirasse il colpo, battevamo furiosamente le mani incocciandoci a considerarle, a dispetto della verit? e del buon senso, come lavori d'arte. Prendere il toro per le corna non volevamo, perch? ci pareva che discutere intorno alla supremazia dell'arte fosse un mancare di rispetto a quell'arte istessa che avremmo impreso difendere.

Una domenica, nel 1871, fummo a un pelo d'essere suonati. Uno dei pi? arrabbiati utilitari era arrivato a convincere molti di noi di queste due incredibili verit?.

Fu un affare finito e non se ne parl? mai pi?.

Voleva raccontarci il seguito della sua apostrofe esclamativa, e dirci che godeva di vedere finalmente iniziata la grande riforma sociale o gi? di l?, ma gli fu impossibile seguitare. Quelle tre parole le aveva profferite con tanta enfasi, quell'Oh! egli lo aveva trascinato attraverso una tal fila di inespremibili dolcezze, la sua voce era diventata cos? sonora, oserei dire, cos? sincera in quel momento, che mai effetto pi? comico fu prodotto da una pi? seria intenzione. Fu una risata generale, lunga e singhiozzante; egli rimase un momento sospeso, ci guard? tutti con una dolcezza grave, poi sorrise per forza e si rimise a sedere. Da quel giorno non prese pi? la parola, fu meno assiduo e poi lasci? affatto di venire. Poveretto, o pazzo, o savio, il suo era un'ideale, e dalla contemplazione estatica di quell'ideale la nostra risata lo aveva strappato violentemente per sbatterlo a terra.

Rido ancora a pensarci, ma quelli che come me videro e sentirono il suo sguardo dolce e mite chiederci con meraviglia il perch? di quello strappo brutale, provano certo come me a quel ricordo un senso di amarezza che sa quasi di rimorso.

CARLO DOSSI

Per? il nome del Dossi non era rimasto oscuro neanche quand'era mezzo inedito. Aveva presto trovato degli ammiratori entusiasti e dei detrattori arrabbiati. Non saprei valutare esattamente chi gli abbia nociuto di pi?. Potrebbe darsi, con un carattere come il suo, che non abbiano n? gli uni n? gli altri influito molto sopra di lui.

Studiamo dunque l'uomo per intender l'artista.

E infatti fa cos?. Ma in quell'arruffio, in quell'imperversare di parole indiavolate e di imagini enormi, c'? una meticolosit? straordinaria, uno scrupolo sconfinato. Tutti quei suoi aggettivi sono accuratamente calcolati; calcolate le sue parole di nuova foggia. Le imagini, la giacitura dei periodi, le ellissi, tutto v'? posato ed ordinato in vista d'uno scopo artistico, per un'intenzione di rapporti di linee, di gamma di colori, di accordi armonici e stavo per aggiungere sinfonici. C'? insomma la stessa esattezza, la stessa meticolosit?, la stessa forza di riflessione e di volont? dalle quali ? regolata la sua vita.

Aggiungete che ? timido ed impacciato nella conversazione, massime con gente che vede la prima volta: aggiungete che per tant'anni, la sua opera d'arte fu una continua conversazione con s? stesso, una vera cristallizzazione di sentimenti e di pensieri che gli erano cari, destinata soprattutto alla propria soddisfazione e poi alla confidenza di pochi amici e capirete subito che doveva importargli ben poco se un'immagine o una parola non potevano valere per gli altri quello che valevano per lui. ? la colpa d'origine della sua opera d'arte, ora diventata natura. Probabilmente il Dossi pi? non cercher? di moderarsi o di correggersi: temer? di perder qualcosa della sua fiera individualit? e ostinerassi a rimanere qual'?. Ha torto? Chi lo sa?... Potrebbe anche darsi che no.

Il pubblico non ha torto, tutt'altro! Ma anche gli artisti hanno ragione.

Ed io, dal canto mio, non nascondo la mia simpatia pel Dossi, quantunque non sia disposto ad imitarlo, quantunque non consigli ad altri di seguirne l'esempio.

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