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Munafa ebook

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Read Ebook: Le lotte di classe in Francia dal 1848 al 1850 by Marx Karl

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Ebook has 224 lines and 47809 words, and 5 pages

BIBLIOTECA DELLA CRITICA SOCIALE

CARLO MARX

LE LOTTE DI CLASSE IN FRANCIA dal 1848 al 1850

RIVISTA POLITICA-ECONOMICA, AMBURGO, 1850

CON PREFAZIONE DI FEDERICO ENGELS

PROPRIET? LETTERARIA

Tipografia degli Operai , corso Vittorio Emanuele 12-16.

PREFAZIONE

Torner? sempre impossibile risalire fino alle ultime cause economiche quando si prendano a giudicare avvenimenti e serie d'avvenimenti contemporanei. Oggi ancora, mentre pubblicazioni speciali offrono un materiale cos? ricco, non sarebbe consentito, nemmanco in Inghilterra, di seguire giorno per giorno il cammino dell'industria e del commercio nel mercato mondiale ed i cangiamenti introdotti nei metodi di produzione, in guisa da poter tirare, per ogni momento determinato, la risultante definitiva di questi fattori multiformi, complessi, e in continua mutazione, dei quali poi, inoltre, i pi? importanti esercitano, generalmente durante lungo tempo, una azione latente, prima che all'improvviso erompano alla superficie. La visione netta della storia economica di un dato periodo non ? mai contemporanea; essa non pu? formarsi che successivamente, quando sia gi? radunato e studiato il materiale. La statistica ? qui l'ausiliare necessario, ed essa non ci vien dietro che zoppicando. Per il periodo storico in corso sar? quindi, anche troppo spesso, inevitabile considerare cotesto fattore, sovra ogni altro decisivo, come costante, considerare cio? la situazione economica, trovata agli iniz? d'un dato periodo, come fissa ed immutabile pel periodo intero, o tutt'al pi? fermarsi a quelle mutazioni di essa, le quali, emergendo dall'evidenza degli avvenimenti che vanno svolgendosi, si presentino alla lor volta evidenti. Il metodo materialistico, pertanto, dovr? troppo frequentemente limitarsi a ravvisare nei conflitti politici lotte di interessi delle classi sociali e delle frazioni di classi, la cui esistenza, dipendente dall'evoluzione economica, ? di gi? constatata ed a considerare i singoli partiti politici come l'espressione politica, pi? o meno adeguata, delle medesime classi o frazioni di classi.

S'intende da s? che tale inevitabile trascuranza delle mutazioni contemporanee nella situazione economica, della vera base cio? di tutti gli avvenimenti presi ad esaminare, deve di necessit? essere una fonte di errori. Ma questo vale per tutti gli elementi di una esposizione sintetica della storia contemporanea; il che non trattiene per? alcuno dallo scriverla.

Allorch? Marx intraprese il presente lavoro, l'accennata fonte d'errori era ancora pi? inevitabile. Era semplicemente impossibile seguire, durante il tempo della rivoluzione dei 1848-49, le correnti economiche contemporanee od anche solo abbracciarle con uno sguardo generale. Lo stesso dicasi pei primi mesi del suo esilio a Londra, nell'autunno e nell'inverno del 1849-50. Ora questo fu appunto il tempo in cui Marx incominci? il lavoro. E, malgrado tali circostanze sfavorevoli, la precisa comprensione, che egli aveva, sia della situazione della Francia prima della rivoluzione di febbraio, sia della sua storia politica dopo quella rivoluzione, gli permise di dare un'esposizione degli avvenimenti, che rivela l'intima loro connessione in un modo anche dipoi non raggiunto e che ha luminosamente sopportata la duplice prova, a cui egli stesso pi? tardi la sottopose.

La prima prova ? dovuta alla circostanza che, a partire dalla primavera del 1850, Marx ebbe agio di nuovamente attendere agli studi economici degli ultimi dieci anni. In tale occasione, i fatti stessi gli fornirono la completa dimostrazione di ci? ch'egli, sino allora, aveva ricavato per induzione quasi aprioristica da materiali imperfetti: che, cio?, la crisi del commercio mondiale nel 1847 era stata la vera madre delle rivoluzioni di febbraio e di marzo, e che la prosperit? industriale, ricomparsa successivamente dopo la met? del 1848 e giunta al suo apogeo nel 1849 e 1850, era la forza vitale della reazione europea, nuovamente rinvigorita. Ci? era decisivo. Mentre infatti nei primi tre articoli traspare ancora l'attesa d'una prossima risurrezione d'energia rivoluzionaria, l'illusione ? rotta una volta per sempre dalla rassegna storica, scritta da Marx e da me nell'ultimo fascicolo doppio pubblicato nell'autunno del 1850: <> Ma questo era altres? l'unico mutamento sostanziale che si dovette introdurre. Quanto al significato attribuito agli avvenimenti nei capitoli anteriori e al loro nesso causale ivi posto in sodo, nulla era assolutamente da mutare, come ? provato dalla continuazione del racconto dal 10 marzo all'autunno del 1850, pubblicata nella medesima rassegna e ch'io perci? inserii, come quarto articolo, nella presente ristampa.

La seconda prova fu ancor pi? decisiva. Tosto dopo il colpo di Stato di Luigi Napoleone del 2 dicembre 1851, Marx rifece la storia di Francia dal febbraio 1848 fino a quell'avvenimento, che provvisoriamente chiude il periodo rivoluzionario . In quell'opuscolo ? nuovamente trattato, sebbene pi? succintamente, il periodo svolto nel nostro scritto. Si confronti la seconda esposizione, scritta sotto la luce di quel fatto decisivo avvenuto un anno pi? tardi, colla presente e si trover? che l'autore aveva ben poco da cangiare.

Allorch? scoppi? la rivoluzione di febbraio, tutti noi ci trovavamo, quanto ai nostri criter? sulle condizioni ed il corso dei moti rivoluzionari, sotto l'influenza dell'esperienza storica passata, ed in ispecialit? di quella della Francia. Era quest'ultima appunto, che dal 1789 aveva dominato tutta la storia europea e da essa era nuovamente partito anche ora il segnale del rivolgimento generale. Cosicch? era naturale ed inevitabile che le nostre elucubrazioni sulla natura e sul corso della rivoluzione <>, proclamata in Parigi nel febbraio del 1848, della rivoluzione cio? del proletariato, fossero sensibilmente colorite dalle rimembranze dei modelli del 1789-1830. Poi, allorch? l'eco della sollevazione di Parigi si ripercosse nelle rivolte vittoriose di Vienna, di Milano e di Berlino; allorch? tutta l'Europa, fino alla frontiera russa, fu travolta nel movimento; allorch? indi, nel giugno, s'ingaggi? a Parigi la prima grande battaglia pel potere tra proletariato e borghesia; allorch? persino la vittoria della propria classe scosse talmente la borghesia di tutti i paesi, da indurla a rifugiarsi di bel nuovo nelle braccia della reazione monarchico-feudale, pur appena abbattuta, non poteva sussistere per noi, date le condizioni d'allora, alcun dubbio che la gran lotta decisiva fosse scoppiata e dovesse venir combattuta in un unico, lungo e fortunoso periodo rivoluzionario, ma potesse chiudersi solamente colla definitiva vittoria del proletariato.

Anche a noi per? la storia diede torto, svelandoci l'illusione dei nostri criteri d'allora. And? anzi pi? in l?; non solo demol? il nostro passato errore, ma sconvolse interamente anche le condizioni entro le quali il proletariato ? chiamato a combattere. Il metodo di combattimento del 1848 ? in oggi antiquato sotto tutti gli aspetti ed ? questo un punto che merita di venire pi? davvicino esaminato, poich? se ne presenta l'occasione.

Tutte le passate rivoluzioni ebbero per effetto lo spodestamento d'una determinata dominazione di classe per mezzo d'un'altra; senonch?, sino ad oggi, tutte le classi dominanti non erano che piccole minoranze in relazione alla massa popolare dominata. Cos?, rovesciata una minoranza dominante, un'altra la sostituiva, impadronendosi del timone dello Stato e modellava le istituzioni di questo a seconda dei propri interessi. Era, costantemente, il gruppo della minoranza maturo al potere e chiamatovi dalle condizioni dell'evoluzione economica; ed appunto perci?, ed unicamente perci?, avveniva che la maggioranza sottomessa o parteggiasse nel rivolgimento a favore di quella, o per lo meno vi si acconciasse tranquillamente. Ma, ove si prescinda dal contenuto concreto di tutte codeste rivoluzioni prese singolarmente, la loro forma comune consisteva in ci?, che erano tutte rivoluzioni di minoranze. Anche allorquando la maggioranza vi prendeva parte, ci? accadeva -- coscientemente o no -- solamente a servigio d'una minoranza, la quale, approfittando di tal fatto, od anche approfittando dello stesso contegno passivo della maggioranza, riesciva a darsi l'aria di rappresentare tutto intero il popolo.

Dopo il primo grande successo, la minoranza vittoriosa di regola si scindeva; una met? si teneva soddisfatta dell'ottenuto, l'altra voleva andare ancor pi? innanzi ed elevava nuove pretese che erano, almeno in parte, anche nell'interesse reale od apparente della gran massa popolare. Codeste rivendicazioni pi? radicali ebbero anche, in taluni casi, effetto pratico, spesso per? solo per il momento; ch? il partito pi? moderato ripigliava il sopravvento e ci? ch'erasi appena guadagnato ritornava a perdersi od in tutto od in parte; i vinti gridavano allora al tradimento, od imputavano la sconfitta al caso. La realt? per? consisteva per lo pi? in questo, che le conquiste della prima vittoria venivano assicurate solamente dalla seconda vittoria del partito pi? radicale; raggiunta la quale e soddisfatta con essa la necessit? del momento, i radicali ed i loro successi si eclissavano di bel nuovo dalla scena.

La storia diede torto a noi ed a tutti coloro che pensavano egualmente. Essa mostr? chiaramente che lo stato dell'evoluzione economica nel continente era tuttora troppo immaturo per la soppressione della produzione capitalistica; e lo prov? colla rivoluzione economica, che nel 1848 avvolse tutto il continente e naturalizz? davvero, per la prima volta, la grande industria in Francia, Austria, Ungheria, Polonia e da ultimo in Russia, facendo della Germania un paese industriale di primo ordine -- e tutto ci? su base capitalistica e capace quindi nell'anno 1848 di ben maggiore espansione. Fu per? precisamente cotesta rivoluzione industriale, che cominci? a spargere ovunque la luce sui rapporti delle classi, che elimin? una moltitudine di esistenze intermedie, provenienti dal periodo della manifattura e nell'Europa orientale anche dalle corporazioni di mestiere, che cre? una vera borghesia ed un vero proletariato della grande industria, sospingendoli alla testa dell'evoluzione sociale. Ci? fu per? causa che la lotta di coteste due grandi classi, svoltasi nel 1848, fuori dell'Inghilterra, solamente a Parigi, tutt'al pi? in qualche grande centro industriale, si estendesse per la prima volta su tutta l'Europa, raggiungendo un'intensit?, quale nel 1848 non poteva ancor concepirsi. Allora, i numerosi ed oscuri evangelii di setta colle loro panacee; oggi l'unica teoria universalmente riconosciuta, di chiarezza diafana, formulante con precisione gli ultimi fini della lotta, la teoria di Marx. Allora le masse a seconda dei luoghi e degli Stati, distinte e diverse, legate solo dal sentimento dei comuni dolori, mancanti affatto di sviluppo, sbalestrate qua e l? in lor propria bal?a, tra l'entusiasmo e la disperazione; oggi l'unico grande esercito internazionale di socialisti, che si avanza irresistibilmente, e cresce ogni giorno di numero, di organizzazione, di disciplina, di sagacia, di certezza della vittoria. Se adunque questo possente esercito del proletariato non ha tuttora raggiunta la m?ta, se, ben lungi dall'ottenere la vittoria da una sola grande battaglia, deve in una lotta rude e tenace avanzarsi adagio di posizione in posizione, ci? dimostra, una volta per sempre, l'impossibilit? nel 1848 di far dipendere la trasformazione sociale da un semplice colpo di sorpresa.

Una borghesia, divisa in due frazioni dinastico-monarchiche, la quale per? reclamava, avanti ogni cosa, quiete e sicurezza pei suoi affari pecuniar?; e, di fronte ad essa, un proletariato vinto s?, ma pur sempre minaccioso, intorno a cui andavano ognor pi? aggruppandosi piccoli borghesi e contadini, -- pericolo permanente d'uno scoppio violento, senza la prospettiva per di pi? di una soluzione definitiva -- tale era la situazione quasi predisposta pel colpo di Stato del pretendente pseudo-democratico, del terzo Luigi Bonaparte. Coll'aiuto dell'esercito, costui pose fine, nel 2 dicembre 1851, a questa situazione cos? tesa, ed assicur? all'Europa la tranquillit? interna, per beatificarla, in compenso, con una nuova ?ra di guerre. Il periodo delle rivoluzioni dal basso era provvisoriamente chiuso; segu? un periodo di rivoluzioni dall'alto.

Colla Comune parigina si credeva definitivamente sepolto il proletariato combattente. Ma, tutt'all'opposto, ? dalla Comune e dalla guerra franco-germanica che data il suo slancio pi? poderoso. La completa rivoluzione dell'arte guerresca, avvenuta coll'arruolamento di tutta la popolazione atta alle armi in eserciti, numerosi oramai di milioni d'uomini, e con le armi da fuoco, i proiettili e le materie esplosive di efficacia straordinaria, sollecit? in primo luogo la fine del periodo delle guerre bonapartiste, assicurando l'evoluzione pacifica dell'industria, mentre rende impossibile ogni altra guerra, che non sia una guerra mondiale d'inaudito orrore e di conseguenze assolutamente incalcolabili. In secondo luogo, grazie alle spese militari elevantisi in progressione geometrica, spinse le imposte ad un'altezza spaventosa e, come conseguenza, le classi popolari pi? povere nelle braccia del socialismo. L'annessione dell'Alsazia-Lorena, la pi? immediata causa della folle gara negli armamenti, poteva istigare sciovinisticamente la borghesia francese e la tedesca l'una contro l'altra; per gli operai dei due paesi essa divenne invece un nuovo legame della loro unione. E l'anniversario della Comune di Parigi fu il primo giorno di festa generale per tutto il proletariato.

La guerra del 1870-71 e la disfatta della Comune avevano, giusta la predizione di Marx, spostato, pel momento, il centro di gravit? del movimento operaio europeo dalla Francia in Germania. Alla Francia occorrevano, come si comprende di leggieri, anni ed anni per rifarsi del salasso del maggio 1871. In Germania, all'incontro, dove l'industria, appunto allora sbocciata come in una serra calda sotto la benedizione dei miliardi francesi, si sviluppava sempre pi? intensivamente, la democrazia socialista crebbe con maggiore intensit? e resistenza. Grazie all'intelligenza, con cui gli operai tedeschi seppero usare del suffragio universale introdotto nel 1866, si manifest? a tutto il mondo in cifre inoppugnabili il portentoso incremento del partito: 1871: 102.000, 1874: 352.000, 1877: 493 000 voti democratico-socialisti. Venne poscia la superiore sanzione di cotesti progressi, sotto forma della legge contro i socialisti; il partito fu momentaneamente disperso, il numero dei voti cadde nel 1881 a 312 000. Ma la decisa rivincita non tard?, ed ecco, sotto la pressione della legge eccezionale, senza stampa, senza organizzazione pubblica, senza diritto di associazione e di riunione, ecco incominciare davvero l'enorme scala ascendente: 1884: 550.000, 1887: 763.000, 1890: 1.427.000 voti. Allora il pugno del governo fu preso da paralisi. La legge contro i socialisti scomparve, il numero dei voti socialisti si elev? a 1.787.000, ad oltre un quarto, cio?, dei voti complessivi. Il governo e le classi dirigenti avevano esaurito tutti i loro mezzi, senza vantaggio, senza scopo, senza successo. Le prove palpabili della loro impotenza, che i funzionari, dal guardiano notturno al cancelliere dell'impero, avevano dovuto subirsi, e ci? da parte degli spregiati operai! -- codeste prove si traducevano in cifre di milioni. Lo Stato si trovava alla fine della sua musica, gli operai appena alle prime battute della loro.

Ma, gli operai tedeschi avevano reso alla loro causa ancora un secondo gran servizio. Il primo l'avevano dato collo stesso fatto di esistere qual partito socialista, il pi? forte, il pi? disciplinato, il pi? rapido nell'espansione. Essi avevano poscia munito i compagni di ogni paese, d'una nuova arma, delle pi? affilate, indicando loro in qual modo si maneggia il suffragio universale.

Perocch? anche qui le condizioni della lotta avevano subito una sostanziale mutazione. La ribellione di vecchio stile, la battaglia delle barricate sulle strade, da cui, fino al 1848, dipendeva dappertutto la decisione definitiva della lotta, era singolarmente invecchiata.

Non facciamoci illusione: una vera vittoria dell'insurrezione sull'esercito nella battaglia delle strade, una vittoria come quella d'un esercito su un altro esercito, ? uno dei casi meno frequenti. Gli insorti stessi del resto vi contarono sopra ben di rado. Per lo pi? essi miravano unicamente a paralizzare le truppe con influenze morali, con quelle influenze, cio?, che in un incontro di due eserciti belligeranti non entrano in gioco affatto, o in lievissima misura. Se la cosa riesce, le truppe rifiutano obbedienza, od i comandanti perdono la testa e l'insurrezione ? vittoriosa. Se non riesce, la superiorit? d'un armamento pi? perfetto, d'una migliore educazione militare, dell'impiego sistematico delle forze combattenti e della disciplina, tiene alta la prevalenza dell'esercito, anche se inferiore per numero. Il massimo successo, veramente tattico, a cui possa giungere un'insurrezione, sta nell'impianto e nella difesa razionali di ciascuna barricata. Verranno poi a mancare del tutto od in gran parte l'appoggio coordinato, la disposizione ed il movimento delle riserve, in breve la cooperazione e coesione di ogni singola parte, cos? indispensabili alla difesa, non pur d'un intera grande citt?, ma d'un semplice suo quartiere; per non parlar poi della concentrazione delle forze combattenti sovra un punto decisivo. In questo caso prepondera nel combattimento la forma della difesa passiva, riducendosi l'offensiva qua e l?, e solamente in via d'eccezione, a qualche assalto d'avamposti od a qualche attacco di fianco, e limitandosi sempre unicamente all'occupazione di posizioni abbandonate dalle truppe nella loro ritirata. Si aggiunga che l'esercito ha a propria disposizione l'artiglieria e corpi di genio completamente equipaggiati ed esercitati; mezzi di guerra, di cui gli insorti, in quasi tutti i casi, difettano del tutto. Niuna meraviglia, perci?, se persino le lotte delle barricate, condotte col pi? grande eroismo -- a Parigi nel giugno 1848, a Vienna nell'ottobre 1848, a Dresda nel maggio 1849 -- si chiusero colla disfatta dell'insurrezione, quante volte i comandanti delle forze venute a combatterla si mantennero immuni da riguardi politici, agendo con criter? meramente militari e potendo contare sui loro soldati.

I numerosi successi degli insorti fino al 1848 sono dovuti a cause molto varie. Nel luglio 1830 e nel febbraio 1848 a Parigi, come pure nella maggior parte delle battaglie di strada spagnuole, tra gli insorti e l'esercito eravi una guardia civica, che o prendeva direttamente le parti dell'insurrezione, o col proprio contegno tiepido ed irresoluto comunicava pari indecisione anche alle truppe, fornendo, per di pi?, armi all'insurrezione. L?, ove codesta guardia civica si decideva senz'altro contro l'insurrezione, come a Parigi nel giugno 1848, la sconfitta di quest'ultima era certa. A Berlino nel 1848, la vittoria del popolo fu dovuta parte al ragguardevole aumento di nuove forze combattenti durante la notte ed il mattino del 19, parte all'esaurimento ed al cattivo vettovagliamento delle truppe, parte infine al rilassamento del comando. Ma in tutti i casi in cui si vinse fu perch? le truppe si rifiutarono di obbedire, o perch? entr? nei capi militari la indecisione, o perch? essi ebbero le mani legate.

Persino adunque nel periodo classico delle battaglie della strada, la barricata aveva un'azione assai pi? morale che altro. Era un mezzo per scuotere la resistenza dell'esercito e, quando si riesciva a tener duro fino a tal risultato, la vittoria non mancava; se no, era la sconfitta.

Le eventualit? favorevoli si trovavano, del resto, gi? nel 1849, discretamente in ribasso. La borghesia si era gettata dappertutto dalla parte dei governi; erano la <>, che salutavano ed ospitavano l'esercito diretto contro le insurrezioni. La barricata aveva perduto il suo potere magico; il soldato non vedeva pi? dietro ad essa <>, ma ribelli, mestatori, saccheggiatori, gente che voleva <>, la feccia della societ?; l'ufficiale aveva col tempo acquistato esperienza della tattica per le battaglie della strada, non marciava pi? spensierato ed alla scoperta contro l'improvvisata trincea, ma la girava attraversando giardini, cortili e case. E, con un po' d'abilit?, vi riesciva nove volte su dieci.

Ma da quel tempo ad oggi si verificarono moltissimi altri cangiamenti e tutti a vantaggio della milizia. Se le grandi citt? s'ampliarono notevolmente, questo avvenne in una maggior misura per gli eserciti. Non si sono quadruplicate dal 1848 ad oggi Parigi e Berlino, ma si sono pi? che quadruplicate le loro guarnigioni, le quali, per mezzo delle ferrovie, possono raddoppiarsi in meno di ventiquattr'ore, e in quarantott'ore possono diventare eserciti giganteschi. L'armamento di codesta enorme massa di soldati divenne senza confronto pi? micidiale. Nel 1848 il fucile non rigato, a percussione e caricato a bacchetta; oggi il fucile a retrocarica di piccolo calibro, che tira a distanza quadrupla, ed ? dieci volte pi? preciso e dieci volte pi? rapido di quello. Allora le palle da cannone massiccie, ed i cartocci a mitraglia; oggi le granate a percussione, di cui una sola basterebbe a mandare in aria la miglior barricata. Allora l'ascia dei pionieri per abbattere i ripari; oggi la cartuccia di dinamite.

Dai lato degli insorti, al contrario, le condizioni divennero completamente peggiori. Una sollevazione, che attiri le simpatie di tutti gli strati della popolazione, ? difficile che ritorni; nella lotta di classe non ? probabile che tutti i ceti med? si raggruppino cos? esclusivamente intorno al proletariato da far quasi scomparire il partito reazionario schierato intorno alla borghesia. Il <>, conseguentemente, si mostrer? sempre diviso, e verr? quindi a mancare quella leva potente, che fu tanto efficace nel 1848. Si unissero pure ai rivoltosi dei soldati usciti di servizio, il loro armamento riesce cosa ancor pi? difficile. I fucili da caccia e di lusso degli armaiuoli -- dato pure che la polizia non li abbia in precedenza resi inservibili coll'asportazione degli ordigni essenziali -- non reggono assolutamente al confronto, anche nella lotta da vicino, coi fucili a retrocarica dell'esercito. Fino al 1848 con polvere e piombo ciascuno poteva procurarsi da s? la munizione necessaria; oggi la cartuccia d'ogni fucile ? diversa ed ha dovunque sol questo di comune, che ? un prodotto della grande industria e quindi impossibile ad improvvisarsi; onde i fucili divengono in grandissima parte inutili senza le munizioni loro specialmente adatte. Finalmente, i nuovi quartieri delle grandi citt?, costruiti dopo il 1848, che si stendono in vie lunghe, diritte e larghe, paion fatti apposta per dar agio di funzionare ai nuovi cannoni ed ai nuovi fucili. Folle il rivoluzionario che scegliesse di sua volont?, per una lotta di barricate, i nuovi quartieri operai al nord od all'est di Berlino!

Comprende ora il lettore per qual motivo le classi dominanti ci vogliono ad ogni costo trascinare col?, dove il fucile spara e fende la sciabola? E perch? ci si accusa oggi di vigliaccheria, quando non scendiamo senz'altro nelle strade, dove siamo in precedenza sicuri della sconfitta? E perch? con tanta insistenza si invoca da noi, che abbiamo una buona volta a prestarci a far la parte di carne da cannone?

Questi signori vanno sciupando i loro inviti e le loro provocazioni; no, non siamo cos? grulli. Potrebbero, con egual ragione, pretendere dal loro nemico nella prossima guerra, ch'ei si allinei secondo i precetti del vecchio Fritz, ovvero a colonne di intere divisioni ad uso Wagram e Waterloo, munito per di pi? di fucili a pietra. Se le condizioni si mutarono per le guerre popolari, non si mutarono meno per la lotta di classe. ? passato il tempo dei colpi di mano, delle rivoluzioni condotte da piccole minoranze coscienti, alla testa di masse incoscienti. Dove si tratta della completa trasformazione dell'organismo sociale, ? necessario avere con s? le masse, gi? conscie di che si tratti e del perch? del loro concorso. Questo ? ci? che la storia degli ultimi cinquant'anni ha insegnato. Ma perch? le masse comprendano ci? che devono fare, ? necessario un lungo ed assiduo lavoro, quel lavoro appunto che noi andiamo compiendo con un successo che spinge gli avversar? alla disperazione.

S'intende da s? che i nostri compagni dell'estero non rinunciano al loro diritto alla rivoluzione. Il diritto alla rivoluzione ? anzi, sovratutto, l'unico vero <>, l'unico, su cui riposano, senza eccezione, tutti gli Stati moderni, compreso il Meklemburgo, la cui rivoluzione aristocratica fu compiuta nel 1755 con quella <>, che ancor oggi costituisce la gloriosa carta del feudalismo. Il diritto alla rivoluzione ? cos? inconcusso nella coscienza universale, che persino il generale von Boguslawski ritrae unicamente da codesto diritto del popolo il diritto al colpo di Stato, da lui rivendicato al suo sovrano.

Ma non vogliate dimenticare che l'impero tedesco, come anche tutti i piccoli Stati ed in generale tutti gli Stati moderni, ? un prodotto del contratto; del contratto in primo luogo dei principi tra loro, poi dei principi col popolo. Se una delle parti lo rompe, esso cade nella sua totalit? e l'altro contraente non vi ? pi? vincolato.

Sono oramai quasi 1600 anni, e l'impero romano aveva egualmente, ospite incomodo, un pericoloso partito sovversivo, il quale minava la religione e tutti i fondamenti dello Stato; negava per l'appunto che la volont? dell'imperatore fosse la suprema legge; era senza patria, internazionale; si diffondeva per tutte le provincie, dalla Gallia all'Asia, ed anche oltre le frontiere dell'impero. Aveva macchinato lungo tempo sotterra, in segreto, pur sentendosi da un pezzo abbastanza forte per affrontare la luce. Codesto partito sovversivo, noto col nome di cristiano, era altres? fortemente rappresentato nell'esercito; intere legioni erano cristiane. Allorch? erano comandati a far atto d'omaggio alle cerimonie religiose della Chiesa nazionale pagana, i soldati sovvertitori spingevano la temerit? sino a piantare speciali distintivi di protesta, delle croci, sui loro elmi. Anche le usuali vessazioni di caserma da parte dei superiori rimanevano senza frutto. L'imperatore Diocleziano non pot? pi? a lungo tollerare in pace che l'ordine, l'obbedienza e la disciplina venissero poste in non cale nel suo esercito. E fece un atto d'energia, poich? non era ancor troppo tardi. Eman? una legge contro i socialisti, intendevo dire contro i cristiani. Furono vietate le riunioni dei sovvertitori, i loro locali di adunanze chiusi od addirittura demoliti, i simboli cristiani, croci, ecc., proibiti, come in Sassonia i fazzoletti rossi. I cristiani vennero dichiarati incapaci a coprire impieghi dello Stato; non potevano nemmanco diventare vicecaporali. E siccome a quel tempo non si avevano a disposizione giudici cos? bene addomesticati alla <> come li presuppone il progetto anti-sovversivo del signor von K?ller, si viet? senz'altro ai cristiani di andare ai tribunali a pretendere il loro diritto. Anche codesta legge eccezionale rimase senza effetto. I cristiani la strappavano dalle muraglie per ludibrio; essi anzi avrebbero, in Nicomedia, appiccato il fuoco al palazzo, ove se ne stava l'imperatore. Questi allora si vendic? colla grande persecuzione dei cristiani dell'anno 303 della nostra ?ra. La quale fu l'ultima di tal genere. Ma fu cos? efficace, che diciassette anni dipoi l'esercito era composto in gran maggioranza di cristiani ed il successivo autocrate dell'universo impero romano, Costantino, detto dai preti <>, proclam? il cristianesimo religione dello Stato.

F. ENGELS.

Ad eccezione d'alcuni pochi capitoli, non v'ha periodo importante degli annali rivoluzionari dal 1848 al 1849, che non porti l'intitolazione: Disfatta della rivoluzione!

Chi soccombette in queste disfatte non fu la rivoluzione. Furono i fronzoli tradizionali prerivoluzionar?, risultati di rapporti sociali non peranco acuiti in netti antagonismi di classe, -- persone, illusioni, fantasie, progetti, da cui non era libero il partito rivoluzionario avanti la rivoluzione di febbraio e da cui non la vittoria di febbraio poteva liberarlo, ma solamente una serie di disfatte.

In una parola: il progresso rivoluzionario non si fe' strada colle tragicomiche sue conquiste immediate ma, al contrario, col sorgere d'una controrivoluzione serrata, possente, col sorgere d'un avversario, nel combattere il quale unicamente fu dal partito dell'insurrezione raggiunta la maturit? di partito davvero rivoluzionario.

Dimostrare ci? ? il tema delle pagine che seguono.

Dopo la rivoluzione di luglio, accompagnando il suo compare, il duca d'Orl?ans, in trionfo all'H?tel-de-Ville, il banchiere Laffitte lasciava cadere questo detto: <>. Laffitte aveva svelato il mistero della rivoluzione.

Sotto Luigi Filippo non era la borghesia francese che regnava, ma una frazione di essa: banchieri, re della Borsa, re delle ferrovie, proprietar? di miniere di carbone e di ferro e proprietar? di foreste, e una parte della propriet? fondiaria rappattumata con essi; insomma la cosidetta aristocrazia della finanza. Era essa che sedeva sul trono, che dettava leggi nelle Camere, che dispensava i posti governativi, dal ministero fino allo spaccio di tabacchi.

La borghesia veramente industriale formava una parte dell'opposizione ufficiale; era cio? rappresentata nelle Camere solo come minoranza. Tanto pi? decisiva se ne presentava l'opposizione, quanto pi? netto era lo sviluppo del dominio esclusivo dell'aristocrazia finanziaria e quanto pi? essa medesima, soffocate nel sangue le sommosse del 1832, 1834 e 1839, immaginava d'avere assicurato il proprio dominio sulla classe operaia. Grandin, fabbricante di Rouen, il portavoce pi? fanatico della reazione borghese, sia nell'Assemblea nazionale costituente, sia nella legislativa, era nella Camera dei deputati il pi? violento avversario di Guizot. Leone Faucher, noto pi? tardi pei suoi impotenti sforzi di elevarsi a Guizot della controrivoluzione francese, conduceva, negli ultimi tempi di Luigi Filippo, una guerra letteraria per l'industria contro la speculazione ed il suo caudatario, il governo. Bastiat agitava, in nome di Bordeaux e di tutta la Francia viticola, contro il sistema imperante.

Le necessit? della propria finanza ponevano la monarchia di luglio all'intima dipendenza dell'alta borghesia; dipendenza, che divenne la sorgente inesauribile d'un crescente disagio della finanza. Impossibile subordinare l'amministrazione dello Stato all'interesse della produzione nazionale, senza ristabilire l'equilibrio nel bilancio, l'equilibrio tra le uscite e le entrate dello Stato. Ed in qual modo ristabilire quest'equilibrio, senza limitare le spese dello Stato, ossia senza vulnerare interessi, ch'erano altrettanti sostegni del sistema dominante, e senza riordinare la ripartizione delle imposte, ch'? quanto dire senza addossare all'alta borghesia stessa una parte ragguardevole del peso delle imposte?

L'indebitamento dello Stato era ben piuttosto un interesse diretto della frazione della borghesia, governante e legiferante per mezzo della Camera. Il deficit dello Stato: ecco propriamente il vero oggetto della sua speculazione e la fonte principale del suo arricchimento. Dopo ciascun anno, un nuovo deficit. Dopo il decorso di quattro o cinque anni, un nuovo prestito. Ed ogni nuovo prestito forniva all'aristocrazia finanziaria nuova occasione a truffare lo Stato, tenuto artificiosamente sospeso nelle ansie della bancarotta ed obbligato cos? a contrattare coi banchieri nelle condizioni pi? sfavorevoli. Ogni nuovo prestito offriva una seconda occasione a svaligiare il pubblico, che impiega i suoi capitali in rendita dello Stato, con operazioni di Borsa, al cui mistero erano iniziati governo e maggioranza della Camera. Erano sovratutto la situazione oscillante del credito dello Stato ed il possesso dei segreti di Stato, che davano ai banchieri, non meno che ai loro affiliati nelle Camere e sul trono, la possibilit? di provocare straordinarie, improvvise oscillazioni, il cui risultato costante doveva essere la rovina d'una massa di capitalisti pi? piccoli e l'arricchimento favolosamente rapido dei giocatore in grande. L'essere il deficit dello Stato un diretto interesse della frazione dominante della borghesia, spiega come gli stanziamenti ordinar? dello Stato negli ultimi anni del regime di Luigi Filippo superassero di gran lunga il doppio di quelli sotto Napoleone, raggiungendo annualmente la somma di ben quasi 400 milioni di franchi, mentre la media esportazione complessiva della Francia elevavasi a 750 milioni di franchi. Le enormi somme, che per tal modo scorrevano per le mani dello Stato, davano oltracci? origine a loschi appalti, a corruzioni, a frodi, a bricconate d'ogni specie. Lo svaligiamento dello Stato, quale avveniva in grande coi prestiti, si ripeteva al minuto nei lavori dello Stato. Il rapporto tra la Camera e il governo si ramificava in rapporti tra le singole amministrazioni ed i singoli imprenditori.

Al pari degli stanziamenti dello Stato e dei prestiti dello Stato, la classe dominante sfruttava le costruzioni ferroviarie. Allo Stato le Camere addossavano i pesi principali, assicurandone i frutti d'oro all'aristocrazia finanziaria speculatrice. Si accumulavano gli scandali nella Camera dei deputati, allorch? il caso fe' venire a galla che tutti quanti i membri della maggioranza, alcuni dei ministri compresi, partecipavano come azionisti a quelle medesime costruzioni ferroviarie, ch'essi facevano poi, in qualit? di legislatori, intraprendere a spese dello Stato.

Non v'era, all'incontro, piccola riforma finanziaria, che non naufragasse di fronte all'influenza dei banchieri. Cos?, ad esempio, la riforma postale. Rothschild protest?. Poteva lo Stato assottigliare cespiti d'entrata, donde doveva ricavare gli interessi del suo debito sempre crescenti?

Due avvenimenti economici mondiali accelerarono finalmente l'esplosione dell'universale disgusto e fecero maturare il malcontento in rivolta.

La malattia delle patate ed i cattivi raccolti del 1845 e 1846 avevano sovreccitato nel popolo il generale fermento. La carestia del 1847 aveva chiamato sulla Francia, come sul resto del continente, conflitti sanguinosi. Ed ecco, di fronte alle orgie svergognate dell'aristocrazia finanziaria, la lotta del popolo pei mezzi primi di sussistenza! Ecco a Buzan?ais i rivoltosi della fame giustiziati ed a Parigi gli scrocconi satolli strappati ai tribunali dalla famiglia reale!

Il secondo grande avvenimento economico, che affrett? lo scoppio della rivoluzione, fu una crisi generale del commercio e dell'industria in Inghilterra; crisi che, gi? preannunciata nell'autunno del 1845 dalla disfatta in massa degli speculatori d'azioni ferroviarie, e contenuta durante il 1846 da una serie di incidenti, quale l'imminente abolizione dei daz? sui cereali, eruppe finalmente nell'autunno del 1847 colle bancarotte dei grandi commercianti in coloniali di Londra, alle quali tennero immediatamente dietro i fallimenti delle Banche di provincia e la chiusura delle fabbriche nei distretti industriali inglesi. Non erasi ancora avvertita l'influenza di questa crisi nel continente, allorquando scoppi? la rivoluzione di febbraio.

La devastazione del commercio e dell'industria, operata dall'epidemia economica, rese ancor pi? insopportabile l'egemonia dell'aristocrazia finanziaria. In tutta la Francia, la borghesia d'opposizione band? l'agitazione dei banchetti per una riforma elettorale, la quale doveva conquistarle la maggioranza nelle Camere ed abbattere il ministero della Borsa. A Parigi la crisi ebbe ancora questo speciale effetto di gettare sul commercio interno una massa di fabbricanti e di grandi negozianti, cui le condizioni d'allora chiudevano gli affari sul mercato estero. Essi eressero grandi stabilimenti, la cui concorrenza rovin? in massa droghieri e bottegai. Donde innumerevoli fallimenti in questa parte della borghesia parigina; donde la sua apparizione rivoluzionaria nel febbraio. ? noto come Guizot e le Camere risposero ai progetti di riforma con una sfida spoglia d'equivoci, come Luigi Filippo si decise troppo tardi per un ministero Barrot, come si venne al conflitto tra il popolo e l'esercito, come il contegno passivo della guardia nazionale disarm? l'esercito, come la monarchia di luglio dovette cedere il posto ad un governo provvisorio.

Se Parigi domina la Francia grazie all'accentramento politico, sono gli operai che nei momenti di convulsioni rivoluzionarie dominano Parigi. Primo atto di vita del governo provvisorio fu il tentativo di sottrarsi a tale influenza preponderante con un appello da Parigi ubbriaca alla Francia digiuna. Lamartine contest? ai combattenti delle barricate il diritto di proclamare la repubblica; a ci? era autorizzata solo la maggioranza dei francesi, il cui voto conveniva attendere; non istava al proletariato parigino di macchiare la propria vittoria con un'usurpazione. La borghesia permetteva al proletariato una sola usurpazione -- quella del campo di battaglia.

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