Read Ebook: Storia degli Italiani vol. 11 (di 15) by Cant Cesare
Font size: Background color: Text color: Add to tbrJar First Page Next PageEbook has 758 lines and 191380 words, and 16 pagesSTORIA DEGLI ITALIANI PER CESARE CANT? EDIZIONE POPOLARE RIVEDUTA DALL'AUTORE E PORTATA FINO AGLI ULTIMI EVENTI TORINO UNIONE TIPOGRAFICO-EDITRICE 1876 LIBRO DECIMOQUARTO Il travaglioso parto della societ? moderna era omai compito: i Comuni si erano associati coi re per congegnare estese monarchie coi rottami delle giurisdizioni feudali tra cui era frazionata l'autorit? sovrana, e far prevalere una volont? unica, intitolata la legge, che mantenesse dentro la pace, fuori l'influenza. Ma dopo tanto declamare contro le repubblichette e la insanabile loro irrequietudine e le guerricciuole del medioevo, dopo tanto adombrarsi che uno Stato italiano non prevalesse agli altri, or giacevano tutti allivellati dalla servit?, impotenti a nuocersi a vicenda, ma anche a resistere altrui: assodaronsi i principati, ma con essi non venne l'unit?, non venne la quiete colla tirannide. Dacch?, per la Riforma, l'Europa fu scissa in due campi, il sacerdote non poteva pi? comandare dappertutto; e se una provincia protestante si volgesse a' danni di una cattolica, non si poteva che reprimerla; donde una nuova necessit? del potere monarchico, che si surrog? all'ecclesiastico con vantaggio forse dell'ordine, non della libert?. E per la necessit? dell'ordine vennero dimentichi o conculcati i privilegi; raccolti grossi eserciti, dome le aristocrazie, elise tutte le resistenze particolari; costretta la Chiesa a schermirsi contro la forza, finch? vi soccombesse. Introdurre l'eguaglianza, fiaccare le prepotenze feudali, svegliar nei popoli la coscienza dell'unit? mediante una politica nazionale, rendere a tutti accessibile la coltura, ed anche alle classi infime l'industria, estendere il concetto della parit? di diritto e della cittadinanza, sono gli uffizj pei quali la monarchia si fa stimare dai popoli: ma quando ai trambusti succede il riordinamento, qualche genio, come Costantino, Carlo Magno o Napoleone, di tutte le attivit? sa giovarsi al suo scopo; altri credono non poterlo che soppiantando, comprimendo; e cos? si fece nel secolo decimosesto in Italia. -- O Dante, avresti potuto vedere che la pace del despotismo trionfante ? la pace del sepolcro. Il commercio, non che fiorisse al chetar de' tumulti, per? nell'atonia universale; giorni smunti e afosi sottentravano ai procellosi; non apparendo n? l'individuale gagliardia del Cinquecento, n? le complessive aspirazioni del Settecento, interessi immediati e angusti occupavano la scena, dianzi agitata dalle passioni; mancando la patria, mancarono fortezza di guerriero, abilit? di politico, libert? di scrittore; al culto del Comune sottentr? l'egoistico punto d'onore, alle battaglie il duello, alle vive credenze canoni legali ed opinioni, al diritto pubblico cattolico una politica d'abilit? e di tornaconto, spoglia d'ogni idealit?, fondata non sulla ragione ma unicamente sul fatto, non diretta dal sentimento ma dal calcolo e dalla forza. Eppure in nome della religione sobbolliva ancora tutta l'Europa, la quale pen? fin a mezzo il secolo decimosettimo per acquistare quell'assetto, in cui, ben o male, doveva adagiarsi poi fin alla rivoluzione francese. L'Inghilterra, violentemente spinta ad uno scisma che attribuiva al re onnipotenza anche nelle cose religiose, lo manteneva con feroci leggi penali, e con due rivoluzioni che, abbattendo il diritto divino dei re, doveano cambiar la dinastia, eternare l'oppressione d'un popolo intero qual ? l'irlandese, consolidare e stabilire i privilegi de' possidenti, ma eriger la nazione al colmo della grandezza politica e commerciale, e a quella civile libert?, che al Governo non rassegna se non la minima parte dell'attivit? individuale. I Paesi Bassi, ribellatisi alla Spagna, sostennero lunghissima guerra, finch? una parte furono ribaditi alla dominazione austriaca, altri si assicurarono il culto riformato e l'indipendenza, e con questa una meravigliosa prosperit? mercantile. La Germania, sbranata fra due parzialit? religiose divenute parzialit? politiche, scadeva dalla supremazia goduta nel medioevo: a capo de' Cattolici stava ancora l'imperatore, ma non che ne assicurasse il trionfo, vide le turbolenze scoppiare in guerra aperta che fu denominata dai Trent'anni, in cui quel centro dell'Europa fu corso e guasto da eserciti, peggiori de' masnadieri. Questi erano elettivi, e pur intitolandosi imperatori romani, non curavano n? la consacrazione pontifizia, n? tampoco di esercitar ingerenza di qua dell'Alpi. Si toglieano sempre dalla Casa d'Austria, la quale a questo titolo d'onore univa il regno di Boemia, sovvertito dalla Riforma; il regno d'Ungheria che la costituiva antiguardo della cristianit? contro i Turchi; la Stiria, il Tirolo che la faceano pericolosa vicina della Venezia; e stando nel cuor dell'Europa primeggiava, massime dacch? le linee d'Austria e di Tirolo furono d'accordo: ma la guerra dei Trent'anni dalla posizione offensiva la ridusse alla difensiva. Combinava essa la sua politica coll'altro ramo, a cui obbedivano la Spagna e tanta parte dell'America e delle Indie orientali, vascello immenso, di cui la prora sorgeva alle Filippine, e la poppa alle Antilie. Filippo II , succeduto a Carlo V nel regno di Spagna, trovava le idee, gl'interessi, la religione di tutta Europa messi a subuglio dalla Riforma, e diresse tutte le forze sue a rifondare il passato. I dobloni che traeva dalle miniere americane, correvano pertutto a soldare oppositori ai Protestanti; i suoi eserciti li combattevano in ogni plaga; e poich? dopo un secolo di convulsioni egli rappresentava la riazione, rimase bersaglio alle armi e alle diatribe di tutti i novatori del mondo, i quali accordaronsi nel dirne ogni male, e fin nell'inventarne, come nel tragediato episodio di don Carlos suo figlio, e lo tramandarono alla posterit? come inventore della politica arcana, come un fantasma assiso sui confini del medioevo, cinto di tenebre illuminate solo da roghi, per impedire il progresso del pensiero e della libert?. Volea veder tutto, e perci? esitava a decidersi: deciso una volta, non recedeva pi?. Credendosi destinato da Dio a rintegrare la religione cattolica, le discrepanze considerava non solo come eresie, ma come lesa maest? divina ed umana, e tenevasi in obbligo di combatterle come fece dappertutto, senza mai venire a transazione; cerc? impadronirsi fin della Francia e dell'Inghilterra per serbarle cattoliche: ma intanto si vide dalla Riforma strappati i Paesi Bassi; esaur? le finanze, scontent? i popoli, distrusse il prestigio della propria potenza. Tali furono i regnanti di bellissime parti d'Italia. Mentre le nazioni d'Europa si costituivano regolarmente, anche merc? de' penosi ma fecondi scotimenti dalla riforma religiosa, la nostra era perita; e da centro che era della politica, del commercio, della cultura, pi? non fu che uno zimbello o un premio. Alla sua libert?, viva la quale sentivano non potrebbero estendere la propria dominazione, aveano attentato gli stranieri ora cospirando ora osteggiandosi: in quel contatto, nocevole se amico e se nemico, gl'Italiani sentivano pericolare l'indipendenza, ma ciascuno pensava alla propria, non a quella dell'intera nazione; ciascuno Stato credeva bastar da s? a superare in forza gli stranieri, come li superava in civilt?; e a tal modo caddero tutti. Il nuovo diritto pubblico, che prefiggeva regole alle successioni, cagion? guerre pi? lunghe e deplorabili, che non le bizzarrie repubblicane. Ai principi sottomettevansi i signorotti; e fin nella Romagna, la battagliera veniva surrogata da una nobilt? di soglio, derivata da parenti dei papi. Alcuni si rassegnarono alle catene, sino a farsene belli; altri mestarono ancora in cospirazioni e sommosse; alcuni, rinvigoriti nelle persecuzioni, nell'esiglio, ne' patimenti, portarono di fuori un'attivit? cui la patria non offriva pi? campo; o l'abilit? delle armi e de' maneggi applicarono a servigio de' tiranni della patria, per passare dalla classe degli oppressi in quella degli oppressori; assodando quella ragion di Stato, che riducevasi ad ottenere obbedienza a qualunque costo, in nome dell'altare e del trono. Ma tutti gli Stati, guelfi coi Francesi e coi Riformati, o ghibellini coi papi e colla Spagna compiono l'opera dell'accentramento, distinti soltanto dalle diverse gradazioni d'un debole principato o d'una debole democrazia. L'abolizione del soldato mercenario per sostituirvi truppe regolari, fa che le moltitudini si trovino alleate coi despoti nel respinger le tradizioni anarchiche del medioevo: ma gli svantaggi dell'antico disarmo appajono nella miserabilit? di que' soldati, ridicoli insieme e molesti, buoni per una parata, inetti contro i ribaldi risoluti e contro i banditi. Con eserciti stanziali, colla fedelt? alla bandiera, e l'obbedienza irragionata sarebbe dovuta venire la quiete dei cittadini anche nel fervore delle guerre; ma ignorandosi ancora l'amministrazione militare, e mal provvedendosi agli approvvigionamenti, alle paghe, alla disciplina, i soldati viveano di ruba, spesso si ammutinavano, sempre portavano miserie, che fecero detestar del pari e i nemici e gli amici. Se non che era difficile determinare quai fossero gli amici o i nemici dell'Italia, dacch? essa figurava soltanto come una preda; i trattati non si riferivano a lei, ma a' suoi dominatori; n? degli abitanti occupavasi la storia, ma del suolo, militarmente occupato. La Spagna possedeva Milano, lo Stato de' Presidj, il Senese, il marchesato del Finale, la signoria di Pontremoli, l'isola di Sardegna e le Due Sicilie. Poteano fruttare quattro milioni di scudi d'oro, ma una gran parte delle rendite trovavasi impegnata; il resto si consumava nelle guarnigioni e nelle truppe di terra e di mare, ove armava sin cinquanta galee. Ma n? avea modi di rendersi devoti i signori e premiare i suoi fedeli, n? di far pedoni e cavalli; traeva frutto dai tribunali, dalle vacanze di feudi e benefizj, dalle largizioni che doveansi fare alla corte per propiziarsela; dalla Germania, dominata essa pure da Austriaci, non poteva menar eserciti in Lombardia se non traversando il territorio veneto o quel de' Grigioni, ovvero per mare da Genova. Aspirava dunque a tener amici que' vicini, e ad estendere il Milanese fino al mare, ovveramente congiungerlo al Napoletano, se non altro col predominio sovra i principotti. A Venezia entravano quasi quattro milioni di scudi; ma ingente spesa le cagionava il difendersi dai Turchi e dagli Uscocchi, e il presidiar Brescia, Bergamo, Verona contro le ambizioni di Spagna. Da cinquanta fin a ottanta galee armava essa; conduceva al soldo signori e principi; e difettando di soldati e di grano, quelli avea licenza di levare dagli Stati Pontifizj, questo tirava dal Levante, da Urbino, dalla Mirandola. Attenta all'Oriente come avanguardia della civilt? europea, nella penisola studiava mantenere l'equilibrio, facendo opposizione alla Spagna, naturale nemica delle repubbliche e degli indipendenti. Mentre a Venezia la tirannide del Governo avea mantenuto la pace, a Genova la disunione de' primati sfaceva il Governo; quella col professarsi neutrale mostrava debolezza, ma sfuggiva ai pericoli in cui cadeva Genova, che, come protetta da Spagna, doveva acconciarsi agli interessi e ai capricci di questa. D'entrambe le repubbliche la prosperit? non poteva venir che dal mare. Ora, non tanto le nuove vie del commercio ve le indebolirono, quanto le molestie dei signori d'Italia, obbligandole a mescolarsi delle loro baruffe o a guardarsi dalle loro insidie. Per le conquiste turche Genova avea perduto i possessi di Levante; Salonichi e la Macedonia nel 1421; nel 53 Pera, nel 55 le Focee, nel 65 Metelino, nel 75 Caffa e altre terre di Crimea; nel 61 Totatis e Samastro in conseguenza della caduta dell'impero di Trebisonda; sicch? nel commercio d'Oriente non pot? sostenersi che mediante trattati con quei principi, cio? con aggravio di spese e minoramento di sicurezza. Restava signora della sua riviera e delle isole di Corsica e Capraja; se le stimavano cinquecentomila scudi d'entrata, e molto costavano gli stipendj e le sei galee; le gabelle avea quasi tutte oppignorate al banco di San Giorgio. Per Sarzana, che un tempo apparteneva alla Toscana, e per la Corsica, gi? de' Pisani, stava sospettosa del granduca; del re di Spagna dopo che questi ebbe occupato il Finale; ma pi? dovea temere l'avidit? del duca di Savoja. Vantava poter mettere in piedi fin sessantamila soldati, migliori in mare che in terra come littorani, eccetto i Corsi. I nobili suoi, copiosissimi ricchi, aveano possessi nel Napoletano e nel Milanese; alcuni attendeano al mare, e servivano a Spagna e ad altri principi; alcuni negoziavano, massime dei tessuti di seta, i meglio stimati di cristianit?. Lucca restringea pi? sempre la sua aristocrazia: una ruota di cinque giureconsulti forestieri decideva le controversie fra i cittadini: entrata di cendiecimila scudi: trentamila gli abitanti, procaccianti principalmente nel setificio. Dal territorio esteso ma montuoso non avea grano bastante alla vita; ma buoni soldati dalla Garfagnana. Per la quale contendeva col duca di Modena; del granduca temea le ambizioni, ma era sorretta da Genova e dalla Spagna, entrambe attente che Toscana non ingrandisse. Ormai per? delle antiche repubbliche parlavasi come d'una malattia di cui si era guariti. Le tre di Pisa, Firenze, Siena costituivano il granducato di Toscana, cui si aggiudicava l'entrata di un milione e mezzo di scudi. Il Senese abbondava di prodotti, mentre i Fiorentini bisognava se li procacciassero col commercio e le manifatture; e di molte tasse profittava l'erario, come l'otto per cento sulle doti, e sulle vendite e compre di stabili; la decima delle pigioni, la sportula delle liti, e molte gabelle; al bisogno obbligavansi i pi? ricchi a far prestiti, non superiori a cinquemila ducati, redimibili per mezzo delle gabelle. Da trentaseimila soldati si arrolavano, esenti i soli preti, i quali pure poteano portar armi in citt?, e godevano altri privilegi. L'isola d'Elba era ben munita, e buon'armeria a Pisa. Il duca di Mantova avea da trecensessantamila scudi d'entrata: i ducentomila che venivangli dal Monferrato riunitogli, consumava nel fortificarlo; levava moltissimi soldati ed eccellenti cavalli, per militare a soldo altrui. Casa d'Este da Modena e Ferrara ritraeva poco meglio di centomila scudi, di cui quattromila tributava all'imperatore, suo signor sovrano; ma da cinquanta altri mila ne cavava dal vendere i titoli di marchese, conte, cavaliere; altri dalla cattiva moneta e dal tollerare gli Ebrei, massimamente a Carpi. -- Quel duca ha nella citt? e contado milizie, che passano il numero di ventisettemila; buona gente; avria comodit? di far buona e numerosa cavalleria di nobili, i quali si dilettano assai dell'armi, come quelli che in niun'altra cosa si esercitano, ed hanno la maggior parte vissuto nelle guerre... E quando sua eccellenza and? in Ungheria a servizio dell'imperatore nel 1566, in tutto quel campo non era n? la pi? bella n? la pi? buona n? la pi? ordinata gente, sebbene tutti li principi italiani fecero a gara per mostrare all'imperatore le loro forze e grandezza>>. I Farnesi, duchi di Parma e Piacenza, l'alto dominio della santa Sede riconosceano con diecimila scudi l'anno; i centomila d'entrata raddoppiarono col confiscare i feudi ai Pallavicini, Landi, Scotti, Anguissola, e con nuove imposte che il papa permise. Il duca d'Urbino, anch'egli vassallo della Chiesa a cui retribuiva ottomila scudi, ne ricavava trecentomila, principalmente per l'uscita de' grani da Sinigaglia: paese pingue, non oppressi i sudditi, e talmente agguerriti, che avrebbe potuto coscrivere fin ventimila pedoni. Aveansi dunque undici dominj; a tacer altri signorotti, simili piuttosto a baroni, bench? godessero pieno impero e zecca, quali il principe di Guastalla, il marchese di Castiglione ed altri di casa Gonzaga, gli Appiani di Piombino, i Pico della Mirandola, i principi di Massa, Carrara, Correggio, e i romani che non battevano moneta. Il principe di Monaco, occhieggiato dai Genovesi e dal duca di Savoja, tenea navi di corso per punire chi passasse senza pagare il pedaggio. Seguivano altri baroni, quali, a dir solo i primarj, i conti Bevilacqua e i Pico di Ferrara; i Malvezzi, i Riario e i Pepoli di Bologna; di Roma Orsini, Colonna, Conti, Savelli, Gaetani, Cesi, Cesarini, vassalli della Chiesa; nella repubblica veneta i Martinengo, i Pesaro, i Sanbonifazj; sotto Genova gli Spinola e i Doria; sotto Mantova i Verua, i Guerrieri, i Castiglioni; in Toscana i Salviati, i Corsini; nel Modenese i Bentivoglio; nel Parmigiano Lupo di Soragna, lo Stato Pallavicino di cui era capo Busseto, e lo Stato Lando di cui era capo Borgotaro, i Sanseverino di Sala, i Sanvitali di Colorno; nei paesi di Spagna i marchesi di Marignano, i Trivulzio, i Borromei, i Caravaggio, i Visconti, i Serbelloni, gli Afaitati in Lombardia, e nel Napoletano i Davalos, i Sanseverino, i Caraffa, i Caraccioli, i Piccolomini, i Gesualdi, i Loffredi, gli Aquaviva, i Lancia, gli Spinelli, i Castrioti, i Toledo. Principotti, deboli per s? e non sapendo farsi robusti coll'unione, si reggeano coll'appoggiarsi ai nemici dell'indipendenza italiana. Libravasi dunque l'Italia fra quattro sistemi politici, di Spagna, di Savoja, di Venezia, de' papi; e ne nasceva un giuoco d'altalena, che port? interminabili raggiri e guerre, tutte per talento de' forestieri, non essendo di origine italiana che quella del papa coi Francesi; e intanto le divisioni si perpetuavano, fino a stabilire nemici un all'altro que' popoletti, i quali pure non aveano che un nemico solo. Roma, cessato d'essere la capitale del mondo, non nutrivasi pi? coi tributi di tutta la cristianit?, ma soltanto col patrimonio della Chiesa, che cos? serviva di rinfianco all'influenza spirituale, e che le nuove costituzioni vietavano di smembrare, come si soleva a favor de' popoli. I papi, scaduti di potenza quanto cresciuti di rispetto, non che contendere del primato del mondo cogli imperatori, neppur di maggioreggiare in Italia poteano lusingarsi, dacch? vi si erano radicati gli stranieri; e sebbene inclini alla Spagna come cattolica e come vicina, a frequenti cozzi si trovavano con essa per quistioni di territorio o di giurisdizione. Lo Stato papale comprendeva l'Umbria o legazione di Perugia, le legazioni di Romagna, di Bologna, di Spoleto colla marca d'Ancona; inoltre il ducato di Benevento nel regno di Napoli, e il contado Venesino nella Provenza; e avea vassalli gran principi, quali il re di Napoli, il duca di Parma e Piacenza e quel d'Urbino: paesi buoni, sebbene alcuni infetti da mal'aria, come Ravenna, Bagnacavallo, Lugo, Bologna, oltre le Pontine. Da questi e dal tributo de' vassalli traeva mille ottocento scudi d'oro: ma i pi? erano assorbiti dall'interesse de' Monti: oltre quel che si profondeva pe' magistrati e pei nipoti, e il moltissimo in ricomprar feudi da abolire. Alla lista particolare del papa servivano gli uffizj camerali della Dateria, regali che venivano ancora lautissimi. Inoltre egli aveva i migliori modi di premiare, donando senza suo aggravio, e conferendo una dignit? pari alla regia. Tutto ci? rendeva potente il papa, e, soggiunge il Botero, -- Nulla dico dell'autorit? che gli arreca la religione; nulla dell'interesse che gli altri principi d'Italia hanno nella conservazione dello Stato ecclesiastico, la cui depressione sarebbe rovina loro; nulla della potenza con la quale i principi stranieri si moverebbero a prendere la protezione della Chiesa e per vaghezza di gloria e per ragion di Stato. Nella guerra di Ferrara pose in piedi ventimila soldati in un attimo, il che non potrebbe niun principe d'Europa>>. Nelle frequenti e non brevi vacanze le citt? rizzavano la cresta, e i prischi signori le pretensioni di dominio; sempre poi stavano in occhi che qualche parente del papa o cardinale non ottenesse diritti a scapito loro, e se ne riscattavano a denaro, a rimostranze, talvolta a viva forza. Faenza festeggiava ogni anno il giorno che, in giusta battaglia, cacci? gli Svizzeri di Leon X; e Jesi quello in cui si sottrasse alla tirannide del prolegato; ad Ancona, al contrario, fu messo il freno con esercito e fortezza; Perugia, che erasi ricusata all'imposta del sale, fu interdetta e doma coll'armi di Pierluigi Farnese, abrogandone gli antichi privilegi. I governatori poteano essere laici, ma le citt? aspiravano all'onore d'averli ecclesiastici. Al pari dunque dello Stato veneto, l'autorit? sovrana rimaneva in man de' Comuni, che spesso teneano dipendenti altri Comuni; a Venezia soprastavano i nobili, a Roma la curia: ma mentre a Venezia il corpo sovrano considerava come avito retaggio i diritti governativi, alla curia romana gli elementi si cangiavano ad ogni conclave, coll'introdursi parenti e compatrioti del nuovo papa; a Venezia gl'impieghi erano conferiti dal corpo, a Roma dal capo; col? severe leggi imbrigliavano i governatori, qui non li teneva in dovere che la speranza di avanzamenti; col? insomma la stabilit?, qui mutazioni continue ad arbitrio. Roma aveva l'aria d'una citt? di principi, vere corti tenendovi ciascun cardinale, e i Barberini, i Farnesi, i Chigi, i Panfili, altre famiglie vecchie e nuove. Cinquanta ve n'era allora, che contavano pi? di trecento anni di nobilt?; trentacinque pi? di ducento; sedici d'un secolo; antichissimi gli Orsini, i Conti, i Colonna, i Gaetani, e que' Savelli che liberavano uno da morte ogn'anno, e le cui donne non uscivano che in carrozze chiuse. Dalla campagna ove soleano far la vita feudalmente, vennero costoro a Roma quando i Monti lautamente fruttavano, poich? ciascuna casa ne aveva eretti, ai creditori assegnando la rendita de' proprj beni: ma scemati il credito e gl'interessi, andarono in dechino. Dai Romagnuoli eransi sempre cerniti i migliori soldati, ma il Governo cercava distogliere dalle abitudini guerresche. Il popolo medio e basso attendeva a tranquille fatiche. I nobili, chiamati all'amministrazione municipale, senza industria n? arti n? educazione, s'agitavano in minuziose irrequietudini; i titoli di Guelfi e Ghibellini applicavano a dissensioni nuove; n? citt? v'era, n? famiglia che non fosse aggregata agli uni o agli altri, distinguendosi nell'abito, < Anticamente i signorotti doveano affrettarsi a rinnovare i villaggi man mano che ruinati, se voleano mettere a valore i fondi. Ma dopo che essi furono spossessati o trasferironsi in citt?, que' villaggi restarono abbandonati, e al luogo loro il deserto. La peste del 1590 e 91, che uccise settantamila abitanti, spopol? borgate e castelli della Romagna e dell'Umbria, e le campagne rimaste incolte a vicenda divenivano causa di spopolamento. Tal condizione favoriva i briganti, al qual mestiero si buttavano i malcontenti, ostentando come virt? questo abuso della bravura. Con loro metteasi chiunque volesse scialare furfantando, e preti e frati sottraentisi al giogo. I signorotti confinanti gli accoglievano, altri gli adopravano a particolari vendette, o traevano lucro dal comprarne le spoglie, o dall'immunit? che procacciavano ai minacciati. V'avea chi mettevasi a vivere ne' presbiterj alle spalle de' curati, altri obbligavano i monaci a profonder loro il pane destinato ai poverelli; mandavano bandi in nome del popolo romano; nelle strade pi? frequentate derubavano i passeggieri, talch? i mercanti non osavano condursi ai mercati; entravano a spogliare i magazzini nel bel mezzo di Roma; impedivano i corrieri; pi? non era sicuro chi in fama di denaroso; chi avesse un nemico, vedeasi i beni devastati, uccise le mandre, invase le abitazioni, stuprate le figliuole. Divisi in s?tte, distinte per segnali, trucidavano mariti perch? le vedove potessero sposar uno della fazione opposta; costringevano fanciulle ricche a fidanzarsi ad abjetti e banditi, o le traevano di monastero per buscare le doti. Raffinavano anche di crudelt?; ne' boschi piantavano tribunali, ove prefiggevasi chi svaligiare, chi trucidare e con quali spasimi, o a quanto prezzarne il riscatto. In Roma stessa i signori tenevano buon numero < I bandi moltiplicavansi; ma chi avesse adoprato la forza della legge e la giustizia contro alcuno di que' bravi, pi? non isperasse tregua finch? non avesse scontato acerbamente la pena; i birri cadevano trucidati nelle pubbliche piazze. Nel 1583 questi colgono un bandito in casa degli Orsini, ma nel partire sono affrontati da un Orsini, da un Savelli, da un Rusticucci coi loro staffieri, che intimano di rilasciarlo, perch? preso in luogo di franchigia. Il bargello ricusa, questi si ostinano, e l'Orsini d? una vergata al bargello, il quale ordina di adoprar le armi; il Rusticucci cade ucciso, gli altri due feriti a morte. I vassalli degli Orsini ne' giorni seguenti < I vicini, che Gregorio avea mal disposti colla sua tenacit? ai diritti papali, lo videro volontieri nelle male peste, ed aprivano ricovero ai masnadieri quando fossero rincacciati, sicch? n? la forza approdava n? le scomuniche. Assalito seriamente, il Piccolomini si ritir? sul Toscano; poi nojato dell'ozio, nel 1581 ricominci? i guasti; e il papa dovette calar seco a patti, e per intermezzo del granduca gli restitu? i beni, e perdono a lui e a tutti i suoi. Il terribile fece solenne entrata in Roma, prese alloggio nel palazzo Medici, e present? per l'assoluzione tal lista di assassinj, che il papa inorrid? e pi? al sentirsi intimare che bisognava o assolverli, o vedersi assassinato il proprio figliuolo. Altrettanto imperversava nell'Abruzzo Marco Sciarra, che faceasi chiamare re Marcone, e a capo di seicento banditi, dandosi mano con quei dello Stato Pontifizio, diffondea largo spavento; saccheggi? perfino il Vasto e Lucera uccidendo il vescovo, e per sette anni continu?, ridendosi di quattromila soldati spediti contro lui dal vicer? conte di Miranda. Com'egli mor?, i banditi ricomparvero dappertutto con baldanzosissime iniquit?; i frati del convento del Popolo si sguinzagliarono, e ai birri chiamati dal priore resistettero e ne uccisero, poi raccolto il buono e il meglio si salvarono. Il padremastro vide rubati i ricchissimi arredi di cui aveva ornata una cappella della Minerva, e dal dolore mor?. Cinque case di cardinali furono svaligiate, e sin quella del Farnese, bench? vi avesse sei guardie e pi? di trenta cortigiani; alcuni nobili con bande di sessanta, di cento, correano rubando, violando, rapendo, sicch? Roma pareva una foresta; i vicelegati, i governatori, gli auditori profittavano della vacanza per espilar le provincie, scarcerare delinquenti, vendere la giustizia, concedere indulti. Reprimer tanti disordini fu il principale intento del nuovo papa Sisto V . Chiamavasi Felice Peretti, da Montalto presso Ascoli, e dal custodire i majali levollo un suo zio francescano, l'educ?, il pose frate. Unitosi a quei che zelavano la rintegrazione della Chiesa, sal? di grado in grado fin ai sommi. Rigoroso inquisitore, caldo pei diritti pontifizj, bench? come cardinale frate vivesse di limosina, soccorreva ai poveri, sicch? acquist? venerazione. Non che aspirare al papato, mostrava pensar solo a morire; e le visite consuete prima d'entrare in conclave fece < Anzitutto bisognava riparare al vuoto dell'erario e ai briganti. Soleva ogni nuovo papa graziare molti carcerati, talch? durante il conclave i contumaci si costituivano nelle prigioni, sicuri d'ottenere l'indulto. Mal per loro, ch? questa volta egli volle severa giustizia; e il giorno della coronazione, la folla andando pel Ponte in Vaticano vedeva spenzolar dal castello quattro giovani, c?lti con armi corte. Nella cavalcata di possesso a San Giovanni Laterano, minacci? guaj a chi disturbasse con pretensioni: chi suscitasse scandalo con risse, parole, ingiurie o qualsiasi insolenza, avrebbe prigionia di tre anni se nobile, la galera per cinque se persona ordinaria, la frusta se donna. Il canonico Carelli, al quale egli doveva il suo primo innalzamento, aveva un nipote inquisito per ratto; e Sisto il fece impiccare davanti alla casa violata, allo zio dando licenza di sepellirlo in terra sacra e il vescovado di Amantea. Fatto un catalogo di tutti i vagabondi, maneschi, spadaccini, scioperati, rinnova le taglie, ma non si pagherebbero pi? dalla Camera, bens? dai parenti o dal Comune: dal Comune o dal signore, sul cui territorio avvenisse un ladroneccio, doveano rifarsi i danneggiati. De' cardinali prefin? il numero a settantadue, di cui sette vescovi suburbicarj, cio? di Velletri, Porto Santa Ruffina, Civitavecchia, Frascati, Albano, Palestrina, Sabina; cinquanta preti; il resto diaconi. Si distinguevano i cardinali principi, viventi con isfarzo, e che riguardavano gli altri come inferiori; i cardinali politici, che dirigendo gli affari arricchivano; e i cardinali poveri, la pi? parte frati, mantenuti dai papi o dai cardinali superiori, e dediti agli studj e alla piet?. Sisto voleali sottoposti ai decreti come tutti gli altri, bench? zelasse il loro decoro in faccia ai potentati; fossero principi altrove, ma sudditi in Roma. Alle sette loro Congregazioni, dell'indice, dell'inquisizione, dell'esecuzione e interpretazione del Concilio, de' vescovi, de' regolari, della segnatura e della consulta, crebbe importanza, e ne aggiunse otto altre, una per fondare vescovadi nuovi, una sopra i riti, le rimanenti per materie temporali, l'annona, le strade, l'alleggiamento delle imposte, le costruzioni guerresche, la stamperia vaticana, l'Universit? di Roma. Quella del buon governo dirigeva gl'interessi economici delle comunit?. La sacra Consulta rivedeva gli affari criminali, e reprimeva gli eccessi de' baroni e de' governanti. Il tribunale delle due Segnature, cio? di grazia e di giustizia, provvedeva sui ricorsi presentati al pontefice per semplice grazia o in materia mista, come la restituzione in intero. Pure ne' tempi successivi, dovendo sussidiare i Cattolici sia contro i Protestanti, sia contro i Turchi, bisognarono nuovi acconci, e imposte sulla farina, sulla carne, su altri consumi, e sempre assegnavansi a creditori; talch? dal crescente aggravio de' sudditi ben poco vantaggiava la Camera, e lo Stato pontifizio rest? gravato quant'altri. Secondo il Leti, ai papi entravano di rendita ordinaria 1,273,344 scudi d'oro; di straordinaria e per ammende e diritti di cancelleria, altri 413,480. Sisto V li crebbe con nuove imposte, col riscuotere crediti vecchi, aggravar le ammende, fare ai Giudei pagar la protezione che otteneano dal Governo, e con un'economia di cui si vantava a ragione. Restrinse le spese e gli uffizj di corte: delle cariche venali elev? il numero fin a trentaseimila cinquecencinquanta, dalla cui vendita ritrasse 5,547,630 scudi, e ciascuna grav? di tasse; crebbe i monti vacabili e no; pose gabelle sui viveri pi? indispensabili; alter? fin le monete. Trovato il tesoro esausto, fra un anno v'ebbe avanzato un milione di scudi d'oro, e cos? ne' quattro anni successivi: e appena vi contasse un milione, il deponeva in Castel Sant'Angelo consacrandolo alla beata Vergine e ai santi Apostoli, come nell'Antico Testamento serbavasi nel tempio; e nella bolla, assicurando che provenivano da suoi risparmj, stabiliva che a quel tesoro non si dovesse por mano se non per ricuperare Terrasanta, ed anche allora unicamente dopo che l'esercito avesse gi? passato il mare; o per estrema carestia o peste, o quando alcuna provincia cristiana pericolasse di essere occupata da infedeli, o quando alcun principe portasse guerra allo Stato della Chiesa; ma sempre nell'estremo della necessit?. Gravar il paese e far prestiti per riporre denari infruttiferi, ? uno sbaglio perdonabile a tempi che non conosceano come il denaro vaglia unicamente in quanto ? posto in giro. Con tali mezzi pot? restituire qualche splendore alla tiara. Blandito dai potentati pel suo denaro, e' li chet? di lor pretensioni, e se gli ebbe devoti, quanto avversi il suo predecessore; conciliossi i signori del paese; largheggi? privilegi alle citt? di Romagna, ad Ancona molti diritti antichi, a Fermo l'arcivescovado, vescovado a Tolentino e al suo nat?o Montalto; ridusse a citt? Loreto; avvi? in bene l'amministrazione civica; moltiplic? le spese straordinarie, che prima coprivansi con cenquarantaseimila scudi, e pi? di tre milioni e ducentomila ne erog? in sole fabbriche; favor? l'agricoltura, e minacciosamente comand? di piantar gelsi; incoragg? i lavorieri della seta e della lana; cerc? disseccar le paludi d'Orvieto e le Pontine, spendendo ducentomila scudi per aprire il fiume che serba il suo nome; avrebbe voluto che ciascun nunzio avesse palazzo proprio nella citt? ove risedeva. Sisto V, quand'era ancora il cardinale Montalto, incaric? Domenico Fontana luganese di far la cappella del presepio in Santa Maria Maggiore; ma privato delle pensioni dal pontefice, sospese la commissione. Il Fontana per? invaghitosi dell'opera propria, esib? continuarla del suo: del che gli volle tanto bene Sisto, che venuto papa non solo gli diede a compire essa cappella, notevole per le eleganti proporzioni della cupola, e il vicino palazzo , ma lo sovrappose a tutte le sue opere, talch? i loro nomi vanno associati. Degli antichi obelischi restava in piedi quel solo del Vaticano, mezzo sepolto; e per trasportarlo davanti al rinnovato San Pietro si consultarono quanti erano matematici; e di cinquecento pareri fra dotti e bizzarri fu preferito quel del Fontana. Parendo egli troppo giovane, bench? di quarantadue anni, l'attuazione voleva affidarsene all'Ammanati e al Della Porta, ma dal suo papa egli ottenne di eseguir egli stesso quest'operazione, ch'era senz'esempio nella meccanica moderna. L'obelisco, che col rivestimento pesava un milione e mezzo di libbre, doveasi toglierlo dal suo basamento, sdrajarlo sui carri, raddrizzarlo, impostarlo sulla base nuova. Sisto scelse a tale operazione un mercoled?, giorno che diceva tornargli sempre fausto; universale ansiet? occupava i cittadini; pena la forca a chi dicesse sillaba, a rischio d'impacciare i comandi dei capi; l'architetto stava sospeso fra la gloria e i castighi minacciatigli dal severo pontefice. E gi? l'obelisco era trasferito, alzato vicino al posto, ma le tagliuole non poteano avvicinarsi tanto da raddrizzarlo, quando un villano, di mezzo alla tacita folla, grid?: -- Acqua alle corde!>>. Ottimo suggerimento, che impediva si schiantassero, e le accorciava; sicch? ben tosto le campane e il cannone di Castello annunziarono riuscita l'impresa, che fu avuta come la pi? insigne del secolo. Sisto decor? cavaliere e nobile il suo architetto, gli regal? cinquanta scudi d'oro e tutto il materiale che avea servito, gli assegn? dieci cavalierati lauretani con duemila scudi d'oro di pensione, trasmissibili a' suoi eredi. Il villano, che aveva affrontato la forca per dar un parere opportuno, chiese in ricompensa pel suo villaggio nat?o il privilegio di fornir di ulivi la citt? per la festa delle palme. Sisto annunzi? il fatto ai principi e al mondo, coni? medaglie; tanto si compiaceva d'esser riuscito a quel che gli altri pontefici aveano tenuto impossibile. Dappoi fece erigere gli altri obelischi di Laterano, di Santa Maria Maggiore, di piazza Popolo, e volt? la cupola di San Pietro. Se gi? Michelangelo aveva adoprato le pietre del Coliseo per murare il palazzo Farnese, e staccato un architrave del tempio della Pace per farne base al Marco Aurelio, non ? meraviglia che Sisto, poco devoto al bello etnico, non siasi fatto scrupolo di abbattere il Settizonio di Severo per trasferirne le colonne a San Pietro; pensava demolire il sepolcro di Cecilia Metella ed altri, che gli parevano ingombri deformi; sfasci? la venerabile e caratteristica antichit? del patriarcheo papale, sostituendovi il palazzo Laterano senza impronta significativa; quell'Apollo, quelle Veneri non gli pareano arredi da Vaticano; a una Minerva in Campidoglio cangi? la lancia in croce; le due colonne Trajana e Antonina sprofan? col sovrapporvi i santi Pietro e Paolo, e all'obelisco fece innestare un pezzo della vera croce, perch? i monumenti dell'empiet? fossero sottoposti al simbolo della fede l? dove tanti per questa aveano patito. La popolazione di Roma che, sotto Paolo IV, sommava appena a quarantacinque mila anime, sotto lui arriv? alle centomila, gente d'ogni nazione, il cui vario vestire dava bizzarra vista, e che attaccavasi a corteggiar questo o quel Cardinale, sperando e brigando perch? il loro patrono giungesse al principato o a cariche onorevoli e lucrose. I favoriti poi e i parenti di ciascun papa costituivano una nobilt? nuova e nuove fortune. Un indebitato rifugge nel palazzo del cardinale Farnese, e i birri pontifizj ve l'inseguono malgrado le immunit?; ma i gentiluomini del cardinale li maltrattano, e fan cansare l'inseguito. Il papa in collera ordina si proceda con tutto rigore; ma si oppongono i baroni romani e l'ambasciatore di Spagna, e ne nasceva tumulto se il cardinale non avesse avuto la prudenza di ritirarsi con folto seguito di partigiani e di popolo. Gli uffizj di Ranuccio Farnese di Parma calmarono il pontefice: il popolo grid? -- Viva casa Farnese>>; ma il cardinale e i suoi, bench? perdonati, non si fecero premura di ritornare. Il papa n'ebbe amareggiati gli ultimi giorni; ne' quali si abbandon? al cardinale nipote; e la sua casa, fiorente allora di tre cardinali e molti signori, ben presto rimase estinta. Le missioni della Cina sono l'epopea de' Gesuiti, che si pu? dire, la scopersero; n? fu colpa loro se non venne alla nostra civilt?. Quando vi si avvi? primiero Francesco Saverio, vi condusse il padre Paolo da Camerino. Il padre Matteo Ricci da Macerata, mandatovi coi due altri italiani Rogero e Pasio, vi fond? le prime missioni; e conoscendo che bisognava mostrarsi letterato, fece un mappamondo ove collocava la Cina nel mezzo, e un breve catechismo in quella lingua; insegn? chimica e matematica; e le quindici opere sue sono le prime che Europei dettassero in cinese, e alcuna ? posta fra le classiche da quel popolo geloso. Avea creduto dover condiscendere ai costumi e alle opinioni dei Cinesi fin dove non cozzassero colla vera fede, onde togliere le repugnanze che un popolo eminentemente storico aveva al cristianesimo: e siffatta tolleranza fu l'accusa pi? violenta che poi recarono ai Gesuiti quelli che per avventura continuavano a imputare l'intolleranza cattolica. Come superiore di quelle missioni gli fu surrogato Nicola Lombardi siciliano, autore di scritti importanti su Confucio. Francesco Giuseppe Bressoni, gesuita romano, predic? ai Canadesi e agli Uroni; preso dagli Irochesi, fu venduto agli Olandesi mutilo e ferito; appena guarito torn? fra gli Uroni, ove i segni del suo martirio lo rendeano pi? venerabile; distrutti questi, rivide l'Italia, dove si diede alla predicazione, e stese un breve ragguaglio delle missioni nella Nuova Francia. Filippo Salvatore Gilli, gesuita romano, predic? per diciott'anni sull'Orenoco, sette anni a Santa F? di Bogota, e ne di? la descrizione. E quanto deva la geografia ai missionarj, pu? raccogliersi da una dissertazione del cardinale Zurla. Add to tbrJar First Page Next Page |
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