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Munafa ebook

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Read Ebook: Storia degli Italiani vol. 11 (di 15) by Cant Cesare

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Ebook has 758 lines and 191380 words, and 16 pages

Francesco Giuseppe Bressoni, gesuita romano, predic? ai Canadesi e agli Uroni; preso dagli Irochesi, fu venduto agli Olandesi mutilo e ferito; appena guarito torn? fra gli Uroni, ove i segni del suo martirio lo rendeano pi? venerabile; distrutti questi, rivide l'Italia, dove si diede alla predicazione, e stese un breve ragguaglio delle missioni nella Nuova Francia. Filippo Salvatore Gilli, gesuita romano, predic? per diciott'anni sull'Orenoco, sette anni a Santa F? di Bogota, e ne di? la descrizione. E quanto deva la geografia ai missionarj, pu? raccogliersi da una dissertazione del cardinale Zurla.

Pochi noi accenniamo de' moltissimi che, senz'altra speranza che del paradiso, senz'altra ricerca che delle anime, corsero fra' popoli selvaggi o fra' rimbambiti: ma non ci parve dover dimenticare questi eroi della fede e della civilt?, e riposammo sui loro trofei prima di raccontare le troppe miserie della loro e nostra patria.

CAPITOLO CL.

Savoja. Emanuele Filiberto. Carlo Emanuele. Genova. Congiura del Vachero.

Il ducato di Savoja, il principato di Piemonte colla contea di Nizza, la supremazia sui marchesati di Saluzzo e di Monferrato, su Ginevra e il paese di Vaud, la Bresse, il Bugey, il paese di Gex, componevano il retaggio dei discendenti di Umberto Biancamano. I paesi oltremonti divideansi in baliati militari, ciascuno con un giudice, e spesso un ricevitore. Di qua dell'Alpi, il Canavese e val di Susa formavano un baliato, uno la val d'Aosta; gli altri paesi, di cui principali Torino, Carignano, Pinerolo, Moncalieri, Cumiana, Cavour, Vigone, Villafranca, stavano sotto al capitano del Piemonte.

Gi? v'era di pubblico obbligo il servizio militare, e Amedeo contava ventisettemila uomini abili alle armi; ma esentavansi a prezzo, e vero esercito nazionale si ebbe soltanto sotto Emanuele Filiberto verso il 1560. Il dominio di Nizza diede anche forze marittime; e navi armava il duca Lodovico verso il 1460.

Crebbe il disordine Lodovico, assegnando grossi appannaggi ai molti suoi figliuoli, che arrogavansi ciascuno l'arbitrio principesco fin di assolvere a denaro i delitti, dar moratorie, e altri abusi. Dopo ci?, che importa se Lodovico proteggeva le lettere, e andava talvolta coi principi ad ascoltar i professori dell'Universit?? Cominci? egli a mettere negli alti uffizj qualche Piemontese; come a quel di cancelliere di Savoja Giacomo Valperga di Masino, che poi dopo lunghi processi fu affogato nel lago di Ginevra e al fisco i suoi beni, indi riconosciuto innocente; Antonio di Romagnano, che a pena colla fuga si sottraesse al supplizio.

Contava appena settecentomila sudditi nel Piemonte, cinquecentomila in Savoja, e salvo Nizza, poveri, inerti, e tutta rabbia fra Guelfi e Ghibellini, Savojardi e Piemontesi, nobili e plebei, Protestanti e Cattolici. Le case si erano scompaginate per le spese della guerra di Francia. Delle savojarde prevalevano i signori de La Chambre, e i conti di Guier, di Rinavia, d'Antormon: delle Piemontesi le Piossasca, Luserna, Valperga, San Martino se eran le prime confederate a casa di Savoja: i signori di Collegno tenevano ventiquattro castelli con giurisdizione di sangue e trentamila scudi d'entrata. Quei che avean servito Francia la rimpiangeano: quei che Savoja, credeansi non abbastanza premiati. Ai ministri poco potea fidarsi, perch? pendeano chi per Spagna, chi per Francia, speculandovi maggior vantaggio che dal mostrarsi italiani. Volea vedersi pagate le tasse? bisognava ricorresse a capi di fazioni, quali il conte Masino o quel d'Arignano, monsignor di Racconigi o quel della Trinit?. Nello scompiglio sentesi il bisogno d'un ordine, quand'anche sia a scapito della libert?.

Emanuele Filiberto, avvezzo ai comandi soldateschi, indispettiva di trovarsene or rallentato nelle sue riforme, or impedito ne' suoi divisamenti; e avendo la Camera de' conti di Torino ricusato interinare un contratto di lui, esso le scrisse di farlo subito, <>. Alfine tolse via questa rappresentanza, solo mantenendo a Carignano il senato, sul modello de' parlamenti di Francia, col diritto di interinare le leggi e le grazie del principe. Il suo consiglio di Stato riceveva le suppliche di grazia, e poteva anche derogare le decisioni dei tribunali.

Scioltosi dai ritegni, pose moltissime gravezze, cercando vi partecipassero tutti; e la rendita che sotto i predecessori giungeva appena da sessanta a settantamila scudi d'oro, port? a cinquecentomila. Per concentrarne l'amministrazione nomin? generale tesoriero Negrone di Negro genovese, il quale introdusse ordine e regolarit? nel maneggio del denaro pubblico, e un contrabollatore generale. Pio negli atti, l'educazione de' giovani affid? a quelli che allora godeano maggior grido di virt? e dottrina, i Gesuiti: volle s'imparasse a leggere sul catechismo e sull'uffizio, non sui versi lascivi di Ovidio: la censura delle stampe affid? al senato. Dichiar? inabili a succedere i religiosi n? le fraterie ad acquistare, e ogni vent'anni pagassero il sesto del valore de' loro beni; fond? uno studio a Mondov?, poi trasferito a Torino, ove insegnarono il giureconsulto Aimone Cravetta di Stigliano, Giovanni Argentaro capo di scuola medica, Agostino Bucci filosofo, il francese Cujaccio, il reggiano Panciroli, il pavese Menochio, il Goveano portoghese; invit? gli stampatori Torrentino e Bevilacqua, e cerc? a segretario Annibal Caro e a consigliere Nicol? Balbo. Promosse il commercio marittimo; cre? un magistrato sopra la mercatura, uno sopra le acque; miglior? le razze cavalline; favor? il traffico de' panni di seta, e ordin? di piantar gelsi, fin allora quasi ignoti. Alleviando i dazj, trasse pel suo paese il transito delle merci fra Italia e Fiandra; ma fuori non potea mandare che alquanto bestiame e caci: l'industria era in fasce, e tutto tiravasi dalle fiere di Ginevra e di Parigi.

Il 30 ottobre 1561 aboliva ogni resto di servit?, taglia o manomorta, angarie e perangarie, vincolo a testare o contrattar liberamente, facendo cos? franchi tutti i sudditi. Viet? le armi, sino ai capi delle compagnie giojose e delle maestranze; di servire, di studiare, d'addottorarsi fuor di Stato, e le conventicole politiche, che oggi si chiamano circoli o club e allora abbazie, e l'accordarsi col fisco nelle cause politiche. Insomma governo assoluto, temperato solo dalla prudenza del principe; militare ordinamento del paese, per aver forze da servire all'alleato che le circostanze presentassero; non aderire a Spagna pi? che a Francia, straniere entrambe, ma a quella che meglio profittasse; invece di tenersi neutrale fra i litiganti, sposarne alcuno; non guardare agl'interessi di veruna terra o citt?, ma a quel dello Stato, furono le massime ch'egli introdusse, e che trasmise a' successori suoi.

Il paese era gi? foggiato a monarchia, e un principe nazionale era il ben arrivato dopo gli strazj degli stranieri, tanto pi? ch'egli non s'abbandon? alle vendette, laonde i popoli, dapprima propensi a Francia cui tanto somigliavano per ordini civili e politici, apprezzarono quello che li redimeva dal giogo forestiero, e presero a considerarsi italiani, per quanto divisi tra la patria oltremontana, la cismontana e la nuova, che fu Nizza. Un profondo motto usc? dalla bocca di lui: -- Chi riceve l'ingiuria, spesso la perdona; chi la fece, non mai>>.

I Medici, i cui padri aveano bottega quando i principi di Savoja gi? portavano corona, ricordavano di esser principi indipendenti quando Emanuele Filiberto combatteva o governava la Fiandra a servigio di Spagna; quindi emulazione continua fra le due Case, l'una poderosa di armi, l'altra d'una civilt? raffinata. I Medici, non potendo ottener il titolo di re d'Etruria, cercarono quello di granduchi, e come tali pretesero il passo sopra i duchi di Savoja. Questi allora a sollecitare qualche titolo regio, e Carlo procur? far valere sull'isola di Cipro le ragioni tramandategli da' Lusignani: trentacinquemila Cristiani di col? offrivansegli pronti a insorgere contro i Turchi se appena vi comparissero sue navi; ma i Turchi avvedutisene, molti uccisero e imprigionarono; pure Carlo si titol? re di Cipro, per quanto glielo contrastassero i Veneziani.

Non sapeva egli dimenticarsi che i suoi aveano perduta Ginevra, onde ne tent? un'audacissima scalata ; gi? ducento uomini v'erano penetrati, quando furono scoperti ed uccisi. Impresa narrata a disteso dagli storici, cantata dai poeti, memorata tuttora dalle canzoni popolari e da annuo digiuno, come quella per cui Ginevra sfugg? al pericolo d'esser cattolica e serva. Fu l'ultimo tentativo di conquiste transalpine; e i duchi, risoluti d'ingrandire in Italia, vedevano l'importanza d'aver un piede sul mare, onde Carlo Emanuele adocchiava Genova.

Questa repubblica in dechino non sapeva ancora persuadersi che il meglio d'un paese non viene da ripetute innovazioni, sibbene dall'assodare le proprie istituzioni. La libert? che aveale data Andrea Doria era tutta d'aristocrati; essi soli reggeano lo Stato; d'essi i dodici senatori, che eleggevano il doge, biennale come loro; d'essi il collegio camerale di otto senatori pel maneggio delle pubbliche entrate; d'essi i ducento del minor consiglio; al gran consiglio entravano tutti i patrizj, compiti i ventidue anni. Come chi possiede ricchezze e non forza di difenderle, eccitava l'avidit?, e intanto s'indeboliva colle irremediabili discordie tra i diversi ordini e tra le famiglie.

Genova in generale era ben disposta a Spagna, s? per memoria di Carlo V che l'avea resa in libert?, e del Doria e dello Spinola che capitanarono le armi di quella; s? perch? quei re prendeano grossi prestiti da' suoi negozianti, pagandoli colle gabelle del Milanese e del Napoletano, e ne adopravano le navi a trasportar truppe in Italia: spagnuolo si parlava nelle case; spagnuolo predicavasi al popolo. Ma Filippo II mentre blandiva i Genovesi come opportuni ad assodare la sua dominazione sull'Italia, forse meditava l'acquisto della Liguria; confortatone pure dal granduca di Toscana, che ne sperava una parte. Don Giovanni, il famoso bastardo d'Austria, comandando la flotta spagnuola nel Mediterraneo, si lusing? impadronirsi della citt? e farsene un dominio proprio; ma i nobili nuovi, apponendone la colpa ai vecchi, arruffarono il popolo, che lo respinse di citt?.

Sulla riviera, oltre un cinquanta terre rimaste feudi imperiali immediati e detti le Langhe, casa Del Carretto avea conservato il Finale, feudo anch'esso dell'Impero; ma venendogliene continui contrasti con Genova, lo vendette a Spagna. Questa da gran pezzo v'avea gola come opportunissimo per trarne il sale e farvi approdar le sue truppe, che pei monti verrebbero nell'Alessandrino senza bisogno di chiedere il passaggio a Genova, e incorpor? il Finale al ducato di Milano . Se ne dolse Genova, che infine lo ricompr? dall'imperatore per sei milioni di lire genovine.

Ma col crescere i piccoli suoi feudi ella preparavasi inciampi. Scipione Del Carretto avea venduto al duca di Savoja il marchesato di Zaccarello, feudo di pochissima rendita in paese montuoso e sterile, ma che dava i passi dall'Appennino nella pianura d'Albenga, e perci? a turbare la dominazione ligure. Per? l'imperatore abrog? quella vendita, e come d'omicida il confisc? e mise all'asta, e Genova comprollo per censessantamila talleri.

Carlo Emanuele indispettito, se ne incalor? alle ambizioni, e chiese ajuti alla Francia , sempre disposta ai nemici dell'Austria; e con quel connestabile Lesdigui?res, di cui erasi mostrato nimicissimo, fece trama di conquistare e spartire il Milanese, il Monferrato, la Corsica, oltre il Genovesato, del quale la citt? e la riviera di Levante resterebbero a Francia come valico al Milanese e alla Toscana, a Savoja quella di Ponente. Gli armamenti tradiscono la segreta conclusione, e Italia esclama contro quest'ambizioso che la trabalza in nuove guerre, e le trae addosso i Protestanti. Genova nell'istante pericolo ricorre al governator di Milano, si munisce alla meglio; e s? formidabile pareva l'attacco, che si pens? abbandonare la Riviera, restringendosi a difendere la capitale: ma altri persuasero a sostenere Savona e Gavi, e i ricchi genovesi non le mancarono nel bisogno, giacch? il principe Doria offr? quattrocento archibugieri, ducento Gian Francesco Serra, cento Pier Maria Gentile, e cos? altri, armati e mantenuti. Irruppero di fatto Savojardi e Francesi, ma non osavano affrontare una citt?, sempre risoluta nel tutelare l'indipendenza: intanto giunsero oro e galee di Spagna e di Napoli, soldati di Lombardia, il cui governatore obblig? Carlo Emanuele a sloggiare, in Acqui gli tolse i viveri, le munizioni, e fin gli argenti e le livree predisposti pel trionfo. Francia, che gli avea promesso soldati e navi, senza darne parte a lui o a Venezia o al papa, conchiuse con Spagna la pace di Monson . Il duca non pot? che sbuffare, e cercar di nuocere alla Francia raccomodandosi colla Spagna; e mentre l'abate Alessandro Scaglia, astuto suo ministro, intrigava contro del ministro Richelieu, egli ridestava in Genova le fazioni de' nobili antichi e de' nuovi. Queste ne' circoli facevano opposizione a ogni atto del consiglio, contrasto ad ogni sentenza de' tribunali; <>.

Uno de' pi? schiamazzanti in que' circoli era Giulio Cesare Vachero, superba natura, arricchito coi traffici e coi dadi, contaminato di sangue e di stupri, e insofferente di star sottoposto a quelli cui credea superare per meriti. Com'? stile de' pari suoi, gridando patria e libert?, batteva particolarmente il senato, perch? coll'eleggere celibatarj o vecchi o poveri eludesse quel provvedimento del 1575, di ammettere ogn'anno fra i nobili dieci plebei.

Carlo Emanuele lo trov? opportuno a guastar Genova, e non rifuggendo dal tramare con ribaldaglia, lo istig? per mezzo d'un Gianantonio Ansaldi, arnese della stessa risma, caro ai giovani perch? urlava contro la nobilt?. Essi dunque, istrutti sul Machiavelli, fidando nel duca che prometteva soldati e mandava pistole, tramarono d'assalire coi Polceveraschi il senato, trucidare i cittadini del libro d'oro, restituire al popolo la libert?, i magistrati, gli onori, erger doge il Vachero, e riformare la costituzione. Ma scoperti , il Vachero fu preso, e feroce sin all'estremo fin? sulle forche; il duca, che avea gittato la maschera, e fin minacciato rappresaglia, dovette restarsi colla voglia e colla vergogna. Genova poi, per mediazione del re di Spagna, pag? al duca censessantamila scudi d'oro, e ritenne l'ambito Zaccarello, assicurando l'impunit? ai congiurati ch'erano rifuggiti a Torino: e ogni anno al San Bernardo festeggiava la sua liberazione dall'avido vicino.

La lunga guerra avea mostrato a Genova la necessit? di munirsi; laonde s'aggiunse un quarto ricinto di mura, che per otto miglia dalla Lanterna alla valle del Bisagno, serpeggia su per le creste dei monti; immensa difficolt?, ma il nome del duca di Savoja bastava ad eccitare coll'ira la perseveranza: diecimila operaj vi davan opera, sospesa ogni altra costruzione , e spendendovi dieci milioni, s'ebbe una delle opere pi? vantate in tutta Europa. Ne fu architetto fr? Vincenzo Maculano piacentino, gi? inquisitore poi cardinale e quasi papa; e che fu pure a munir Malta. Genova procur? domare i corsari, e come portava le reliquie del Battista sul lido onde frenare le tempeste, cos? sudava a tenersi in pace colle potenze che soffiavano nelle interne fazioni, e a conservarsi neutra fra le pretensioni e le guerre di Francia, Spagna, Impero.

Quando i titoli valeano tanto, Genova pens? acclamare la propria indipendenza coll'attribuirsi titolo regio a cagione della Corsica, e investendone la Madonna. Nella cerimonia il doge consegn? lo scettro e la corona all'arcivescovo, che l'accettava per la Madonna; se ne rog? istromento; e levata alla moneta l'antica leggenda di re Corrado II, vi si pose Maria col motto Et rege eos. Il doge dovea vestir porpora, manto reale, corona; a' senatori e governatori di Corsica, agli ambasciadori e generali di galee il titolo d'eccellenza; il palazzo della Signoria s'intitolasse reale. De' suoi cittadini non pigliava tanta gelosia come Venezia; lasciava acquistassero ricchezze e Stati da principi forestieri, titoli, comandi di mare e di terra, senza per ci? escluderli dal supremo Consiglio. Per? nel 1607 fu ordinata una legge simile all'ostracismo di Atene e al discolato di Lucca; cio? che a certi tempi s'accogliesse il consiglio minore, e ciascun membro di questo notasse i nomi di chi credeva pericoloso alla patria; e se alcuno si trovasse in quattro schede, era relegato per due anni. Iniquit? che impediva gli atti vigorosi, non le vere malvagit? degli ambiziosi.

Il banco di San Giorgio continuava ad essere un modello d'ordine e di buona economia, in mezzo allo scompiglio cittadino. Nel 1627 il re di Spagna dava da otto a dieci milioni a' privati, assicurati sopra il galeone che arriverebbe dall'India. Or questo non arriv?, ond'egli diede solo cedole, che negoziate perdevano assai: indi pose un nuovo ritardo ai pagamenti, poi li fece in moneta erosa che scapitava. Ne rest? scossa la fiducia, e molti ruppero il banco; eppure il conte duca domandava nuovi prestiti, a titolo dell'antica benemerenza.

Forse prima d'ogni altra nazione, Genova mostr? conoscere la vera natura della moneta, quando stabil? che i debiti si pagassero in moneta corrente, per? coll'aumento da calcolarsi in ragione di quanto era cresciuto il valore dello scudo effettivo dal giorno in cui il debito fu contratto.

Temper? l'inquisizione religiosa, ma rigorosissima giustizia esercitava. Nella capitale e in ogni paese del distretto stava nella chiesa principale una cassetta, ove ciascuno poteva gettare un'accusa, col solo obbligo di annunziare i testimonj del fatto. Ogni settimana la aprivano i magnifici procuratori, e procedeano contro i denunziati. Fierissime pene erano stabilite contro i bestemmiatori, fin alla galera. Pena la testa a chi non denunziasse i delitti di maest?, ne avesse anche il pi? tenue indizio. De' rei abbattevansi le case, e vi si ergeva una colonna infamante. Morte per l'adulterio, pel parto suppositizio, per la bigamia, per chi manda cartello di sfida; morte pel veneficio; per le pozioni amatorie la frusta, il marchio in fronte, ovvero il taglio dell'orecchio o del naso e il bando perpetuo; per le stregherie, morte, e i consapevoli puniti ad arbitrio del magistrato.

Governo spagnuolo in Lombardia e nelle Due Sicilie.

I paesi sottomessi alla Spagna, destituiti di attivit? nazionale, non possono narrarci che indecorosi patimenti sotto un governo militare, intento a mietere non a seminare, tenerli in dovere con guarnigioni e fortezze, obbligarli a dar uomini e denari, non a misura del ben loro, ma pel vantaggio e la forza generale della monarchia.

Stava inconcusso che il re dovesse governare giusto e paterno, ma con nessun altro limite se non i tradizionali privilegi d'alcuni ordini e d'alcuni corpi. Filippo II avea creato presso di s? un supremo consiglio d'Italia , nel quale, co' reggenti spagnuoli, sedevano due ministri napoletani, uno milanese, uno siciliano; ma in tanta lontananza conoscevano e potevano pochissimo, mentre l'autorit? sovrana era trasmessa ai governatori e ai vicer?, che dirigeano insieme l'amministrazione e la guerra, illimitati a un bel circa come i basci? odierni, potendo levar soldati, disporre degl'impieghi, pubblicare prammatiche, ingerirsi nella giustizia civile e criminale, far grazia, corrispondere direttamente e per ambasciadori colle potenze estere. Avendo la mira non al bene dello Stato, ma a segnalarsi, occupavansi spesso in mosse d'armi, pi? spesso in contese di giurisdizione cogli Stati vicini, colle autorit? del paese, cogli arcivescovi, i quali dopo il concilio di Trento aveano ravvivate le ecclesiastiche pretensioni; teneano politica talvolta differente da quella della Corte; ed avendo il re cassatane la decisione, un governatore non vi di? retta esclamando, -- Il re comanda a Madrid, io a Milano>>. Quasi sempre spagnuoli, e per lo pi? soldati, arrivavano in paese di costumanze e di pratiche sconosciute; e vi trovavano tal complicazione di leggi, di gride, di privilegi, che lunghi anni e seria volont? si sarebbero voluti a soltanto informarsene; eppure ne' cencinquanta anni della dominazione spagnuola in Lombardia si mutarono trentasei governatori. Arrivando, mettevano fuori una grida generale che confermava quelle degli antecessori o le modificava, alla rinfusa comprendendovi provvedimenti religiosi, economici, giudiziarj, sanitarj, d'annona e di moneta; di tempo in tempo ne pubblicavano poi altre sopra oggetti particolarissimi, sprovveduti d'ogni vista comprensiva. Duole il riflettere che erano stese da nostri; sicch? quella tradizione di abusi era imputabile ancor meno allo straniero che ai paesani.

Il segretario di Stato Arosteghi diceva: -- In tempo di guerra io vorrei essere piuttosto governator di Milano che re di Spagna, perch? questo governa colle consulte e i consigli, mentre la condotta della guerra dipende dall'assoluto arbitrio del governatore>>. L'interesse portava dunque a perpetuarle; e tanto meglio vi riuscivano, in quanto soltanto per esse la Spagna poteva soddisfare al suo farnetico di mostrarsi la prima nazione del mondo.

Il Milanese, <>, comprendeva l'antico ducato, il principato di Pavia, i contadi di Cremona, Alessandria, Tortona, Como, Novara, Vigevano, Lodi, Bobbio, con un milione seicentomila abitanti, toccando agli Svizzeri, ai Genovesi, ai Veneziani. Don Ferrante Gonzaga, italiano de' pi? spagnolizzati e dispotici, fu detto nuovo fondatore di Milano perch?, postovi governatore da Carlo V , ne miglior? le vie, e circond? anche i sobborghi d'una mura di otto miglia, quasi potesse difendersi una s? gran citt? in piano, e tanto lautamente guadagnaronvi gl'intraprenditori, che in riconoscenza fabbricarono a lui una suntuosa villa.

Per dire alcun che d'altri governatori, e serbandoci a parlare pi? a lungo del Fuentes, il Carassena mostr? quanto prendesse a cuore il pubblico bene col vietare che le donne pubbliche andassero in carrozza: il Fuensaldagne col proibire di ballar dopo mezzanotte, n? che gli uomini si mascherassero da donna o viceversa: meglio il conte di Ligne interdisse il lotto che allora andavasi propagando, <>.

Il duca d'Ossuna , diverso e non men funesto di quel che vedremo figurare a Napoli, entr? con pompa memorabile anche per quel secolo sfarzoso. Aprivano la processione compagnie di cavalieri, la corazza sul petto, la celata al capo, la pistola in mano: poi cento ronzini, coperti di panno scarlatto e trine d'oro, portavano gli arredi della famiglia, e ciascuno, per briglie di seta e d'oro, veniva guidato da un palafreniere in divisa di scarlatto e d'oro, e pennacchio al cappello: egualmente bardati erano i destrieri del duca, cui seguivano i carabinieri in bell'arnese, ed in pi? bello i gentiluomini milanesi, fiancheggiati da molti palafrenieri. Comparivano poi tre carrozze del duca, col carro e le ruote intagliati squisitamente, il legno tutto dorato, e grossi chiodi d'oro nella prima, dov'erano la moglie e le figlie, d'argento nelle altre: dentro non si vedeva che oro. Il duca cavalcava tra la prima carrozza ed una fila di guardie svizzere, seguito da lancieri ed altri soldati.

Per bastare a tal lusso e a quello che sfoggi? nella Corte, rubava, vendeva le cariche, ed allorch? part?, lasci? all'erario grossi debiti, mentr'egli per regali ammass? ben cinquecentomila oncie d'argento. Il conte Trotti per essere eletto generale gli diede ottantamila scudi di Genova. Avendo un servo di esso duca percosso un cagnuolo della principessa Trivulzio, i costei servi uccisero l'offensore: il duca mand? il capitano di giustizia ad arrestare i delinquenti; ma la padrona, che era spagnuola, spedisce a Madrid a querelarsi della violata immunit? di sua casa; viene rescritto che i prigionieri vi sieno ricondotti, e il capitano vada a chiedere scusa d'aver osato in una casa nobile arrestare omicidi. Delle frequenti pasquinate che gli si lanciavano non potendo il governatore altrimenti scoprir l'autore, ricorse ad un negromante; che divisati i suoi pentacoli, chiam? colpevole di ci? un tal frate; un frate per buona sorte; talch?, non potendo essere punito dal f?ro secolare, fu soltanto esigliato.

Avendo egli tenuto una volta circolo e ragunata la principale nobilt?, parve strano e scandoloso; talmente era consueto il restar isolati. Ma il governatore Vaudemont, testa francese, introdusse di raccorne spesso a Corte; e i giardini della Bellingera, poco fuori di Porta Renza, videro le scene di quelli d'Armida. Allora le donne cominciarono ad essere riammesse ai circoli: ma poich? si era voluto ripararne i costumi colla guardia gelosa, anzich? coll'educazione e colla virt?, ben presto dalla selvatichezza si fece tragitto al libertinaggio; alla gelosia che rendea feroci i nobili, fu sostituito il cicisbeismo che li rese ridicoli.

Milano era amministrata da un consiglio de' primarj nobili, indipendente dal re, col quale trattava per via d'ambasciadori; il vicario di provvisione esercitava anche qualche parte di giurisdizione, di polizia, e fin di legislazione, la qual facolt? era molto sbricciolata. Formavansi cos? due governi paralleli; e il comunale sarebbe bastato a reprimere gli arbitrj del regio, se, dopo ristretta tutta la vita comune negli affari municipali, i suoi membri vi avessero spiegato coraggio e cercata importanza, anzich? ambire distinzioni, cariche, e quel lustro che vien dalla vicinanza al trono.

Pur le tradizioni d'autorit?, di bont? e beneficenza signorile, di docilit? e riverenza popolare avrebbero potuto conservare in fiore il paese, se non lo avesse disanguato il fisco, con gravezze sempre crescenti, in vista della cassa militare non del ben pubblico, e che, poste con insensatezza pari alla cupidit?, essiccavano le fonti della prosperit? pubblica, punivano l'industria, scoraggiavano l'agricoltura, e si pu? dire fossero causa di tutti gli errori, e le miserie d'allora.

Secondo le costituzioni di Carlo V, per nessun titolo doveano alienarsi regalie ed effetti camerali; e al contrario, gi? sotto di lui le varie entrate si appaltavano o vendevano, poi si mettea mano sui frutti assegnatine ai compratori; indi creavasene a bella posta di nuove, per venderle; vendevasi l'esazione dei donativi futuri, giacch? i donativi erano la forma consueta delle imposizioni straordinarie. Ogni minimo bracciante sopportava la taglia fin di venti scudi; su ogni consumo, su ogni produzione pesavano balzelli esorbitanti. Dal 1620 al 30 s'inventarono dieci dazj nuovi; e <>; dal 1610 al 50 lo Stato pag? pi? di ducensessanta milioni di scudi d'oro, cio? da milleducento milioni di franchi; infine le taglie sorpassavano il ricavo de' beni, e Milano, che incassava per un milione e mezzo di lire, dovea pagarne due milioni e centomila, sicch? ridusse gl'interessi al due per cento e pagava in cedole.

I Comuni che prima erano liberi, cio? regj, venivano per prezzo infeudati a qualche signore, poi s'inducevano a comprare il riscatto, ma ben presto infeudavansi di nuovo. Si riteneano le paghe delle milizie e de' magistrati, che erano costretti rifarsi sul vulgo o sui postulanti; obbligavansi i negozianti ad imprestiti; i decurioni doveano rispondere per debiti de' Comuni; si gravavano le persone e i beni de' forestieri, si espilavano le banche pubbliche, fatte con depositi privati. Alfine i debiti si accumularono a segno, che nel 1671 si dichiar? il pubblico fallimento. Smunto il capitale riproduttivo, le manifatture si smisero, la campagna rest? incolta, i Comuni affogati nei debiti, ogni momento lamentanze al lontano monarca, che non le ascoltava. I molti ozianti e i privilegiati doveano vivere sulle fatiche de' pochi operosi; quindi parziali scarsezze di grani, che la difficolt? di comunicazioni trasformava in carestie: i ricchi non aveano di che dotar le figlie e adempiere ai legati pii; atterravano le case per non doverne le taglie, o le lasciavano vendere all'asta dai creditori.

Non crediate che il denaro passasse in Ispagna: che bisogno ne aveva essa, cui l'America tributava ogn'anno diciotto milioni d'oro? Bens? sperdeasi nell'ingordigia degli appaltatori delle pubbliche gravezze, i quali con inesorabilit? smungeano il povero, e accumulavano ingenti fortune collo spropriare i debitori del fisco; governatori e magistrati non voleano aver gettata indarno la bella occasione d'arricchirsi onde si diceva che i ministri regj in Sicilia rosicchiavano, a Napoli mangiavano, a Milano divoravano; inoltre occorrevano ingenti somme ad alimentar le guerre in Italia, compiacenza de' governatori e grandigia della Spagna.

Quell'arbitrio legale che storna la ragione e ammusola il senso comune davanti all'interesse del Governo o d'alcuni privati, volendo di tutto impacciarsi, col titolo di protezione estinse quella libert? che ? vita del commercio; aggravava le tasse sulle materie prime, proibiva l'asportazione non solo del grano, ma fin della seta e del panno; or vietava le pecore, perch? non incarisse il fieno con danno del servizio di sua maest?; or di mercatare coi Francesi perch? cattivi cristiani; infinite prammatiche legavano ciascun'arte in maestranze, ciascuna maestranza a mille minute prescrizioni ed ordini e divieti; il tessitore non unisse il cotone colla lana; il mercante di panno non tenesse anche stoffe di filo; e poi bollare, registrare, sindacare; e tutto con comminatoria di sferza, corda, prigione, delle pene insomma che i ladri cansavano. Nel 1588 si proib? di portare le sete fuor di Stato, sperando si convertirebbero in stoffe nel paese; e invece ne rest? scoraggiata la coltura. Un grave dazio sull'indaco mand? in rovina i tintori. Una grida del 1655, che pute dell'odierno socialismo, obbligava i negozianti a dar lavoro agli operaj, pena tre tratti di corda e ducento scudi d'oro.

La moltiplicit? e improvvidezza rendeva tali prammatiche inosservate, poich? l'uomo vessato ricorre a sotterfugi, a finzioni dove la lealt? non vale, a guadagni illeciti ove gli onesti sono turbati; e come sempre, gl'insensati ordini generavano l'immoralit? e il delitto. Che pi?? lo comandavano; e per reprimere il contrabbando, che ? l'inevitabile correzione alle assurde leggi di finanza, il governatore prometteva di poter liberare un bandito per qualsivoglia causa, ancora capitale, a chi prendesse e consegnasse un contrabbandiere o lo ammazzasse in flagrante, <>. Se non che la legge stessa ci assicura pomposamente, che non erano osservati questi ordini; che <>.

Conseguenza fu il deperire la popolazione, le manifatture, il commercio d'economia, l'agricoltura per mancanza di scorte e di capitali. La sola piazza di Milano nel 1580 facea contratti per trenta milioni; la filatura dell'oro e dell'argento vi dava un utile di ottocentomila lire; di tre milioni le stoffe di seta, di ottantamila l'argenteria. Ma dal 1616 al 24 in Milano mancarono ventiquattromila operaj; le sessanta fabbriche di panno furon ridotte a quindici. Mentre nel 1611 a Cremona trecencinquanta mercanti pagarono di tassa lire duemila quattrocencinquantuna, nel 48 erano ridotti a quarantaquattro, non in grado di darne seicentosessantuna; e la sua popolazione, di quarantaseimila teste ch'erano nel 1584, nel 1669 giungeva solo a tredicimila: le ventimila di Casalmaggiore a seimila e cento: trentamila pertiche di terreno lasciato alle inondazioni del Po; forse pi? a quelle dell'Oglio, del Serio, dell'Adda. E tutte le citt? potrebbero offrirci quadro somiglievole; sicch? nel 1668 il senato rimostrava al trono come fosse <>. V'accorgete che quel governo lasciava almeno la libert? del lamentarsi, e di fatto si stamparono moltissimi e consulti e ragguagli e grossi volumi a rivelar piaghe, alle quali non si pensava poi a rimediare o non si sapeva come.

La legge mancava de' suoi primarj elementi, uniformit? e sicurezza d'applicazione, essendone eccettuati ora i militari, ora i preti, ora i nobili, ora i membri d'alcune corporazioni, ora gl'impiegati di Corte; ad alcuni pesi rimanevano sottoposti i contadini, non i cittadini, ad alcuni il forestiero non il naturale, ad alcuni l'abitatore soltanto del tal paese; v'avea luoghi dove l'ammogliato pagava diverso dal nubile o dal vedovo, il massajo dal capocasa e dai famigli; l'imposta si misurava ove dal sale, ove dai cavalli d'alloggio; talvolta i vivi doveano contribuire pei morti, i presenti pei fuggiti. Prestabilito che siano allo Stato pi? utili gli abitanti delle citt? che non i campagnuoli moltissimi favori serbavansi a quelli, met? del grano raccolto dovea portarsi in citt?, e quello presentatovi una volta sul mercato non si potea pi? ritirare. I gran signori pretendevano immune la propria casa e il contorno di essa, e fin i luoghi e le botteghe dove esponessero il proprio stemma; lo pretendevano tanto pi? gli ecclesiastici; e non solo le persone e le case loro e le chiese coi sagrati, ma volean salvo dalla giustizia secolare e dalla finanza fin chi andasse a braccio con loro; anzi Federico Borromeo avea proposto di sottomettere al f?ro ecclesiastico tutti i membri delle confraternite, il che avrebbe sottratta al braccio secolare l'intera popolazione.

Al tempo dell'arcivescovo Litta, un sicario presso San Giorgio in Palazzo uccise il cavaliero Uberto dell'Otta; e preso, non pot? dire da chi fosse incaricato de! colpo, perch? il commitente che l'avea menato dal Bergamasco, eragli ignoto ed era fuggito. Si sospett? d'un Landriani, allora in lite col dell'Otta, il quale inseguito fugg? in chiesa di San Nazzaro: ma per ordine del governatore fu strappato di l?, anzi dall'altare. Allora il Litta a lamentare la violata immunit?; non ascoltato, minacci? interdetti, e fece intimare un primo monitorio, poi un secondo senza effetto; il terzo fu stracciato dagli alabardieri, e ferito il prete che lo portava. S'invelenisce dunque la cosa: il governatore Ponce de Leon minaccia far appiccare il Landriani alla porta dell'arcivescovo s'egli fulmina la scomunica: infine il presidente Arese si mette di mezzo, mitiga di qua, di l?; ma a poco riusciva, quand'ecco alla corte del governatore si presenta una gran dama in un tiro a sei, e al governatore dichiara aver ella stessa fatto uccidere il cavaliere per un insulto avutone, e si ritira; sicch? il Landriani fu rilasciato.

La nobilt?, adottato il fasto spagnolesco, credette avvilimento l'occuparsi dei traffici, onde ne ritir? i capitali per investirli in beni sodi, incatenava le sostanze in maggioraschi e fedecommessi, e circondata di superbia e di privilegi, o eludeva con questi la giustizia, o l'affrontava a viso aperto. Tolta la vita comune, meriterebbe studio la storia delle famiglie, che, a differenza d'oggi, erano ancora qualche cosa nello Stato. L'autorit? attribuita dalla costituzione comunale, gli estesissimi poteri del senato, l'arbitrario riparto delle gravezze, davan modo ad alcune d'arricchire; le quali poi prendendo appalti, facendo prestiti, comprando regal?e, venivano a impinguare smisuratamente. Le leggi sulle primogeniture e i fidecommessi impedivano lo spezzarsi di tali fortune: la vanit? di dar lustro alla famiglia induceva i collaterali a cumular le fortune sopra un figlio solo. Cos? i nobili vennero a formare una specie di dominio sul popolo, il quale consideravasi suddito ad essi piuttosto che al re; ed avrebbero potuto facilmente mutar lo stato, se di quella condizione non avessero tratto tanto profitto, da non desiderare di cangiarla.

L'uso non permettendo d'impiegare gl'ingenti capitali nel commercio, doveansi erogar in lusso e fabbriche e splendori principeschi; orpello sulla loro nullit?. Tutti voleano abitar riccamente, villeggiare suntuosamente, arricchire la propria parrocchiale e le cappelle avite o i sepolcri; e profondeano in beneficenze, per le quali rimangono benedetti fin ad oggi. Molti dei letterati, moltissimi de' prelati erano di famiglie principali; i pi? studiavano di legge per patrocinare gratuitamente e farsi scala alle magistrature; altri attendevano alla medicina, il cui esercizio fu dimostrato con lunghi e serj trattati non degradare dalla nobilt?. Compravano dall'erario paesi e terre, sulle quali poi erano quasi sovrani, salvo soltanto la superiore giustizia del senato. Ciascuna famiglia conservava alcune distinzioni sue proprie, tradizionalmente arrivate dal tempo che lo Stato era un aggregato di famiglie: per esempio, a Milano i Confalonieri addestravano l'arcivescovo quando entrasse, e gli portavano il baldacchino; ai Litta incombeva in quell'occasione fare spazzar le strade; de' Serbelloni dovea uno aver parte a tutte le ambascerie, e andar incontro al governatore fino a Genova, portavano lo stemma della citt?, e davano doppio voto nel Consiglio de' sessanta; i Pusterla possedeano trentacinque ville, e in citt? un quartiere intero. Gian Pietro Carcano lasci? morendo un bambino di tre anni, e dei diciotto che gli mancavano a uscir di pupillo, volle che le rendite andassero per un terzo alla fabbrica del Duomo, uno allo spedale di Milano, uno in istituzioni pie: e la sola parte che tocc? allo spedale bast? a fabbricare il gran cortile e le sale che vi rispondono. Bartolomeo Arese, presidente e figlio d'un presidente del senato, possedeva forse un ottavo della Lombardia, e dopo fabbricato palazzi e ville e chiese e monasteri, lasci? di che arricchire le due famiglie Litta e Borromeo. Uno di questi ultimi tramutava un nudo scoglio del lago Maggiore nella deliziosissima Isola Madre, opera da re.

Ma non era una nobilt? d'antica giurisdizione, sibbene costituita su brevetti regj, e perci? impotente contro il sovrano; e la sua ingerenza riducevasi a raccomandazioni, appoggi di parentela e di clienti, assistenza di corpi e di denaro. Quelli che non si buttavano in chiassosa rivolta contro la legge, empivano la vita con puntigli d'onore, di cerimonie, di comparse, e spuntar un impegno, e vendette calcolate ed ereditarie, e protezione a ribaldi. Perch? il lustro domestico non si eclissasse, nella propria famiglia rendeansi tiranni condannando i figliuoli ai chiostri o ad una povera e indecorosa dipendenza, acciocch? il primogenito potesse grandeggiare. E perch? a ci? mancavano altre occasioni, e la stima misuravasi dalle spese, si ostentava un lusso stranamente repugnante colla pubblica miseria; e cocchi, e torme di servi, e sfarzose villeggiature, e caccie strepitose, e imitazioni di Corte attestavano la distanza del nobile dalla plebe. Il signore per quel lusso, per un errore, per un evento straordinario scarmigliava i suoi affari? non poteva racconciarli col vendere una parte della sostanza, giacch? era legata in primogenitura e fedecommessi; onde dovea intaccar il capitale circolante, e spogliar i campi delle scorte necessarie, o in casa sottigliare sulle prime necessit?, producendo quel misto di magnificenza e di lesineria, che ? carattere di quell'et?.

Altri valeansi dell'accidia del Governo per insolentire sovra la miserabile plebe, e cinti da uno stuolo di bravi, entro un castello sorgente in mezzo alle loro possessioni, o fra i monti, s'un fiume, a cavalcione del confine, viveano come piccoli principi, tratto tratto venendo a battaglie col prepotente contiguo, pi? spesso concertandosi seco per la reciproca sicurezza, e per meglio tiranneggiare i vicini e sbravare l'autorit?, in onta della quale talvolta assalivano i ministri, rapivano i podest?, bastonavano gli sgherri, traversavano a suon di trombe le citt?. In queste ciascun palazzo era un fortalizio, e protetto dal diritto d'asilo, da robuste porte, da servi; ricoverava non solo il facinoroso padrone, ma i suoi aderenti e quella clientela di bravacci. Chiassose gride riboccano d'intimazioni contro persone anche di gran famiglia; i Martinenghi di Brescia, i Visconti di Bregnano, i Benzoni di Crema, i Seccoborella di Vimercato, i Barbiano di Belgiojoso, i conti di Parco, i Torello, i Tiene, un marchese Malaspina, un marchese Spigno, i cavalieri Cotica e Lampugnani, ed altri illustri che esercitavano in scelleraggini il valore a cui erano mancate migliori occasioni.

Coll'indossare la loro livrea e prestargli il braccio, alcuni malfattori assicuravansi l'impunit?; altri armati da capo a piede, con folti ciuffi, spettacolose barbe, scorreano il contado taglieggiando, invadeano fin le borgate. Il Governo gl'indicava a centinaja alla privata vendetta, eccitando i singoli cittadini ad assalirli, ucciderli e cos? meritare un premio: ma la ripetizione delle minacce ne attesta l'inutilit?; mentre la vicinanza de' confini forestieri dava ai banditi agevolezza di scampo. Crebbero dunque sempre pi? di numero e di baldanza, tantoch? nel 1663 fu permesso ad ognun di tener fucili per arrestarli, promesso trecento scudi a chi ne ammazzasse uno; s'istitu? contro di essi la guardia urbana; si posero sentinelle sui campanili per annunziare il loro accostarsi: <>.

Eppure v'avea molti soldati: ma questi erano un nuovo flagello del paese, a difendere il quale erano inetti; alloggiati per le case, malmenavano rubando e violando; spesso non ricevendo le paghe, se ne rifaceano sui tranquilli abitanti; sperperavano il paese o alla cheta coll'esigere braccia, carri, foraggi, o dandosi baldanzosamente a saccheggiarlo. Finita che fu la guerra del Piemonte, molti corpi spagnuoli licenziati si ritirarono nel contado del Seprio e sul territorio di Gallarate, vivendo di ruba, assalendo le terre, e tenendo Milano in lunga angustia, finch? s'impose una taglia di centomila scudi, mediante la quale essi contentaronsi di venir innestati alle guarnigioni imperiali. Contro di loro il governatore Leganes diede un bando severissimo, ma inefficace, poich? egli stesso, dieci mesi dipoi, ne discorre di <>; e i suoi successori replicano tratto tratto la formola stessa, a provarci in che conto si dovessero tenere le milizie d'allora.

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