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Read Ebook: Storia degli Italiani vol. 12 (di 15) by Cant Cesare
Font size: Background color: Text color: Add to tbrJar First Page Next PageEbook has 808 lines and 189179 words, and 17 pagesSTORIA DEGLI ITALIANI PER CESARE CANT? EDIZIONE POPOLARE RIVEDUTA DALL'AUTORE E PORTATA FINO AGLI ULTIMI EVENTI TORINO UNIONE TIPOGRAFICO-EDITRICE 1877 I Pontefici. Ferrara e Urbino. Guerra di Castro. Contese pel giansenismo e per la regalia. Sentendo alto di s?, comportavasi con autorit? assoluta, dicendo: -- Io intendo gli affari meglio di tutti i cardinali uniti>>. Gli si faceva un'objezione tratta da antiche costituzioni papali? rispondeva: -- La decisione d'un papa vivo val meglio di quella di cento papa morti>>. Voleasi fargli adottar un'idea? bisognava esibirgli la contraria. Per tutta Europa era invocato arbitro; ma non che degnamente sostenere la sublime parte, cogli ambasciadori chiaccherava, dissertava, anzi che stringere, e volgeasi al s? e al no per capriccio, non per ponderazione. Disastravano allora le cose de' Cattolici in Germania; e Gustavo Adolfo di Svezia, vinti pi? volte gl'imperiali, minacciava voler celebrare i suoi trionfi a Roma. Urbano avrebbe dovuto profondere per la causa cattolica; ma le cose italiane, e massime il sacco di Mantova aveangli reso odiosi gli Austriaci. Di que' tempi al dominio papale s'aggiunsero Ferrara e Urbino. Nella prima risedevano i signori d'Este, tenendo i ducati di Modena e Reggio e la contea di Rovigo dall'Impero, il ducato di Ferrara dal papa. Sotto Ercole I, Ferrara contava fin ottantamila abitanti, ricchi edifizj, lieta compagnia; ma quando Montaigne qui viaggi?, trovava Ferrara spopolata, il Po di Prim?ro e di Vol?no interrito , giacch? Alfonso II occupava intorno ai proprj terreni e ad abbellire la Mesola i denari e i villani che i Comuni eran obbligati somministrare per mantener le dighe e regolare le acque; poi gravava i sudditi con balzelli sopra ogni oggetto, facea monopolio del sale, dell'olio, della farina, del pane; proibita la caccia, salvo pochi giorni ai nobili e con tre cani al pi?, e appiccato chi violasse le bandite. Abbondavano le ricchezze naturali; traendosi allume dalla Tolfa, sale da Ostia, Cervia, Comacchio, con pesche di cefali e anguille; lini da Faenza e Lugo; canapa da Cento e Butrio, dalla Pieve e dal Perugino; guado dal Bolognese e Forlivese; rape grossissime da Norcia e Terni; manna da San Lorenzo e Terra di Campagna; pignuoli da Ravenna, vini buoni dappertutto e prelibati da Cesena, Faenza, Rimini, Orvieto, Todi, Montefiascone, Albano; uva passerina da Amelia e Narni; bovi principalmente dalla Campagna, caccie dal Lazio verso Sermoneta, Terracina, Nettuno, dove coglievansi grossissimi cinghiali; le razze de' cavalli non iscapitavano da quelle del Regno; le selve erano inesauste di ghiande e legname da opera; eccellenti le piante da fabbrica. Cos? il Botero, il quale riflette come la Romagna, posta nel centro d'Italia, sia la meno esposta ai Barbari e la pi? atta a sommovere o tener in pace l'Italia; i suoi porti non darebbero asilo a un'armata assalitrice, e la malaria struggerebbe chi accampasse sulle coste. Eccellenti le fortezze; abbondanti guise di premiar o punire, di donare senza scapito, di conferire dignit? fin pari alla regia. Pure la capitale non trovasi nel centro; moltissimi i ladri: le fortezze non bastano; le paludi appestano i contorni di Ravenna, Bagnocavallo, Lugo, Bologna; scarsa ? la popolazione, che esce a servigio altrui. Colle case antiche legavansi in matrimonio i parenti che ciascun prelato e cardinale traeva dal nulla; altri occupavano posti lucrosi: gente nuova che cercava eclissar l'antica, donde gare di preminenza; fermare la carrozza per lasciare il passo a quella d'un nobile maggiore; aprire due battenti o un solo nell'introdurli; cedere il passo nelle comparse; e Matteo Barberini dopo fatto prefetto di Roma pretese la preminenza su tutti gli ambasciadori, sicch? stette a un punto che tutti non se n'andassero. Tra le case di nuova schiusa primeggiavano i Farnesi, duchi di Parma e signori di Castro e Ronciglione, feudo papale tra la Toscana e il Patrimonio di San Pietro, che giungeva sin alle porte di Roma, e rendeva da tre milioni. Alessandro Farnese, dopo combattuto eroicamente a L?panto e in Fiandra, e fabbricata la cittadella di Parma, mor? di soli quarantott'anni per ferite ricevute all'assedio di Rouen; e la sua statua equestre, opera di Gian Bologna, orna la piazza di Piacenza insieme con quella del figlio Ranuccio. Costui, che aspir? anche alla corona di Portogallo, e dal papa ebbe per s? e pei successori la dignit? di gonfaloniere quando spos? una Aldobrandini, favor? le lettere e l'educazione; ma memore di Pier Luigi, temeva sempre congiure, e considerando i sudditi come nemici, tali li facea diventare. Questo Tiberuccio , come essi il qualificavano, pretese scoprire una trama, della quale erano capi i Sanvitali, e partecipi le famiglie Torelli, Masi, Scotti, Sala, Simonetta, Malaspina, Correggio, Canossa; e coi modi che si suole prov? che, sull'effigie di Maria aveano giurato, in occasione del battesimo, trucidare lui e un suo neonato, e il cardinale Farnese, i ministri, i soldati, e saccheggiar le case. Invano la citt? e la nobilt? aveano mandato a chiedergli ragione di quegli arresti; non poterono che ottenere una forma di processo, dalla quale uscirono scolpati i men ricchi: ma i possessori de' pingui feudi di Colorno, di Sala, di Montechiarugolo furono decapitati o impiccati, compresa la bella Barbara Sanvitali, un tempo amata dal duca; un costei figlio fu schiacciato fra due pietre, l'altro evirato; trattine al fisco i beni, forse unica loro colpa. Poich? i parenti loro ne portavano doglianze al granduca, Ranuccio sped? a Cosmo una copia del processo per mezzo d'un ambasciadore; e Cosmo gli mand? di ricambio un processo, nel quale era provato in tutta forma che esso ambasciadore aveva ucciso un uomo a Livorno; egli che a Livorno non era stato mai. Dovunque sono secreti i processi, si rassegnino i principi a quest'orribile dubbio. L'infante don Ferdinando di Parma, quando il secolo passato mise di moda la filantropia, ordin? al generale Comaschi di riassumere quel processo; ed egli dichiar? che, quanto alle forme, la pena era stata legittima. Per allora gli amici e i parenti de' giustiziati si diedero a devastar il Parmigiano; i duchi di Mantova e di Modena domandavano soddisfazione dell'essere stati indicati come complici; e a pena il papa riusc? a sviare la guerra. Odoardo costui figlio, in lega coi Francesi , per far guerra agli Spagnuoli dovette contrarre debiti, ipotecandoli sul ducato di Castro. Questo facea gola ai Barberini, i quali speravano che il duca, ridotto in angustie, si rassegnerebbe a venderglielo; ma Odoardo, principe d'alti sentimenti, d'ostinata volont? e scaltra prudenza, mentre si guadagnava il vecchio pontefice col lodarne i versi e leggere seco e commentare il Petrarca, dispettava i nipoti, e neg? dar una figlia al governatore don Taddeo: poi stanco delle vessazioni de' Barberini, tutto armato con una trentina di seguaci presentossi allo sbigottito papa, e gli rifer? quel che nessuno osava, l'odio che i nipoti attiravano sul suo governo, mostrando che aveano fin attentato alla vita di lui. Viepi? inviperiti, i Barberini spinsero lo zio a molti provvedimenti che deteriorassero le rendite di Castro, massime a impedire d'estrarne i grani; di modo che i creditori, trovandosi diminuite le entrate, disdissero l'appalto e reclamarono un compenso. Odoardo allora munisce Castro di truppe e fortificazioni; il papa vi vede un atto di ribellione, e armati seimila fanti e cinquecento cavalli e artiglierie, scomunica Odoardo , e move per togliergli anche Parma e Piacenza. Ma il duca impegna fin le gioje per allestirsi alla difesa; riesce a trar dalla sua Modena, Parma, Firenze, Venezia, ingelosite dell'incremento del papa, e invade lo Stato del papa, il cui esercito, quantunque numerosissimo, si volta in fuga. Roma sbigottisce all'avvicinarsi del nuovo Attila, diceano i preti, del nuovo Borbone; il papa rifugge in Vaticano, non meno sdegnato contro il Farnese che contro i nipoti ingannatori: la guerra di quattro principi italiani contro un papa italiano, menata fiaccamente, mandava intanto all'ultima rovina il paese, ai soliti mali aggiungendosi i masnadieri, i cui capi assumeano l'insegna d'alcuno de' belligeranti. Alfine mediante Francia si rinnov? la pace , rimettendo le cose nel primo assetto: ma il paese rest? peggiorato di dodici milioni e molte vite, il papa umiliato. I Barberini erano aborriti per l'attentato, vilipesi pel mal esito; diceasi che quaranta milioni d'oro fossero passati nelle loro mani dalla Camera apostolica, rimasta indebitata di otto milioni; e perch? le loro entrate fra ecclesiastiche e laicali sommassero a quattrocentomila scudi, essersi gravato il popolo di straordinarie gabelle, alienate poi col fondare nuovi Monti, e venderli a particolari; sicch? dei due milioni d'oro che rendea lo Stato, un milione e trecentomila andavano a pagare interessi, residuandone appena settecentomila pei bisogni. Tutti aspettavano la vacanza per moderare la monarchia, in modo che il pontefice cessasse di poter quello che voleva; ma morto Urbano, i cardinali che aspiravano alla tiara non la voleano diminuita. Cotesti sono ben altri interessi che quelli in cui vedemmo faticarsi i papi ne' secoli di mezzo, quando chiamavano il mondo all'evangelica civilt?, e difendevano le franchigie dell'uomo contro i tiranni di qualunque maniera fossero, il regno della terra posponendo a quello de' cieli, cio? alla verit?, alla morale, alla giustizia. Dopo trent'anni di guerra civile e religiosa, che devast? non solo la Germania ma tutta l'Europa, fu conchiusa a Westfalia una pace , la quale, costituendo legalmente come protestante una met? dell'Europa, toglieva ai papi ogni speranza di ricuperare il mondo alla loro monarchia. Innocenzo protest? contro quell'atto, riprovando, annullando, destituendo d'ogni effetto gli articoli suoi come pregiudicevoli alla religione, al culto divino, alla salute delle anime, alla sede apostolica, e rimettendo nel primiero stato quanto concerne la sede romana, le chiese, i luoghi pii, le persone ecclesiastiche. I fulmini avevano conservato il fragore, ma perduto il colpo. La morale evangelica ? consigliera indefettibile del partito pi? umano, del pi? generoso; ma posta a cozzo coll'umana natura corrotta e cogl'interessi individuali, resta offuscata dai suggerimenti dell'opportunit?. Chiamato a dirigere al confessionale le coscienze individuali, e risolvere i dubbj particolari, qual terribile responsabilit? non pesa sul confessore, su cui potrebbe cadere la colpa d'un atto consigliato, o non impedito, o assolto! Peccato che l'uomo abbia, la Chiesa non vuole abbandonarlo alla disperazione, ma lo chiama a pentire e soddisfare; per? al pentito la riparazione non ? sempre possibile, n? in preciso grado pu? determinarsi. In molti paesi poi sussisteva l'Inquisizione con norme severissime; e il lasciare un anno senz'assoluzione il peccatore, lo esponeva a quel rigido tribunale. Convenne dunque studiar ripieghi e compensi, che salvando i diritti della coscienza, affidassero del perdono, senza allettare colla soverchia agevolezza. Maggiori esitanze sorgevano nelle regole della veridicit?, e nelle obbligazioni originate da promessa. Che questa, anche data per ignoranza, o carpita con frode o violenza, obblighi ad ogni patto, ? conforme al sentimento dell'abnegazione volontaria che il vangelo impone. Per? sentivasi necessario racconciarsi colle circostanze e colle passioni, se non altro per salvare l'imperio della coscienza. Gi? in troppi casi l'interesse avea trovato sofismi onde fallire a una promessa; il mondo era abituato a transazioni fra la legge della carne e quella dello spirito, e nell'esitanza appoggiarsi ad esempj, ad opinioni individuali: ma ai Gesuiti si di? colpa d'avere per sistema stabilito una morale condiscendente, che ne conserv? proverbialmente il nome. Nati nel secolo di Machiavelli e di Montaigne, faticando pi? che macerandosi, v?lti all'utile del genere umano ch'essi consideravano identico col trionfo della santa Sede, quanti ostacoli avrebbero trovati insuperabili se non avessero accettato per iscusa la rettitudine del fine! Chiamati a dar parere ai grandi, poteano sempre conciliare colla stretta onest? le convenienze e le inesorabili necessit? della politica? e col ripudiare quest'insigne ministero, doveano privarsi di un s? potente mezzo di servire alla Chiesa e all'umanit?? Che che ne sia, col probabilismo non hanno a fare coloro che stillano sofismi per iscagionare i delitti, o camuffano la bugia in restrizioni mentali ed espressioni ambigue: e certamente quel secolo fu assai meno machiavellico del precedente. Ma quistioni tanto vitali in tempo che tutti andavano al confessore, non ? meraviglia se porsero lungo esercizio ai teologi non solo, ma ed ai parlamenti ed al bel mondo: e qualche anima superbamente inane cerc? fino ripascolarne l'et? nostra, in ben altri interessi e in ben pi? profondi dubbj sommersa. La Chiesa, ringiovanita nel concilio di Trento, riprodusse le antiche pretensioni per le immunit? giurisdizionali: ma i principi erano meno che mai disposti a consentirvi; l'Impero e fin la Spagna cercavano restringere l'indipendenza de' nunzj; Francia ne sottraeva le cause matrimoniali, gli escludeva dai processi per delitti, mandava preti al supplizio senza prima degradarli, pubblicava editti sull'eresia o la simonia, Venezia limitava le nomine riservate a Roma; insomma anche i principi cattolici sottraevansi alla dipendenza nelle cose ecclesiastiche; e il papato aveva a difendersi da sempre nuovi attentati, dove l'opinione era subordinata alla politica. Tutta Europa curvavasi al prepotente Luigi, solo questo vecchierello osava resistergli, invocando il crocifisso a dargliene forza; e non v'? opposizione che ai violenti spiaccia quanto la tacita e negativa. Luigi dunque ricorre agli spedienti regj, occupa Avignone e il contado Venesino, terre di Francia appartenenti al papa, e minaccia mandare un esercito in Italia per risuscitare le pretensioni dei Farnesi sopra Castro. Non per questo Innocenzo pieg?: intanto le chiese di Francia rimangono vedove; Luigi, che alle sue stragi in Linguadoca e tra i Valdesi avea pretessuto lo zelo di cattolicismo, allora si trovava al cozzo col capo di questo, e i timorati paventavano d'uno scisma; sicch? alfine il superbo monarca restitu? Avignone, consent? d'abolire quelle immunit?, e quanto alla Dichiarazione del clero ader? < Venezia e i Turchi. La libert? ha bisogno d'espandersi fuori per non rodersi entro; lo perch? le repubbliche lombarde perirono, durarono Venezia e Genova, ch'erano come la Liverpool e la Nuova York del medioevo. Ancora la piazza San Marco era come la sala ove si davano la posta tutti i popoli del mondo; ivi pensatori liberi, libera stampa, non prepotenza di feudatarj, non ladrerie di cortigiani; l'Europa tutta ormai foggiata a monarchia, non la temeva come quando resistette sola alla lega di Cambrai; pure venerata per la sua prudenza, anche per armi facevasi rispettare in Levante. In terraferma possedea Padova, Vicenza, Brescia, Verona, Bergamo, Treviso, Belluno, Crema, il Friuli; oltremare il regno di Creta, l'isola di Corf? ed altri possessi in Grecia, in Slavonia, in Dalmazia. In ogni provincia Venezia spediva un podest?, sotto il quale raccoglievasi il consiglio de' nobili, rappresentante di ciascuna citt?, e un capitano che presedeva ai rappresentanti del territorio. E citt? e territorj tenevano nunzj e patrocinatori nella dominante, oltre scegliersi un patrono fra que' nobili. Sotto un'amministrazione savia, economica, stabile, le provincie sarebbero prosperate; ma non trovavansi assicurate contro i nemici, che da ogni parte le stringeano: oltre che Venezia ignor? che una repubblica pu? farsi conquistatrice sol per aumentare di cittadini, non di sudditi; n? provvide d'associar il fiore delle provincie alla sua sovranit?. Fu gran tempo onnipotente il senator Molino, uomo di Stato che abbracciava nelle sue vedute l'intera Europa, e fece tenere in equilibrio la Spagna, e spendere meglio di dieci milioni di ducati in sussidj ora alla Savoja, or agli Svizzeri, or all'Olanda. Altero della sua nobilt?, mai non comunicava coi popolani; eppure n'era riverito ed anche amato, perch? all'occasione li proteggeva e soccorreva, e rendea persuasi di operare per pubblico bene, giacch? nulla cercava per s?. Intanto per? era padrone del broglio; le cariche principali facea cadere su' suoi amici; fu lui che ispir? fr? Paolo, massime nella lotta contro Paolo V, e morendo non lasci? ricchezze. Il doge era a vita, ma gi? nella promissione del 1229 era prefisso che, qualora sei del minor consiglio fossero d'accordo coi pi? del maggiore nel chiedergli la rinunzia, egli non potesse ricusare. Per nominarlo, il gran consiglio cavava a sorte trenta de' suoi membri, i quali colla sorte ancora riducevansi a nove; e questi a voti nominavano quaranta patrizj, che a sorte venivano ridotti a dodici; i dodici ne sceglievano venticinque, in cui se ne sortivano nove, che ne nominavano quarantacinque, colla sorte ridotti a undici; i quali sceglievano quarantuno, che eleggevano il doge colla maggioranza di venticinque. Conosciuti i primi trenta, potevansi prevedere anche le elezioni successive; onde il broglio s'incaloriva sopra que' pochi. Erasi bens? stabilito dai Dieci che i quarantuno dovessero essere ballottati uno per uno dal gran consiglio, ma ordinariamente non si faceva che confermarli. Il clero stava sottomesso e pagava; solo ogni cinque o sette anni la Signoria dovendo domandare da Roma licenza di levare le decime sui beni di quello, non eccettuati i cardinali. Era escluso dal governo: i parroci della citt? erano eletti dai possidenti di case nella parrocchia senza distinzione di nobili, cittadini o popolani; benefizj e dignit? non davansi che a natii; si vigilava su quei che ne sollecitassero da principi stranieri; si sgradiva che ottenessero cappelli cardinalizj, perch? od erano premj della ligezza usata verso la Corte romana, o nei consigli di questa portavano persone informate de' secreti della Signoria: onde la repubblica fu immune come dalla tirannide militare, cos? dalle brighe pretesche. Durava la potenza del consiglio dei Dieci, le cui procedure, che che se ne romanzi, erano meno violente che in altri paesi. L'11 settembre 1462 era stato decretato: -- Ogniqualvolta parer? ai capi del consiglio dei Dieci di far ritenere alcuno per cose spettanti allo Stato e al Consiglio, debbano venire alla Signoria, e dire quello che hanno contro di quello e quelli. E ci? che li quattro consiglieri almeno e due capi delibereranno, sia eseguito; e li capi immediatamente avanti che passi il terzo giorno siano tenuti, in pena di ducati cento, a chiamare il Consiglio e proponer ci? che avranno in tal materia di quelli che saranno riterati>>. Era tra gli obblighi dei Dieci il visitar le prigioni, riferire dei processi pendenti, sollecitarne la spedizione. Le denunzie che si deponevano nelle famigerate bocche de' leoni, quando fossero anonime non aveano corso se non concernessero casi di Stato, e voleansi cinque sesti dei voti per procedere su di esse; quando firmate, discuteasi se darvi seguito; al che voleansi quattro quinti dei voti. Abbiamo veduto come quel tribunale divenisse parte del governo. Ma nella guerra di Cipro essendosi trovato in discapito l'erario, tanto che l'interesse del debito pubblico saliva ad un milione, erane incolpato il consiglio dei Dieci: onde si fece concerto per escluderlo dai poteri ch'erasi arrogato; e col non dare sufficienti voti, il maggior consiglio abol? le Giunte , ch'e' solevasi aggregare, e il denaro pubblico fu dato a maneggiare a magistrati dipendenti dal senato; sicch? privi delle attribuzioni camerali, delle legislative, delle politiche, i Dieci trovavansi ridotti a tribunale supremo pei delitti di Stato, e tribunale ordinario pei nobili. Impedire i sovvertimenti dello Stato, proteggere la quiete interna era lo scopo di quell'arcana podest?; e tra i carnevali e le feste, quelle denunzie e procedure segrete non solo faceano tremare il delinquente, ma neppure lasciavano all'innocente quella sicurezza ch'? la pi? chiara propriet?. Era mestiere lucroso l'origliare alle case, ormare i passi, e farsi cos? stromenti alle passioni. Ai residenti in paese straniero proibivasi dare informazioni ad altri che alla Signoria, la quale giudicava se comunicarle. Girolamo Lippomani , balio a Costantinopoli, al re di Spagna fece sapere che il Turco radunava armi; e i Dieci fecero arrestare e tradurre a Venezia esso balio , il quale per viaggio buttossi in mare. Le spie denunziarono Antonio Foscarini che arcanamente andasse dall'ambasciatore di Francia, colpa capitale in un nobile. C?lto dai Dieci, egli confess? essere andato notturno da quelle parti per trovare una dama; e poich? l'onore facevagli un dovere di non nominarla, fu impiccato come traditore. Poco poi la verit? venne in chiaro, e sminu? il credito che i Dieci aveano ripreso col vigore mostrato nelle chiassose vertenze con Roma. Renier Zeno appose al doge Giovanni Cornaro di violare la legge fondamentale del 1473 col lasciar vestire cardinale suo figlio Federico vescovo di Bergamo, e sortito capo dei Dieci, l'ammon?. Quegli risponde; s'impegnano; Giorgio Cornaro trafigge lo Zeno, ed ? condannato in contumacia, ergendo una colonna infame sul luogo del delitto; e ne sorgono due fazioni dei Cornaristi e degli Zenisti, i quali ultimi col denaro rappresentano i popolani, intenti a mozzare l'aristocrazia colla mannaja dei Dieci. Cinque correttori furono eletti per rivedere le leggi della repubblica, mostrando come si lasciassero impuniti i delitti, a segno che accadeano pi? omicidj in un anno nel Veneto che in tutta Italia; poi nell'elezione del 1628 nessuno dei Dieci ottenne voti sufficienti; talch? quel consiglio restava abolito: ma il popolo ne gemette perch? lo teneva come sua salvaguardia contro l'esorbitare de' nobili; i patrizj stessi bramavano recate a quello tutte le cause loro criminali, anzich? andare confusi ne' tribunali ordinarj. Fu dunque ripristinato, ma con divieto d'ingerirsi nelle leggi del gran consiglio, n? d'amplificarle o restringerle; non avesse pi? ispezione sui magistrati, non desse salvocondotti o grazie a banditi. Le forme di governo, sebbene invecchiate e inservibili, forse non era possibile riformarle secondo i tempi, e intanto davano una stabilit? non priva di merito. La cambiata via della navigazione, la differente costruzione di legni portata dai viaggi transatlantici, la potenza crescente della confinante Austria, la vicinanza dei papi divenuti signori di Ferrara, toglieano a Venezia molti vantaggi derivanti dalla sua postura, dal commercio, dalla stabile amministrazione. Il popolo vedea diminuirsi i mezzi di guadagno; l'aristocrazia si restringeva, in poche mani concentrandosi gli onori, mentre una ciurma di nobili pezzenti vivea del broglio, del sollecitare cause, del corrompere la giustizia. Perch? anche natura paresse congiurare cogli uomini, una sformata procella nel 1613 conquass? quante navi si trovavano nei porti del Mediterraneo. Eppure Venezia pareva ancora regina dei mari, bench? realmente gliene avessero tolto lo scettro Olanda e Inghilterra: le due prime navi che Pietro czar pose sul mar Nero, uscivano dai cantieri di Venezia, dove egli sped? sessanta giovani uffiziali per istruirsi. La capitale, che nella peste del 1576 perdette da quarantamila abitanti, e sessantamila in quella del 1630, nel 50 ne contava da cencinquantamila, aumentati d'un quarto verso l'80. Oltre aver estinto i debiti della passata guerra, dava segno di prosperit? con rialzare il palazzo ducale, compire la piazza San Marco, il ponte di Rialto, la chiesa votiva del Redentore. Secondo l'informazione del Bedmar, entravano alla repubblica da quattro milioni di ducati, de' quali quasi met? traevansi dalla sola metropoli; ottocentomila dagli Stati di mare: e spendea meno di tre milioni, fra cui 127,660 per l'arsenale, 120,245 per compra di legname, canape, chiodi, pece, 267,396 per l'esercito ordinario, 400,000 per donativi alla Porta, 40,000 per la cassa che prestava a chi avesse bisogno: circa 200,000 si erogavano in comprar frumento pel pubblico o in fabbricare biscotto per l'armata. L'avanzo riponeasi in un cassone, il quale si toccava soltanto nelle occorrenze straordinarie, che la malevolenza e l'ambizione altrui non le lasciava mancare. In maggiori necessit?, come la guerra contro il Turco, ricorreasi ad imprestiti, vendite dei beni comunali, tasse sul clero e sull'aristocrazia; e creavansi nuove dignit? da vendere a questa. Anche quando tacesse la guerra, continuava la pirateria. Don Pier Toledo nel 1595 stabil? vendicarsene, e c?lto il destro che i Turchi v'erano accorsi alla fiera, sbarc? a Patrasso, e pose a guasto le robe e gli averi di essi e di Greci e d'Ebrei, vantandosi aver ucciso quattromila persone e bottinato per quattrocentomila scudi. Latrocinj opposti a latrocinj. Nel 1601 si pens? osteggiare Algeri, che un capitano Rosso francese asseriva facile a sorprendere. Da Spagna ne venne l'ordine a Giannandrea Doria, comandante alla regia squadra di Genova, provveduta dal Fuentes di fanteria lombarda; a Napoli, in Sicilia, a Malta si allestirono legni; sicch? sopra settantuna galee s'imbarcarono diecimila soldati oltre molti nobili venturieri, e fra questi Ranuccio Farnese di Parma e Virginio Orsini duca di Bracciano. Mossi al fin d'agosto, ebbero travers?a di mare, e subito si sciolsero con beffa della cristianit? e dopo avere inutilmente irritati gli Algerini. Nel 1607 Ferdinando I di Toscana tent? sorprendere Famagosta credendola mal guardata; ma ne fu respinto con grave danno, e provocando castighi sui Cristiani dell'isola, sospetti d'averlo favorito. Volle rifarsene l'anno seguente collo spedire Silvio Piccolomini, gi? illustratosi nelle guerre di Fiandra, ad attaccare Bona in Africa, che infatto fu saccheggiata ed arsa. Incessante molestia intanto ai Turchi recavano le galee de' cavalieri di Malta e di Santo Stefano; ma se li danneggiavano talora, se gl'irritavano sempre, non bastavano a impedirne i guasti: alcuna fiata facean essi medesimi da pirati, massime a danno di Venezia, colpevole di starsi in pace coi Turchi. Essa in fatto con Solimano il Grande aveva patteggiato libero commercio , e di tenere a Costantinopoli un bailo triennale, tributando diecimila ducati l'anno per il possesso dell'isola di Cipro e cinquecento per Zante. Dopo la terribile guerra di Cipro, accortasi che dai Cristiani poteva aspettare esortazioni e poesie, ma non ajuti, rinnov? pace col Turco , cedendo Cipro ed altri luoghi gi? perduti, crescendo a mille cinquecento ducati il tributo per Zante; ma con isborsarne ottomila si redense da quello per Candia. Quest'isola, ampia ben sessanta leghe, e situata in modo di signoreggiare l'Arcipelago, con grosse citt?, bei porti, pingue territorio, centomila abitanti, era, si pu? dire, l'ultimo avanzo delle conquiste in Oriente; e Venezia dovette profonder oro e sangue per conservarla traverso a venti ribellioni de' paesani, che la consideravano come tiranna straniera, e che ricordavansi d'esservi stati sovrani. Giacomo Foscarini, mandatovi con potere dittatorio, vi proclam? ordinamenti, che non era facile far osservare. Il tenerla costava grandemente allo Stato; ma i governatori traevano guadagni a danno de' paesani, i quali speravano fin ne' Turchi. I cavalieri di Malta imbatterono un galeone turco, che accompagnato da due minori e da sette saiche, portava una favorita del sultano al pellegrinaggio della Mecca con ricchissimo carico. L'assalirono, e perdendo sette cavalieri, censedici soldati oltre ducensessanta feriti, misero a morte da seicento nemici, trecentottanta ne presero schiavi, e un bottino di tre milioni d'oro, e la donna che mor?, con un figlio che battezzato fin? domenicano. Lev? vivo applauso la cristianit?; ma Ibraim dichiar? guerra all'Ordine e ai Veneziani perch? i cavalieri aveano menato quel bottino in un porto di Candia; e trecenquarantotto navi con cinquantamila Turchi, fra cui settemila gianizzeri e quattordicimila spah?, veleggiarono sopra Candia, e approdati cinsero la Canea. La repubblica era accorsa alla difesa; e il patriarca pel primo, il clero, i gentiluomini fecero offerte e sagrifizj generosissimi; oltre vuotar il cassone, si chiesero prestiti all'uno per cento perpetuo o al quattordici per cento vitalizio; venduta a prezzo la dignit? de' procuratori di San Marco, cresciuti a sei poi fino a quarantuno, e il diritto d'entrare prima dell'et? nel gran consiglio; ammessi tra i nobili quei cittadini o sudditi che pagassero per un anno lo stipendio di mille soldati, donde si trassero otto milioni di ducati aggiungendo settantasette famiglie al libro d'oro: si obbligarono le manimorte a dare tre quarti de' loro argenti, poi si ridussero a cartelle i depositi de' minorenni e delle cause pie; si assolsero delinquenti e banditi, s'invocarono i potentati cristiani. Spagna somministr? cinque galee, Toscana sei, altrettante l'ordine di Malta, cinque il papa, che autorizz? a levare centomila ducati sul clero; i Francesi mandarono centomila scudi, quattro brulotti e licenza d'arrolare uomini in Francia, tutto per? sott'acqua, atteso l'amicizia che questa tenea colla Porta. Se non che gli alleati erano scarsi di provvigioni e perdevansi in discordie; e prima che potessero operare, la Canea, fracassata per cinquantasette giorni, avea dovuto capitolare; i Turchi vi acquistarono trecensessanta cannoni e munizioni e spoglio, e un robusto punto d'appoggio. Allora Del? Ussein, gi? basci? di Buda, pose a Candia un assedio , paragonato per lunghezza e accidenti a quello di Troja, e abbellito da splendide geste delle flotte venete. Francesco Erizzo, doge ottagenario, fu posto capitan generale, e morto lui, la carica pass? a Giovan Capello, poi a Battista Grimani, poi a Francesco Morosini, che vi s'illustr?, come tutta la sua famiglia. La capitana di Tommaso Morosini tenne testa contro cinquantadue galee nemiche, e con pi? di mille cinquecento vite di Turchi si pag? la vita di quel prode: Giacomo Riva con una squadriglia di venti navi sbaraglia la flotta di ottantatre, distruggendole a Focea quindici galee e settemila vite, col perdere solo quindici uomini. Eroi si mostrarono pure Leonardo Mocenigo capitan generale e Lazzaro Mocenigo, di petto a Mehemet K?proli, succeduto a Ussein dopo che Ibraim lo scann? per castigo della lentezza; e gloriosi fatti vantano i Contarini, i Tiepoli, i Badoero, i Soranzo, i Pisani, i Dolfino Valieri, i Bembo, i Foscarini, i Giustiniani. Assediavasi fin lo stretto di Costantinopoli; i Morlacchi ed altre popolazioni sollevate offrivano a Venezia ausiliarj feroci e pericolosi, che assassinando, rubando, incendiando, rendevano pi? orribile la guerra, e provocavano riazioni de' Turchi, che alzarono una piramide di cinquantamila teschi di Cristiani, e che faceano sostenere od impalare gli ambasciadori. Venezia, costretta a tener in piedi ventimila uomini, logorava da quattro in cinque milioni l'anno in denaro, il triplo in munizioni, cio? pi? che nei tre anni della guerra di Cipro, bisognando a Candia mandar ogni cosa, fin il biscotto e la legna; oltre che restavano interrotti i commerci di mare; e sebbene essa vincesse le pi? volte, i Turchi rinnovavano sempre armamenti, talch? di allargar Candia non s'aveva speranza. Il vulgo che ? numerosissimo, e che sottopone il cielo ai poveri computi della nostra aritmetica, vide alcun che di misterioso nel numero 1666; e i Cristiani quell'anno aspettavano l'Anticristo, i Musulmani il Degial, gli Ebrei il Messia: orridi tremuoti alla Mecca e in Egitto, parvero giustificare lo sgomento. Atterrito ai progressi de' Musulmani, il papa non rifiniva d'esortare a questa crociata; prodi volontarii vi venivano; il duca di Savoja, che da trent'anni stava in broncio con Venezia pel titolo di re di Cipro, pose da banda le pretensioni, e sped? due reggimenti e il generale Francesco Villa, il cui avo ferrarese aveva sostenuto bella parte alla battaglia di Lepanto, e il cui padre aveva servito di consiglio e di spada a Cristina di Savoja finch? mor? all'assedio di Cremona. Il Villa difese opportunamente Candia; ma nel maggior frangente il duca lo richiam?, forse sperando che Venezia, per trattenerlo, consentirebbegli il disputato titolo regio. La guerra di mare avea mutato guise, merc? il perfezionamento dell'artiglieria; e bench? questa servisse ancora assai lentamente, e due flotte in un'intera battaglia non tirassero quanto oggi due navi in due ore, si dismise quell'infinit? di barche, per farne poche ma grosse, quali erano le sultane dei Turchi; e Venezia ne allestiva sin da settantaquattro cannoni. Ma le giornate spesso si decidevano coll'arrembaggio, talch? ancora assai contava il valor personale, non rare volte i minori poterono prevalere ai pi? grossi; i cavalieri di Malta e quei di Santo Stefano tennero testa vantaggiosamente ai Turchi anche pi? numerosi; e solo nel secolo seguente fu l'arte ridotta a quel punto, che assicura la vittoria alla superiorit? del numero e del fuoco. Nel lungo assedio di Candia si sfoggi? l'arte pi? raffinata: i Turchi ebbero mortaj che lanciarono bombe fin di ottocento libbre; primi si valsero delle parallele che avean imparate da un ingegnere italiano; ed oltre abilissimi artiglieri, erano espertissimi nelle mine e nelle strade sotterranee; i nostri gl'imitavano, e il suolo era tutto solcato di mine, che tratto tratto scoppiavano dove men s'aspettasse, e sotto terra combattevasi quasi altrettanto che sopra. < La guarnigione, ridotta a tremila uomini da s? lunga guerra, mentre il paese era consunto dalla peste, respinse ancora l'ultimo assalto de' Musulmani: alfine il Morosini solo e abbandonato dovette capitolare . La stima per lui fece agevole il K?proli nelle condizioni; partirebbero i Veneti da Candia a bandiera spiegata quando il tempo fosse propizio; chi volesse potrebbe per dodici giorni uscirne con armi e robe e gli arredi sacri; la repubblica conservava nell'isola i tre porti di Spinalonga, Suda e le Grabuse, le conquiste fatte sulle rive della Bosnia e Clissa; scambiati i prigionieri, ripristinate le relazioni di commercio e amicizia. I quattromila cittadini sopravvissuti mutaronsi tutti a Parenzo, e K?proli ridusse la cattedrale di Candia in moschea. Vincitrice di dieci battaglie, sostenuta per venticinque anni la guerra contro tutte le forze ottomane, Venezia scapitava di possessi non di gloria, ch? una lotta ineguale per difesa della libert? e dell'incivilimento onora anche chi vi soccombe. Ma il popolo sent? con dolore furibondo questa perdita, quasi ruina della repubblica; dappertutto urli e pianti, come se il nemico fosse a Lido. L'intrepido Morosini, che va fra i maggiori eroi d'Italia, e che da K?proli aveva ottenuto doni e quattro dei cenquaranta cannoni della fortezza, fu accusato al gran consiglio di vigliaccheria nella difesa e corruzione nell'arresa, e d'avere trasceso i suoi poteri stipulando col Turco senza facolt? del senato; il vulgo, che nelle gravi sventure vuol sempre chi bestemmiare od uccidere, lo grida traditore, e ne domanda la testa. Messo prigione, Giovanni Sagredo coraggiosamente affront? la pubblica opinione per salvarlo, sicch? potette presto ricomparire terror dei Musulmani. Vincere contro gli ordini parve colpa a Vienna, e quando Eugenio, dopo conquistata la Bosnia, torn? all'imperatore e consegnogli il suggello ottomano, Leopoldo neppur d'una parola il degn?, poi sped? un uffiziale a chiedergli la spada. Ne fremette Vienna, e fece folla attorno al palazzo, sicch? Leopoldo depose l'impertinente rigore, e neg? ai gelosi ministri di punir come traditore < Non maestro della migliore tattica, conosceva per? i luoghi e le persone, stava continuo sull'avviso, i proprj falli riconosceva e riparava, di quelli de' nemici profittava per superarli nel momento di lor debolezza; d'attivit? senza pari, di gran coraggio e presenza di spirito, pronto a cogliere il buon momento, prendea gran cura dei feriti e degli ammalati, volendo soffrir egli stesso piuttosto che far soffrire i soldati. Uomo, del resto, moderatissimo, di carattere irreprensibile, non tollerava complimenti sopra le sue vittorie: per franchezza ledeva sin la civilt?, inimicandosi cos? la ciurmaglia cortigiana; colto e di gran memoria, appassionato delle scienze e delle arti belle, e quanto valoroso in campo tanto prudente nel governare, perpetuamente consigliava la pace. Intanto anche Venezia aveva continuato la guerra sul mare felicemente sotto Giacomo Cornaro, sciaguratamente sotto Domenico Mocenigo; onde il Morosini Peloponnesiaco, grave di settantacinque anni e di molti acciacchi, fu pregato a riprendere l'invitta spada. Con ottantaquattro navi egli arriv? a Napoli di Romania, ma la morte il colse sul campo di sua gloria . Antonio Zeno, succedutogli nella capitananza, mantenne l'ardore degli eserciti, prese Scio, ma non pot? o non seppe difenderla dai Turchi; onde richiamato, mor? prigione mentre gli si formava il processo. Ai raddoppiati sforzi de' Turchi per ricuperar la Morea si oppose felicemente Alessandro Molino; ma le momentanee prosperit? non conducevano a durevoli risultamenti. Add to tbrJar First Page Next Page |
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