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Munafa ebook

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Read Ebook: Ricordi d'un viaggio in Sicilia by De Amicis Edmondo

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Ebook has 36 lines and 14434 words, and 1 pages

BIBLIOTECA POPOLARE CONTEMPORANEA

Edmondo De Amicis

Ricordi d'un viaggio in Sicilia

PROPRIET? LETTERARIA

Reale Tipografia dell'Edit. Cav. N. GIANNOTTA Premiato Stabilimento a vapore con macchine celeri tedesche CATANIA -- Via Sisto 58-60-62-62 bis -- -- CATANIA

DA MESSINA A PALERMO

Non avevo pi? visto la Sicilia da quarant'anni, niente di meno: dall'anno di grazia 1865, nel quale avevo fatto la mia prima guarnigione, come si dice in linguaggio militare, nella citt? di Messina, di dove ero partito col mio reggimento nell'aprile del 1866 per la guerra contro l'Austria. E fu appunto Messina la prima citt? che rividi venendo da Roma: con quale commozione, possono immaginare tutti coloro che hanno rivisto dopo circa un mezzo secolo una regione della patria, a cui erano legati dai pi? cari ricordi della prima giovinezza.

Quali mutamenti in questi quarant'anni! Basta dire che nel 1865 non c'era ancora in tutta l'isola un chilometro di strada ferrata in servizio. Si stava costruendo quella da Messina a Catania, e ricordo bene le grida di maraviglia con cui le contadine messinesi, dai colli circostanti alla citt?, salutavano le prime macchine a vapore messe in esperimento sulla linea, lungo la riva del mare. Ora, venendo dal continente, si attraversa lo stretto senza discendere dai vagoni ferroviarii, che sono trasportati da una riva all'altra sopra un piroscafo. Le piccole citt? e i villaggi della costa calabrese si sono ingranditi per modo che formano quasi una sola enorme macchia biancastra da San Giovanni a Reggio. Messina s'? inalzata su per i graziosi colli conici che le sorgono da tergo, ed ha allungato le sue grandi ali bianche lungo il mare fino a perdita d'occhi. La mia antica piazza d'armi ? scomparsa sotto un nuovo quartiere elegante e ridente; le antiche vie, che gi? erano ariose e linde, si sono arricchite di botteghe splendide; le piazze si sono ornate di palme; la luce elettrica brilla da ogni parte; i tramway percorrono l'interno della citt? e si spingon fuori fino al Faro, distante dal centro parecchie miglia; e il movimento della popolazione, specialmente sulla grande strada della Marina, su cui si stende una lunga schiera di grandiosi edifizii uniformi, ? pari -- in apparenza -- a quello delle pi? popolose e floride citt? marittime del continente.

Luminosa -- ? l'aggettivo che mi ? rimasto nella mente congiunto alla sua immagine. Come biancheggiava splendidamente fra l'azzurro vivo del mare e il vivo verde della lussureggiante vegetazione che copre l'anfiteatro dei suoi colli e dei suoi monti! A traverso l'aria limpidissima apparivano cos? vicine le citt? e le borgate della Calabria da far pensare che il grido d'un uomo vi dovesse giungere, e la tragica cima d'Aspromonte, -- Calvario di Garibaldi, -- soprastante a tutte le vette rocciose della catena, mostrava nitida la sua fiera nudit? colorata di viola, dolce e triste come il sorriso dell'Eroe ferito, che perdonava ai suoi feritori. Da una parte l'orizzonte del mar Jonio, dall'altra l'orizzonte del mar Tirreno, l'uno turchino carico, l'altro azzurro argentato; e su quello, al di l? di Scilla, ancora la costa calabrese seminata di villaggi, che si sfuma lontano in un color grigio e rosa chiarissimo, somigliante a una lunga nuvola immobile. Una veduta immensa, serena, tranquilla. E sul finir di novembre vi circonda un tepore di primavera, e vi carezza il viso un'aria carica di profumi confusi d'erbe, di rose, di aranci, della quale ogni soffio vi fa fremere e sorridere come il bacio d'una donna.

Questi pensieri mi sorgevano in mente ogni volta che mi soffermavo a guardar lo Stretto nel punto in cui le due coste sono pi? vicine. Che c'? di pi? maraviglioso di questo fatto? Poco pi? di tre chilometri di mare, che si attraversano in trenta minuti, e quel poco d'acqua divide le due terre come un vasto deserto o come una formidabile barriera di montagne. Passano continuamente quel breve spazio, con la maggior facilit?, migliaia di persone e carichi enormi di merci; e quello stesso spazio mantiene quasi immutate per secoli diversit? profonde di idee e di costumanze, perpetua ignoranza e pregiudiz? reciprocamente funesti fra un popolo e l'altro, falsa e deforma mostruosamente le notizie dei fatti, arresta il cammino di grandi fame, ed ? causa che uno dei due popoli, che pure ha con l'altro tanti legami di sangue, d'indole, d'interessi, di storia, senta in s? un'indomabile tendenza a viver di vita propria, con leggi proprie, considerando -- e non in tutto a torto -- come inconciliabili con la sua natura ed esiziali ai suoi interessi la maggior parte delle istituzioni e delle norme che reggono la vita pubblica nella terra posta quasi a contatto della sua! Ed ? forse appunto questa uniformit? forzata di leggi e d'obblighi, su cui si fondarono per tanto tempo tutte le migliori speranze del suo risorgimento, ? forse questa appunto la cagione principale della persistenza delle sue miserie e dei suoi dolori!

Ma queste sue miserie chi potrebbe mai sospettare viaggiando per quello splendido "paradiso terrestre,, delle sue coste? Non ero mai andato per terra da Messina a Palermo; feci questo viaggio in una giornata bellissima; ne fui abbagliato e incantato. Questo versante Tirrenico, che rappresenta la quarta parte dell'area totale dell'isola, e contiene oltre un terzo dell'intera popolazione, con una densit? molto superiore alla media del regno d'Italia, pure essendo meno maravigliosamente florido del versante Jonico, compreso fra Messina e Siracusa, ? per bellezza di paesaggio e per ricchezza di vegetazione una delle pi? ammirabili regioni d'Europa. ? una successione di golfi e di seni dalle curve graziosissime, dominati da alti promontorii dirupati, che si specchiano nel pi? maraviglioso azzurro marino che abbia mai sorriso al sole. Si percorre il primo tratto, lungo il mare, in vista delle diciassette isole dell'Arcipelago Eolio, che par che sorgano l'una dopo l'altra dalle acque, con le loro belle forme vulcaniche, ardite e leggere, tinte di colori soavi, d'un'apparenza quasi vaporosa. E le pianure verdi, solcate da innumerevoli corsi d'acqua, succedono alle pianure verdi, i boschi ai boschi, i vigneti ai vigneti, e vaghe citt? biancheggianti sulle alture, e monti scoscesi coronati di chiese aeree e di castelli spagnuoli e normanni e d'avanzi di colonie greche e romane. E fuggono accanto al treno i boschetti d'aranci, le siepi di fichi d'India, le spalliere di ?loi, i gruppi di palme, tutte le variet? di piante di tutte le terre italiche, accarezzate e mosse da un'aria imbalsamata che vi desta nel sangue e nell'anima un sentimento delizioso della vita. E quante grandi immagini del passato vi sorgono dinanzi da ogni parte! Su quel ridente azzurro del golfo di Spadafora fu distrutta da Agrippa la flotta di Sesto Pompeo; su quell'altre acque luminose, fra il Capo Orlando e la foce della Zapulla, fu sconfitta l'armata di Federico dalle armate riunite di Catalogna e d'Angi?; laggi? riport? Duilio la prima vittoria navale di Roma; su questa pianura l'esercito cartaginese di Amilcare fu sbaragliato dall'esercito greco di Gelone e di Terone. A grandi lampi vi passa dinanzi tutta la storia dell'isola fatale, intorno a cui gravit? per secoli la vita storica e sociale di tre continenti, e d'in fondo al passato immenso vedete sorgere l'albore d'una speranza: poich? se l'Italia peninsulare, come fu detto con felicissima immagine, ? un braccio teso dall'Europa nella direzione dell'Africa, la Sicilia ? pur sempre la mano di quel braccio; ed ? ancora una grande verit? quella affermata dal Fischer, ch'essa possiede una stoffa di colonizzatori di primordine "atta a metter radici sopra ogni terra, a prosperare sotto ogni cielo.,, Chi sa che nell'avvenire dell'Africa non sia il risorgimento dell'"organo prensorio,, d'Italia?

Ed ecco Monte Pellegrino, ecco la Conca d'oro, ecco Palermo!

DA PALERMO ALL'ETNA

Palermo ? la citt? di Sicilia che fece una pi? maravigliosa cresciuta dopo il 1860. I Siciliani hanno ragione d'andarne alteri. ? una grande citt?. Ma i nuovi quartieri eleganti, le nuove vaste piazze alberate; i nuovi magnifici passeggi pubblici, veri luoghi di delizie, degni di Parigi e di Londra, non hanno mutato la sua antica fisonomia originalissima che ? sempre costituita dalle due interminabili vie diritte -- Macqueda e Vittorio Emanuele -- che s'incrociano nel suo centro; e la sua bellezza pi? caratteristica ? sempre quel centro, quella piazzetta ottagonale dei Quattro Cantoni, che hanno quattro architetture uguali d'ordine dorico, ionico e composito, coperte d'arabeschi e di fregi, ornate di fontane e di statue: -- piazza, mercato, foro, cuore di Palermo.

A giudicare dal movimento di quelle due strade, di cui una sbocca sul mare, l'altra ? in direzione parallela alla riva, si direbbe che Palermo ? una citt? di due milioni d'abitanti. Corrono in ciascuna, da un capo all'altro e dalla mattina alla sera, due torrenti di gente, di carrozze, di carri, di carrette, che continuamente serpeggiano per non urtarsi, che in mille punti s'intrecciano e si confondono, s'arrestano, s'addensano, ondeggiano; ? un formicol?o che vi confonde la vista, uno strepito che v'introna la testa, una variet? di veicoli, di carichi, d'aspetti umani, di gesti e di voci, un contrasto di allegrezza e di furia, di fatica e di spasso, di lusso e di povert?, quale in nessun'altra citt? del mondo credo che si possa vedere. Ma ? tutta uno spettacolo di violenti contrasti questa stupenda e strana Citt? dei Vespri e di Santa Rosolia. Alzando gli occhi di mezzo alla vegetazione magnifica che vi circonda nei giardini e nei parchi cittadini, dove s'incrociano i viali fiancheggiati di leandri e di rose, e s'affollano le palme, i platani, gli eucalipti, le pi? preziose specie di tutte le flore, vedete un anfiteatro di montagne rocciose e nude, di aspetto terribile, che par che guardino biecamente e minaccino tutta quella pompa ridente della natura. Dal grande viale marino del Foro italico, un vero passeggio da Sovrani, dove corrono centinaia di carrozze aristocratiche, si riesce in pochi passi lungo la vecchia Cala, dove una selva di brigantini, di paranze, di barcacce d'ogni pi? antica forma, siciliane, napolitane, pugliesi, greche, vi rappresentano tutte le miserie e le calamit? della pi? avventurosa e dura vita marinaresca dei passati secoli. Uscite da quell'enorme labirinto di viuzze oscure e sudicie, che si chiama l'Albergheria, dove brulica una popolazione poverissima in migliaia di fetidi covi, che sono ancora quei medesimi in cui si pigiavano gli Arabi di nove secoli or sono, e vi trovate dinanzi a un "Teatro Massimo,, il pi? grande e pi? splendido teatro d'Italia, che cost? otto milioni, e di cui fu decretata la costruzione quando Palermo non aveva ancora un ospedale che rispondesse ai suoi pi? stretti bisogni.

V'? prodigalit? e magnificenza in tutto ci? che colpisce gli occhi e pu? dar l'immagine d'una citt? prospera e potente; ma all'apparenza non corrisponde la realt?. Il popolo ? povero e vive con una frugalit? anacoretica; una vera borghesia industriale non esiste; l'aristocrazia ricca ? assai scarsa. Un'apparenza di splendore d? alla citt? la passione del lusso, che ? universale, e il fatto che Palermo attira con la sua bellezza e con la forza centripeta delle sue tradizioni i Siciliani danarosi d'ogni parte dell'isola. Anche le d? vita nella stagione invernale una numerosissima colonia straniera, specialmente inglese. Ed ? a notarsi pure un vivo amore di tutte le classi per la vita esteriore, per le passeggiate, per le feste, per i ritrovi pubblici d'ogni genere; il che agli occhi del forestiero fa apparir la popolazione duplicata.

Ho parlato di contrasti. Un contrasto che compendia e spiega tutti gli altri ? quello che vi si presenta qualche volta nel Corso Vittorio Emanuele, quando d'in fra i palazzi e le statue e il via vai festoso delle carrozze infiorate, vedete lontano, all'orizzonte del mare che chiude la via, la macchietta nera d'uno dei piroscafi che portano via ogni settimana un popolo d'emigranti. Poich? in quella regione dell'isola principalmente l'emigrazione per gli Stati Uniti ha assunto in questi ultimi anni proporzioni spaventevoli; in quella regione dove l'attaccamento degli abitanti al luogo nat?o pareva una volta cos? tenace da rendere impossibile un'emigrazione importante. Ci son dei piccoli paesi che si vuotano quasi interamente; ci sono citt? ragguardevoli che hanno perduto quasi un terzo della loro popolazione. E s'ha un bel dire che non la miseria assoluta, ma i cresciuti bisogni e il desiderio d'un benessere prima non conosciuto n? sognato son la vera cagione dell'esodo lamentevole: resta pur sempre che ? misera e triste la condizione d'un paese in cui le classi lavoratrici non possono soddisfare i bisogni e le aspirazioni legittime che suscitano in esse la civilt? progredita e la divulgata cultura. Verit? che paion sogni quando si passa fra i ricordi di quel tempo in cui il celebre Sceriffo arabo Edrisi chiamava Palermo "il massimo e splendido soggiorno, la pi? vasta ed eccelsa metropoli del mondo,, ed era veramente la pi? importante citt? dell'occidente, il maggior centro politico del Mediterraneo, come nel mondo ellenico era stata Siracusa.

Viva nel cuore del popolo sopra tutto. Per il popolo palermitano Garibaldi ? ancora il mito divino e caro di quei primi anni, il discendente di Santa Rosolia, al quale la Santa stessa aveva dato quello scudiscio miracoloso, ch'egli teneva sempre in mano, e con cui rimoveva da s? le palle dei fucili e dei cannoni borbonici. Buon popolo veramente, che pu? avere molti difetti, ma che possiede in grado eminente la virt? gentile della gratitudine. Non perdona facilmente le ingiurie, perch? ha un fiero sentimento di s?, e facilmente le vendica col sangue, perch? ? pronto all'ira, e l'ira fulminea lo accieca; ma non dimentica i benefizi, e chi gli mostra stima ed affetto ricambia d'affetto vivo e durevole. Ne danno esempio i soldati palermitani , dei quali fanno quello che vogliono gli ufficiali che li trattano con affabilit? e con rispetto. Strano ? che gli si attribuiscono universalmente dei difetti che sono per l'appunto l'opposto di certe sue qualit? caratteristiche; cio?, di essere troppo verbosamente e chiassosamente espansivo, mentre ? piuttosto chiuso e taciturno; di essere poco tenero della famiglia, mentre alle creature del suo sangue ? affezionatissimo; di essere tenace e implacabile negli odii, mentre ? caso raro che compia una vendetta a sangue freddo, e anche pi? raro che la compia a tradimento. Certo, ? geloso, ma perch? ama con ardore veemente; ? astuto, ma perch? fu oppresso per secoli da un nemico -- il feudalismo -- contro il quale l'astuzia era un'arma necessaria alla difesa della vita e della coscienza; ? superstizioso, ma perch? ? dotato d'un'immaginazione fervidissima, e perch? per secoli fu tenuto in un'ignoranza barbarica, e quasi segregato dalla civilt?. E in compenso dei difetti ha tutte le qualit?, come disse uno scrittore francese, pertinenti alle razze nobili; le qualit? che non si possono sostituire: il cuore, l'entusiasmo, l'intelligenza viva e pronta, lo spirito generoso e poetico. Di qual sentimento della poesia sia dotata questa razza lo dimostrano i suoi canti e le sue tradizioni popolari, ha detto il Renan. E di che profondo e delicato amor proprio essa sia compresa, si pu? argomentare dal grande caso che fanno i Siciliani, e i Palermitani in ispecie, dei giudizi degli stranieri, o anche pi? di quelli dei loro fratelli continentali; dal rammarico che manifestano per i giudizi sfavorevoli, dalla grande soddisfazione che lasciano trasparire per i giudizi che li onorano. Questa preoccupazione d'esser mal giudicati dai loro connazionali io trovai in loro comunissima, e mi commosse, e mi rattrist? anche un poco, come un segno di diffidenza dei nostri sentimenti fraterni. Ma non si pu? negare che sia una preoccupazione giustificata da molte ingiustizie. Quanto ? consolante il non aver alcuna di queste ingiustizie da rimproverare a noi stessi quando il nostro cuore palpita sotto la carezza amorevole dell'ospitalit? siciliana, quando ci sentiamo premere intorno, per le vie di quelle grandi e belle citt?, quella gran folla piena di vita e di forza e di ricordi gloriosi, nella quale ? riposta tanta parte delle speranze della patria, alla quale ci legano tante sacre memorie dei primi anni benedetti della nostra nuova vita!

Ma ecco uno spettacolo che rompe come per mag?a il corso dei pensieri malinconici. Lontano, nel cielo sereno, un'enorme piramide azzurra s'inalza, solitaria, stendendo cos? largamente i suoi fianchi da parere che ricopra una provincia intera; una montagna che d? l'immagine d'un mondo; un prodigio di bellezza e di maest?, che vi fa aprire la bocca come per lanciare un grido d'ammirazione. Una nuvola bianca la corona; un manto candido veste la sua sommit? e si rompe pi? sotto in una quantit? di striscie simmetriche scintillanti che somigliano alle frangie di un immenso velo di trina ingemmato; in giro alle sue falde si stendono vaste macchie bianche, che paiono strati di neve, e grandi macchie oscure, che sembrano ombre dense proiettate da nuvole invisibili. E via via che il treno le si avvicina, la montagna par che si dilati e imbellisca: le macchie bianche sono citt? e villaggi, le macchie oscure sono boschi, aranceti e vigneti; da ogni parte sorgono ville, fioriscono giardini, s'aprono strade, corrono acque, sorride la fecondit?, splende la vita. Che maravigliosa sorpresa e che gioia dopo quel lungo viaggio a traverso ai latifondi disabitati e alla triste regione zolfifera! -- Ecco l'Etna! -- mi dice un Catanese, mio compagno di viaggio --; ecco la nostra gran madre benefica e sovrana tremenda!

CATANIA

Catania, con le sue strade diritte lunghissime, arieggia Torino, ma ha aspetto pi? vario e pi? gaio per il color pi? chiaro degli edifizi e per il dislivello del suo suolo, composto in buona parte di vecchie lave vulcaniche; il quale ascende verso l'Etna, sovrastante alla citt? e visibile da ogni punto. Chi la vede per la prima volta in una giornata serena non si pu? capacitare che in una citt? cos? splendidamente lieta possano infuriare tante tempestose passioni di parte, combattersi tante accanite battaglie politiche. Essa ha l'incanto della giovent?, a cui brilla in viso la coscienza della forza e la fede nell'avvenire. ? infatti la citt? pi? florida della Sicilia. E non ? di fresca data la sua prosperit? crescente. Dopo il memorando terremoto del 1693, che la distrusse tutta quanta, Catania rifatta venne prosperando continuamente, e dal 1860 in poi ? quasi raddoppiata la sua importanza. Per giungere a questo essa non ebbe che ad aiutare la sorte e la natura che l'hanno privilegiata d'ogni favore. Situata quasi nel punto di mezzo della costa orientale dell'isola, al lembo della pi? vasta e pi? fertile delle pianure siciliane, alle falde del gran Vulcano fecondatore, intorno a cui fioriscono le pi? svariate colture, essa accoglie in s? e manda fuori del suo porto profondo in grande abbondanza ogni specie di prodotti agricoli e minerali, e alimenta fra le sue mura, oltre alle generali industrie cittadine, una quantit? d'industrie speciali, che danno una straordinaria attivit? al suo commercio e attirano Greci, Inglesi, Tedeschi ad accrescerle senza posa con nuovi sfruttamenti e nuove imprese. Ma non ? citt? industriale e commerciale soltanto: ? ricca d'Istituti di beneficenza, possiede biblioteche cospicue, ? sede d'una delle maggiori Universit? d'Italia, in cui sono laboratori rinomati di chimica e di fisica, d'anatomia e di zoologia, e rinomatissimi di geologia e di mineralogia; ed ? fra i primi d'Europa, visitato da scienziati d'ogni paese, il suo Osservatorio Astronomico, in specie per riguardo alla fotografia stellare, a cui ? propizia la maravigliosa limpidit? atmosferica, e agli studi geodinamici, ai quali appartiene una collezione di fotogrammi sismici, forse la pi? preziosa del mondo.

La popolazione di Catania ? quasi tutta di tipo greco, dicono. Non sono in grado di giudicarne. Sar? forse una mia illusione: mi parve di vedere donne belle e bei fanciulli pi? che in altre citt? di Sicilia. Anche vidi generalmente negli abitanti non so che di pi? vivace e di pi? aperto, come di gente pi? contenta della vita. Dell'ardore e dell'impeto delle loro passioni pu? dare un'idea verosimile, bench? esagerata, il loro valente concittadino Giovanni Grasso, attore dialettale. Il quale ha in Catania un fratello non ancor ventenne, esordiente nell'arte medesima, ma anche pi? vulcanico di lui, e violento a tal segno che quando in una scena tragica si caccia le mani nei capelli gli si vede colare il sangue gi? per le tempia. Anche hanno fama i Catanesi d'essere appassionatissimi delle feste e d'ogni specie di divertimenti; cosa che male si concilia con la loro quasi assoluta trascuranza del Carnevale. Vero ? che di questo, a Catania, secondo l'illustre novelliere Giovanni Verga, tengono luogo le feste di Sant'Agata, che sono un immenso veglione, di cui la citt? intera ? teatro. Che rammarico non averle vedute! Esse hanno conservato l'antico splendore e suscitano ancora l'entusiasmo antico. La bara della martire amata ? portata in giro lungo le antiche mura chiusa in un tempietto sfolgorante; tutto il clero le fa corteo; le tien dietro una processione interminabile di pesanti macchine argentate e dorate e di giganteschi candelabri ornati di fiori e di bandiere, reggenti ceri colossali; accompagnano la processione tutte le confraternite e congregazioni pie, e corporazioni operaie e bande musicali innumerevoli venute da tutti i paesi dell'Etna; e al suono delle Laudi alla Santa cantate da miriadi di bocche mesce la sua voce enorme il Campanone del Duomo; quel venerando campanone, vecchio di sei secoli, e cinque volte fuso e rifuso fra il Trecento e il Seicento, che gi? salut? le nascite e annunzi? le morti dei re di Castiglia e d'Aragona e pianse dopo quel tempo tutte le sventure e cant? tutte le gioie di Catania.

Nessuno direbbe che egli ? infermo vedendo come balena nei suoi occhi in quei momenti e vedendo come freme nella sua voce l'anima del cittadino e del poeta. Eppure un'infermit? nervosa, d'indole non ben definibile resistente a ogni cura lo tiene da anni prigioniero in casa, e gli rende impossibile ogni lavoro intellettuale prolungato; ci? che ? la maggiore delle sue afflizioni, anzi l'unica, poich? alla vita solitaria ? da lungo tempo abituato; anzi fu per tutta la vita un solitario. -- Un sepolto vivo -- egli chiama se stesso. Ma tale non ? chi ha ancora intera come nei pi? begli anni la potenza del pensiero, bench? non pi? resistente a lunghi lavori, n? chi si vede e si sente circondato dalla riverenza amorosa d'una grande cittadinanza, che considera come gloria propria la gloria sua. Questo pensiero mi confort? nel momento dell'addio; ma l'addio fu triste. Pensavo che forse dalla Sicilia egli non si sarebbe mosso pi? mai e che in Sicilia io non sarei forse mai pi? ritornato. Lessi nei suoi grandi occhi il pensiero stesso. Le sue ultime parole lo espressero. -- Ci rivedremo ancora? -- La mia risposta fu l'espressione d'una speranza che non avevo nel cuore. Ci baciammo come si baciano due amici che partono in direzioni opposte per un viaggio senza ritorno. E uscii dalla casa del maestro con l'anima piena di tristezza.

O mio benevolo lettore, che andrai un giorno a Catania, ricordati di fare il giro della ferrovia Circumetnea, e dirai che ? il viaggio circolare pi? incantevole che si possa fare in sette ore sulla faccia della terra. Questa ferrovia che, girando intorno al grande Vulcano con un tragitto di pi? di cento chilometri, allaccia fra di loro tutti i pi? popolosi Comuni delle sue falde, parve da principio un'impresa utopistica, fu attraversata da mille difficolt?, e non condotta a termine che nel 1895. Ora non si riesce quasi pi? a capire come non si sia fatta vent'anni prima, tanti sono i vantaggi che ne ricavano i trent'otto paesi grandi e piccoli fra cui ? distribuita la popolazione dell'Etna; la quale ha una densit? superiore a quella delle parti pi? popolate della Germania. ? una ferrovia che attraversa un paradiso terrestre, interrotto qua e l? da zone dell'inferno, e che da Catania donde parte fino alla costa dove si congiunge una strada ferrata del littorale, e da questo punto fino a Catania, ? tutta una successione di vedute meravigliose dell'Etna e del mare, di giardini e di lave, di piccoli vulcani spenti e di valli lussureggianti di verzura, di graziosi villaggi e di lembi di foreste di quelle antiche foreste di quercie, di faggi e di pini, che fornivano il materiale di costruzione alle flotte di Siracusa, e che le eruzioni dall'alto e la cultura dal basso hanno in grandissima parte devastate. La strada sale fino ad altitudini di oltre mille metri, discende, risale, passa attraverso a vigneti, a oliveti, a vaste piantagioni di mandorli, a boschi di castagni; corre per ampi spazi coperti dei detriti delle eruzioni, fra muraglie di lava alte come case, fra mucchi di materiale vulcanico rabescato, striato, foggiato in mille strane forme di serpenti e di corpi umani mostruosi, dove non appare un filo d'erba; fiancheggia altri spazi dove la natura ricomincia a riprendere i suoi diritti sulle ceneri e sulle scorie, gi? disgregate e decomposte dalla vegetazione nascente; passa sopra eminenze fiorite da cui si vedono sotto in conche verdi deliziose biancheggiar ville, chiesette, stradicciuole serpeggianti fra macchie brune d'aranci, di mandarini, di cedri, lungo corsi d'acqua argentati che paiono striscie di neve scintillanti al sole. E durante tutto il tragitto ? sempre visibile l'Etna, ma in cento aspetti diversi, cangianti secondo la generatrice del cono che essa ci presenta allo sguardo. La regolarit? della sua forma conica, quale si vede da Catania, non ? che apparente. A chi le gira intorno essa mostra successivamente enormi pareti dirupate, scalinate immense, piramidi dietro piramidi, che riescono inaspettate come trasformazioni istantanee; appare in qualche punto decapitata del suo cono supremo, in vari luoghi spezzata, ora tutta bianca di neve, ora bianca sulla cima soltanto, qualche volta cos? diversa dall'immagine fissa che se n'ha nella mente da far sospettare che quella che si vede sia un'altra montagna da cui essa rimanga nascosta! E quanti mirabili aspetti offre la sua cima ora colorata di rosa dal sole, ora ravvolta dal fumo, che s'innalza a vicenda come un gigantesco pennacchio, o s'allunga da un lato come uno smisurato gonfalone ondeggiante, o discende e s'allarga sui fianchi del cono in veli candidi leggerissimi d'una trasparenza di trina! E verso il termine di questo incanto di viaggio si sbocca in faccia al mare, donde si vede ancora disegnarsi lass?, sopra il candore delle nevi etnee, quanto resta dello smisurato castagneto di Cento Cavalli, e dall'altra parte la bellezza sovrana di Taormina, quasi sospesa nell'azzurro. Ed ecco infine la pi? meravigliosa costa dell'isola, sede dei suoi primi abitatori; maravigliosa per la pompa della vegetazione e per la poesia delle leggende: ecco il vago lido dove fu sbattuto il naviglio d'Ulisse, dove approd? Enea, e pascol? le capre Polifemo; ed ultimo l'arcipelago dei Ciclopi, le sette strane isolette rocciose, quella fantastica fuga di coniche teste nere decrescenti d'altezza, che sorgono dalle acque, come teste d'una famiglia di giganti sommersi, che rialzino la fronte per dare all'"Isola del sole,, l'ultimo addio.

O divina Sicilia! Quanti Italiani, che hanno corso il mondo per diletto, morirono o moriranno senza averti veduta!

DA SIRACUSA A TAORMINA

Quale delle citt? decadute, o scomparse, del mondo antico ha conservato, dopo Atene e Roma, una cos? vasta fama come Siracusa? C'? uomo in Europa o in America, tra i meno colti delle classi non affatto ignoranti, il quale nel naufragio delle memorie scolastiche non ritrovi quel nome, e legati con quello altri ricordi confusi d'uomini grandi, di grandi fatti, d'opere meravigliose dell'ingegno umano? E si pu? ben sapere che la grandezza della citt? famosa non ? pi? ora che nel suo nome; ma chi non la vide mai si avvicina con la mente cos? piena delle antiche memorie che, arrivandovi, dal contrasto del suo stato e del suo aspetto presente con la Siracusa della propria immaginazione riceve come la scossa d'un disinganno, dal quale durer? fatica a riaversi.

Ma questa Siracusa viva non ? la Siracusa vera. La vera ? quella grande Siracusa morta che le si stende di fronte -- congiunta a lei da un ponte gittato sul mare -- sopra quel vasto piano calcareo, dove sorgevano gli altri quattro quartieri della citt?: Acradina, Neapoli, Epipoli, Tiche: vasto triangolo isoscele, di cui la base ? bagnata dal mare e il vertice ? rivolto verso l'interno della Sicilia. Non credo che ci sia al mondo altra grande citt? decaduta che abbia dinnanzi a s? una cos? meravigliosa immagine del suo grande passato; non credo che esista un altro cos? ampio, cos? magnifico, cos? solenne cimitero istorico com'? questo dei quattro quartieri siracusani scomparsi; appetto al quale scompare alla sua volta la citt? vivente, o quasi si dimentica. Dico "Cimitero,, poich? le poche ville sparse, i due o tre alberghi, le due piccole chiese di Santa Lucia e di San Giovanni e le case rustiche qua e l? disseminate sono come perdute nell'amplissimo spazio. Le rovine colossali lo dominano intero. Dovunque volgiate il passo, anche per i piani erbosi e fra i vigneti, dove le rovine non sono visibili, voi le vedete ancora. Vedete le gradinate grandiose del teatro greco e dell'anfiteatro romano, scavate nella roccia, in gran parte ancora intatte, immagine d'un lavoro quasi sovrumano, che vi sgomenta e le pareti scoscese delle latomie profonde, e le vaste gallerie delle necropoli, e gli acquedotti enormi, e gli avanzi delle antiche mura dell'Acradina; e da tutti questi frammenti della sua ossatura gigantesca la visione della citt? intera vi sorge dinnanzi, con la sua sterminata cinta merlata e turrita, coi suoi porti affollati di navi, coi suoi templi superbi, coi suoi arsenali, i ginnasi, i mercati, i bagni, i giardini; immensa, bella e terribile, qual'era ai tempi di Dionisio il vecchio. La pi? maravigliosa delle rovine ? il forte d'Eurialo, posto verso la punta del triangolo rivolta ad occidente: una delle pi? ammirabili opere di architettura militare dell'ingegneria greca: chiave della difesa di Siracusa; dove le muraglie del lato sud si congiungevano. Dovrebbero risonare e scintillare le parole come colpi di scalpello nella pietra per descrivere l'aspetto di quelle quattro torri poderose, di quei fossati profondi scavati nel macigno, di quel cortile interiore dove si riconoscono ancora i ricetti dei cavalli e delle macchine, di quella rete di passaggi sotterranei, dove s'ammassava la cavalleria per le sortite improvvise. Tutto questo ? cos? forte, cos? fiero, cos? formidabile, cos? vivamente ed eloquentemente antico, che il primo senso d'ammirazione vi si muta a poco a poco in stupore, e in qualche momento vi scote un brivido come se la vostra vista intellettuale, per un miracolo, penetrasse a traverso i secoli trascorsi, e le palpitasse davanti di vita vera la storia, che non era prima per essa se non una visione di larve.

"Il sogno dell'antica grandezza!,, Sta bene, purch? non si dica come lo sogliamo dire per consuetudine dell'animo contratto nelle nostre scuole classiche, dove si canta un inno eterno al passato. C'era forse maggior felicit? in quella grande Siracusa antica di quello che ce ne sia nella piccola e modesta Siracusa sopravvivente? Non era forse vero in quella pi? che in questa che la vita, come disse un grande poeta, ? una festa per alcuni ed un duro peso per quasi tutti? La grandezza era pagata a prezzo di stragi inumane e quasi continue, di orribili guerre, non contro gli stranieri soltanto, ma contro genti dello stesso sangue e della stessa terra. La prosperit? era mantenuta col dissanguamento delle citt? soggette, comandate da piccoli tiranni, strumenti ciechi del maggior tiranno. A brevi periodi di libert? disordinata si alternavano lunghe dittature crudeli. I grandi monumenti d'arte di guerra erano frutto di fatiche inumane di migliaia di esseri equiparati alle bestie. L'arte era fiorente e onorata; ma Dionisio cacciava in carcere il poeta Filosseno perch? aveva criticato i suoi versi, e un nemico vittorioso distruggeva in pochi giorni o predava e portava in altre terre l'opera gloriosa di generazioni e di secoli.....

Non ricordo nella mia vita di viaggiatore ore pi? deliziose di quelle che passai la sera sulla terrazza del grand'albergo Politi, che sorge nell'Acradina, sopra la Latomia dei Cappuccini. Ah, questi alberghi, queste ville signorili che si alzano sopra le rovine antiche, e v'inaridiscono la sorgente pi? viva della poesia, che ? la solitudine! La famosa Latomia ? diventata come un annesso all'albergo, dove scendono signore e signorine a godere il fresco di giorno, e di notte i contrasti delle ombre e dei raggi di luna; sopra una delle rocce che vi si innalzano in mezzo ? stato fatto un piccolo giardino pensile, dove si va a prendere il caff?; nei silenzi della profonda cava, piena di memorie terribili, si spandono le note d'un pianoforte, e quelle delle canzonette napoletane con cui i musici girovaghi vengono la sera a rallegrar gli avventori. Che stonatura e che profanazione!... Ma ho forse diritto di protestare io che ne fui complice? Era cos? bella di notte, vista da quella terrazza, Siracusa, che pareva galleggiante sul mare, tutta scintillante di lumi, solitaria e silenziosa in mezzo alle acque che riflettevano il firmamento splendido; vicinissima, e pure in apparenza lontana, e queta come se dormisse, sognando i suoi duemila e settecento anni di storia! E sembrava che fossero suoi respiri i soffi d'aria molle che venivano a quando a quando nel viso, portandomi il profumo delle rose delle ville vicine e il sentore acre della vegetazione selvaggia lussureggiante sulle rocce di sotto! Che dolce notte, che tepida primavera, che divina chiarezza di cielo e di mare! E quanto m'appariva lontana la mia Torino, che vedevo in quei momenti come una citt? del pi? remoto settentrione, tutta bianca di neve e avvolta nella nebbia, quasi perduta ai piedi d'una catena di montagne di ghiaccio; dove non mi sarei ritrovato che dopo settimane e mesi di viaggio!

Fu quella la stazione pi? lontana del mio viaggio. Al ritorno non mi restava a vedere che Taormina, che ? a mezza via fra Messina e Catania. Ma non si spaventino i lettori: non avranno ancora da subire la descrizione di quel famosissimo teatro greco, in cui ? la scena meglio conservata di tutti i teatri antichi, e che ? per se stesso il pi? meraviglioso bel vedere d'Italia. Tutti ne avranno letto qualche cenno descrittivo in occasione del recente viaggio che fecero in Sicilia i Sovrani di Germania, i quali manifestarono per Taormina una viva predilezione. E poi, che ? mai il teatro dell'arte in confronto a quello della natura? Quello che si vede dalla sommit? della gradinata, e proprio dal punto che prospetta il mezzo della scena, ? uno spettacolo di cui non ha l'eguale n? Napoli, n? Rio Janeiro, n? Costantinopoli. Sotto, la piccola citt? ridente, che si stende ad arco fra i mandorli, gli aranci, i cactus, i pini; a tergo della citt?, un semicerchio di monti che slanciano al cielo i vertici rocciosi coronati di castelli e di villaggi; pi? in l? l'Etna enorme, col capo bianco tinto di rosa, che sovrasta al mar Jonio, e par che s'avanzi per immergervi il fianco; a destra e a sinistra quasi tutta la costa orientale della Sicilia, una successione infinita di curve, che sembra la ripetizione ritmica d'un pensiero gentile, dietro al quale il vostro sguardo va da un lato fino a Siracusa, dall'altro fino a Messina; e questa doppia immensa fuga di seni, di promontori, di boschi, di paesi, di giardini ride sopra la bellezza d'un mare e sotto la bellezza d'un cielo di cui non pu? dare idea la parola umana. Chi pu? maravigliarsi che davanti a un tale spettacolo l'Imperatrice di Germania abbia lasciato cadere a terra un diamante senza avvedersene? Questo mi disse quello stesso custode del Teatro che trov? il diamante fra i ruderi vicini alla porta e che lo riport? all'Augusta Signora. Ed egli stesso mi rifer? con alterezza di cittadino taorminese un motto che aveva udito il giorno innanzi da una bizzarra signora straniera incantata del panorama: motto ch'io metto qui come suggello al mio povero tentativo di descrizione. -- "Credo poco all'Inferno; ma credo al Paradiso perch? l'ho visto... ed ? questo,,.

Eppure davanti a quel "paradiso,, io pensavo ad altro. Ricordavo una scena che avevo vista la sera innanzi: di un signore coi capelli bianchi, arrivato all'imbrunire a Taormina, in carrozza; al quale erano andati incontro ragazzi del popolo, studenti, operai, cittadini d'ogni classe, e l'avevano accompagnato fino all'albergo, chiamandolo per nome, tendendo le mani verso le sue mani e gittandogli delle rose. E dietro quel ricordo me ne venivano altri: dello stesso viaggiatore che avevo visto arrivare a Messina, a Palermo, a Catania, a Siracusa, accompagnato anche l? da una folla di ospiti festanti, che lo salutavano come gli ospiti di Taormina, con quella stessa espansione d'affetto filiale e fraterno, con quegli stessi accenti in cui vibrava la voce del cuore, con parole che facevano spuntare le lacrime in altri occhi oltrech? nei suoi. Buono e semplice popolo! Gentile e amabile giovent?! Cos? caldamente innamorati d'ogni bell'ideale che amano ed onorano anche chi ne abbia fatto loro balenare appena un vago riflesso con poca arte e con malsicura coscienza; cos? ingenuamente generosi che ingrandiscono e abbelliscono con l'immaginazione uomini e cose, credendo che sia loro virt? intrinseca quello che essi mettono in loro di proprio! Ma v'erano altri sentimenti delicati in quelle dimostrazioni. Tutta quella giovent? sapeva che quel suo ospite aveva sofferto dei grandi dolori, e lo festeggiava per consolarlo; pensava, vedendogli i capelli bianchi, ch'egli non aveva pi? lungo tempo da vivere, e voleva che la sua vita fosse coronata da una delle pi? profonde e dolci soddisfazioni ch'egli avesse potuto mai desiderare, gli voleva lasciar nell'anima un ricordo che gli desse impulso a lavorare ancora infaticabilmente fino agli ultimi suoi anni; prevedeva che in quella cara terra egli non sarebbe ritornato mai pi?, e voleva che gliene rimanesse una immagine pi? bella, pi? cara ancora di quella che n'aveva riportata quarant'anni innanzi, al tempo della sua prima giovinezza. O cari fanciulli del popolo, operai, studenti, buoni amici sconosciuti d'ogni et? e d'ogni ceto, ospiti affettuosi e giocondi, come egli ha ben capito e sentito la gentilezza del vostro intento, e che profonda gratitudine ve ne serber? in cuore fin che gli anni e l'infermit? non gli abbiano spento l'ultimo barlume di memoria delle giornate luminose e felici che ha trascorse sotto la bellezza incantevole del vostro cielo e in mezzo alle vestigia gloriose della vostra storia!

INDICE

Da Messina a Palermo Pag. 5 Da Palermo all'Etna >> 37 Catania >> 73 Da Siracusa a Taormina >> 107

Nota del Trascrittore

Ortografia e punteggiatura originali sono state mantenute, correggendo senza annotazione minimi errori tipografici.

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